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IL BUON CUORE 203


dici voci, i quali si impongono non tanto per il portentoso contrappunto che rammenta le monumentali composizioni a più cori di Orazio Benevoli, quanto per la grandiosità religiosa ed efficacia espressiva, che continua con mezzi moderni la gloriosa tradizione di Orlando di Lasso: Le nuove miniere non mancano e non vanno trascurate. Qualcuno potrà arricciare il naso a questo insistente invito di rituffare la musica in un’onda di religiosità, temendo di farla cadere inevitabilmente in melanconiche e monotone meditazioni, sì da aumentare il patrimonio della musica noiosa. La musica religiosa invocata sia pure tale che vi si agitino le varie forme, i vari sentimenti si risolvano nel divino, si risolvano in divina gioia, in divino dolore, in divina serenità; ed ogni musica, pur rimanendo nel carattere, nei limiti del proprio genere particolare (liturgico, oratorio, mistero, od azione scenica) può essere un dramma religioso, vivo, palpitante: tutto da un ((improperio palestriniano» ad un’opera teatrale. Un dramma simile non può essere senza un grande fascino per tutti, anche per coloro che sono invaghiti di romantici 31110 e di verismo e si struggono in lagrime per la musica che commenta le mediocri disgrazie di una sartina. Se poi parte del pubblico oppone ostinatamente i propri gusti viziati, bisogna resistergli; non l’arte deve abbassarsi fino ad esso ma il popolo deve essere portato all’altezza dell’arte. Il popolo cede in principio alle prime impressioni di urto alle proprie abitudini, ma essendo infine sincero, come intelligente afferra, penetra e smentisce le proprie ostilità con entusiasmi, che di ordinario sono nella stessa misura di quelle. Diceva Schiller che l’unica relazione col pubblico della quale non ci si pente mai è la guerra. Bisogna sradicare nelle masse il basso preconcetto che la musica sia un semplice passatempo, un solletico, una carezza pei nervi, non quale dev’essère un vero rigeneratore delle forze dello spirito. C’è da correggere la strana, proprio strana tendenza a prendere per arte degli scipiti artifici (come si fece con la retoricameyerbeeriana). e viceversa a prendere per artificio la vera arte (come si fece con Wagner e Beethoven); c’è da sviluppare le facoltà percettive specialmente armoniche, perchè i più non intendono come fattori di espressività l’armonia ed il contrappu- to, ma come qualcosa di aggiunto, di supercostpiito. E’ necessario principalmente orientare verso una sana applicazione il comunissimo detto per sè indiscutibile, che la «musica è amore». Su una lunga scala che dal cielo scende fino nel fango fu cantato l’amore; e disgraziatamente le compiacenze di molti si posano non su l’amore elevato, ma su alterazioni, contraffazioni, deformazioni dell’amore: amorini sdolcinati, amoracci ripugnanti, dopo Salomè divenuti di moda, amoroni pomposi, loquaci sul tipo Sigf ridoBrunilde. Ma l’arte dei suoni deve accendersi di quell’amore, che invece di prostrare le energie spirituali le feconda, di quell’amore «che amando cresce», che solo sa lanciare l’anima ad entusiastici eroismi: ed in

in tal modo essa può salire fin sulle soglie della religione e meritare di essere chiamata la «divina nepote» Orpheus.

Religione


Vangelo della domenica Va dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Avvenne che nell’andare il Signore Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando per entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e• alzarono la voce diJenlio: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E»tiratili disse: andate, mostratevi ai Sacerdoti. r? mentre andavano restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce, è si prostrò a terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci quelli che sono stati mondati? E i nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, se non questo straniero. E a lui disse: alzati, vattene; la ti«, fede ti ha salvato. S. LUCA, Cap.

17.

Pensieri. La storia dei dieci lebbrosi, narrata nell’odierno Vangelo, la malattia, la guarigione, l’ingratitudine, ha un riscontro nella storia di molti di noi. Ricordiamola a nostro ammaestramento; ammaestramento di conforto, ammaestramento di confusione.

  • * *

La lebbