Il buon cuore - Anno XIV, n. 26 - 26 giugno 1915/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 26 - 26 giugno 1915 Religione

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Musica: la “divina nepote„...


Una parentesi, nei discorsi della guerra. Non c’è soltanto, oggi, la musica dei cannoni, che risveglia tutti gli echi di questa tragica Europa... C’è ancora, al mondo, la musica arte dei suoni, quella che non uccide ma, al più, addormenta; ed anzi è proprio questa l’epoca dell’anno in cui la musica trionfa, nei teatri, nelle sale dei concerti... — Parliamo dunque, un poco, di musica.

Mi sono spesso domandato, ascoltando o leggendo pagine di musicisti d’ogni tempo, di ogni scuola, d’ogni tendenza, quale sia la musica, che contenga e possa conservare attraverso tutte le epoche quel grado di elevatezza, quel fascino di sublimità, quella potenza di «transumanare» che il Poeta dice caratteristica delle più alate creazioni dell’arte divina dei suoni. Forse la ricca fioritura romantica sbocciata da anime delicatamente sensuali, umane, troppo umane del secolo scorso?

Inclino a non crederlo: senza volere grossolanamente mettere in un fascio il buono e l’ottimo, i geni solamente simpatici ed i geni giganteschi, senza porre allo stesso livello il sentimentale Schubert e l’eroico Beethoven, Weber e Wagner, tuttavia mi vien fatto di rintracciare più o meno nella musica di questo periodo un soverchio culto dell’appassionato, invece che la espressione di una radiosa estasi nutrita di alto idealismo religioso.

In Wagner, si dirà, abbonda l’elemento mistico: i suoi personaggi hanno una fisionomia ultramondana, i suoi quadri hanno per isfondo il firmamento e

per cornice l’arcobaleno e sono trasfigurati dalle luci eteree dei vari incantesimi (del, fuoco, della primavera, del venerdi santo); ma non di rado nelle sue opere si trovano cosparse nuvole di «trouble romantique». Una musica che indubbiamente ha odore di incenso e trasporta in una atmosfera superiore vicino alle stelle è quella che avvolge la coppa del San Graal e fa di Parsif l’opera wagneriana dal punto di vista del soggetto più sublime, sebbene, sia notato di passaggio, un po’ ostica a noi latini, che amiamo una espressione religiosa più chiara, più aerata, più francescana.

Beethoven è di una inarrivabile grandiosità: ha sovente un sovrano atteggiamento profetico ed un divino slancio verso il cielo; nondimeno è facile osservare come negli stessi suoi accenti di gioia si insinuino talora una certa impetuosità ed agitazione, le quali rilevano uno spirito grande, che tende ad altissima meta, ma che rimane ancora un poco in preda a turbamento.

La musica modernissima, per quanto sia piena di interesse e preferibile a quella scritta su vecchi stanchi clichès senza un palpito vivo di personalità, per quanto sia sincera emanazione di un modo geniale di sentire, ha una ispirazione, un contenuto assai discutibile. E’ musica che dice per lo più delirio o soave stanchezza, incapacità di elevazione e quindi di eroismo spirituale è dettata sulla falsariga di tutta una letteratura seducente, ma furiosamente sensuale o sottilmente morbosa: Oscar Wilde, Mallarmè, Baudelaire ne sono gli ispiratori. Duello che ci fa udire il più grande musicista germanico d’oggidì, mentre spuma il falerno nei calici d’Erode in una notte sinistra d’orrori sacrileghi è di una bellezza che deprime, non solleva lo spirito. La finissima, preziosissima, sensibilità musicale del più grande compositore francese che fugge la luce meridiana pei pallori lunari ed i riflessi smorti degli stagni mi sembra, ad onta della viva simpatia che noi giovani si può avere per essa, eserciti sull’animo un influsso simile a quello di un anestetico sul sistema nervoso.

Se quasi tutti i migliori musicisti contemporanei sono nella sfera di attrazione di questi due tipi, è encomiabile solo in quanto serva a prendere impulso per [p. 202 modifica]superare il momento di crisi presente, perchè le crisi non si superano attardandosi pigramente indietro. Però al passato si deve tener,l’occhio vigile, mentre si procede, scrutando dove appaia un raggio di bellezza che giovi come stella di orientamento. E questi raggi ci vengono da lontano, da quella aurea età in cui la musica era più candida, ma assai significativa, serena e grandiosa ad un tempo, religiosa; dalle creazioni dei genii della scuola romano fiamminga nel cinquecento, dal serafico Pier Luigi, dal potente Lasso per la musica vocale, ed all’alba del seicento dal Frescobaldi per quello che riguarda la musica istrumentale. In questo periodo di tempo perfino de melodie profane palesavano un carettere di freschezza, di maestà composta, derivando esse immediatamente dal canto gregoriano. Sul vergine tronco del gregoriano maggiormente si innestarono le pagine dei grandi polifonisti chiesastici, nelle quali nulla si può notare di turbato, ma sempre a medesima onda soave, la medesima ingenuità celestiale, la medesima compostezza di un popolo che prega ed adora. Qualche espressione di Orlando di Lasso può sembrare un po’ rude ed agitata, ma non è la sua una agitazione che disturbi, essendo essa assorbita dalla grandiosità della linea michelangiolesca. Solo è a deplorare che talvolta la divina calma palestriniana degeneri in freddezza glaciale, specialmente in alcune messe, che sono sublimi fino... alla noia! e soggiungo questo, perchè è sempre riprovevole la esagerazione di chi in seguito alla canonizzazione d’un autore vuol vedere la perfezione indistintamente in tutte le sue opere. Ciò nondimeno il patrimonio geniale, grandemente geniale di lui è tanto considerevole da fargli attribuire con ragione ancora oggidì l’aureola ed il culto di principe della musica, da farlo riconoscere la miniera di alte ispirazioni, la sorgente, alla quale è sempre fecondo attingere lo spirito dominante di un’arte che educa ed eleva. Un musicista di poco posteriore, la cui venerazione va facendosi ogni giorno più profonda, è Gerolamo Frescobaldi. Originale, ardito pei tempi in cui visse, qualche volta non del tutto nitido ma ricco oltremodo di costanza musicale, non raramente pieno di ardore, è sotto un certo’ punto di vista preferibile a Sebastiano Bach. Questi, come rileva giustamente Giannotto Bastianelli in uno dei suoi preziosi profili musicali, si presenta parecchie volte con un formalismo prodigioso ma vuoto, tessuto su disegni insignificanti o quasi; e non ha che di rado quell’alito di calda religiosità, che molti esageratamente credettero di vedere in lui sempre. Se si fa eccezione per un discreto numero di composizioni di Bach, veramente meravigliose sotto ogni rapporto, penso che si potrebbe dire di buona parti- dell’opera sua quello che Wagner forse troppo rigorosamente disse di un altro musicista perfetto dal punto di vista formale, di Mendelsohn «Il ’vuoto ben pensante»; e credo di ricordare in proposito non inutilmente, che fu Menddsohn a diffondere il culto di Bach, sebbene sia lungi dal voler mnomare il diritto che il grande di

Eisenach ha alla nostra ammirazione. Se Frescobaldi ci dice qualcosa più di Bach, lo dice, però meno bene, con qualche ruvidezza od inviluppo che sorto affatto assenti dall’opera dell’altro. Nei secoli successivi più vicini a noi ’l’ispirazione religisa è stata offuscata nella sua purezza e maestosità: anche quelli, (eccettuati forse Haendel e Cherubini) che di proposito vollero la loro musica di fede, di idealismo, non poterono del tutto sottrarsi ad una influenza finemente sensuale; per tacere del settecentista Benedetto Marcello i cui Salmi geniali non raggiunsero opere palestriniane, accennerò al mistico ed austero Cesar Franck, della seconda metà del secolo scorso, il quale lascia sentire una eco lontana della dolorosa subilimità wagneriana. Vi sono dei geni sì potenti da dominare tutta una epoca e da far cadere ai propri piedi, oltre ai gusti delle folle, un poco anche quelli di artisti privilegiati che pure avevano un ideale proprio a svolgere una parola propria à dire nel Parnaso musicale; tale è stato appunto il gran Riccardo di fronte a quasi tutti i musicisti del st.o tempo. Da quanto son venuto dicendo, si potrà forse arguire che io voglia tirare una linea su tutta la musica che non sia quella di Palestrina, Lasso o Frescobaldi. Le mie affermazioni potranno in modo speciale far piacere ai nemici accaniti di tutta la musica contemporanea, a coloro che la vorrebbero finita con tutta la tecnica moderna. Mi preme di non essere frainteso: non sento’ di dover.portare le mie preferenze su quello che si suol dire il contenuto delle novelle produzioni musicali: deploro. la debolezza di pensiero e di sentimenti, la mancanza di vitalità vera, sana, elevata, debolezza e mancanza che hanno dato origine ai nuovi indirizzi; ma non mi sento affatto di unirmi al coro delle voci che protestano contro la pretesa anarchia del nuovo senso tonale (la cui unità risulta di rapporti, di legami diversi dai consueti), delle conquiste armoniche, istrumentali, il cui unico ostacolo sono i pregiudizi di chi ha eretto a canone fisso la maniera propria di una scuola o di un autore. Nè vale opporre che riprovando ’il contenuto di questa musica, si vengono a condannare implicitamente i nuovi orientamenti di forma, che si vogliono considerare come derivato necessario di quello. Infatti parecchi procedimenti formali simili in due autori non hanno impedito che le loro opere avessreo un carattere affatto distinto, ed espressioni radicalmente diverse; si confrontino ad esempio Moussorgski e Debussy. Mi sembra quindi possibile e vantaggioso cogliere i germi di incanti relgiiosi che sono nascosti nell’odierna musica francese, e facendoli passare attraverso il filtro di una sensibilità più vigorosa, purificarli dal torpore che un poco li intisichisce e svilupparli ampiamente; penso ai delicati accenti sparsi qua e là nella preraffaelita o Demoiselle elue» e nel «Martino di S. Sebastiano». Cosi pure è qui opportuno accennare a due lavori di Riccardo Strauss, (noto comunemente solo per la musica spasmodicamente nervosa di Salomè e d’Elettra), due cori a se, RW [p. 203 modifica]dici voci, i quali si impongono non tanto per il portentoso contrappunto che rammenta le monumentali composizioni a più cori di Orazio Benevoli, quanto per la grandiosità religiosa ed efficacia espressiva, che continua con mezzi moderni la gloriosa tradizione di Orlando di Lasso: Le nuove miniere non mancano e non vanno trascurate. Qualcuno potrà arricciare il naso a questo insistente invito di rituffare la musica in un’onda di religiosità, temendo di farla cadere inevitabilmente in melanconiche e monotone meditazioni, sì da aumentare il patrimonio della musica noiosa. La musica religiosa invocata sia pure tale che vi si agitino le varie forme, i vari sentimenti si risolvano nel divino, si risolvano in divina gioia, in divino dolore, in divina serenità; ed ogni musica, pur rimanendo nel carattere, nei limiti del proprio genere particolare (liturgico, oratorio, mistero, od azione scenica) può essere un dramma religioso, vivo, palpitante: tutto da un ((improperio palestriniano» ad un’opera teatrale. Un dramma simile non può essere senza un grande fascino per tutti, anche per coloro che sono invaghiti di romantici 31110 e di verismo e si struggono in lagrime per la musica che commenta le mediocri disgrazie di una sartina. Se poi parte del pubblico oppone ostinatamente i propri gusti viziati, bisogna resistergli; non l’arte deve abbassarsi fino ad esso ma il popolo deve essere portato all’altezza dell’arte. Il popolo cede in principio alle prime impressioni di urto alle proprie abitudini, ma essendo infine sincero, come intelligente afferra, penetra e smentisce le proprie ostilità con entusiasmi, che di ordinario sono nella stessa misura di quelle. Diceva Schiller che l’unica relazione col pubblico della quale non ci si pente mai è la guerra. Bisogna sradicare nelle masse il basso preconcetto che la musica sia un semplice passatempo, un solletico, una carezza pei nervi, non quale dev’essère un vero rigeneratore delle forze dello spirito. C’è da correggere la strana, proprio strana tendenza a prendere per arte degli scipiti artifici (come si fece con la retoricameyerbeeriana). e viceversa a prendere per artificio la vera arte (come si fece con Wagner e Beethoven); c’è da sviluppare le facoltà percettive specialmente armoniche, perchè i più non intendono come fattori di espressività l’armonia ed il contrappu- to, ma come qualcosa di aggiunto, di supercostpiito. E’ necessario principalmente orientare verso una sana applicazione il comunissimo detto per sè indiscutibile, che la «musica è amore». Su una lunga scala che dal cielo scende fino nel fango fu cantato l’amore; e disgraziatamente le compiacenze di molti si posano non su l’amore elevato, ma su alterazioni, contraffazioni, deformazioni dell’amore: amorini sdolcinati, amoracci ripugnanti, dopo Salomè divenuti di moda, amoroni pomposi, loquaci sul tipo Sigf ridoBrunilde. Ma l’arte dei suoni deve accendersi di quell’amore, che invece di prostrare le energie spirituali le feconda, di quell’amore «che amando cresce», che solo sa lanciare l’anima ad entusiastici eroismi: ed in

in tal modo essa può salire fin sulle soglie della religione e meritare di essere chiamata la «divina nepote» Orpheus.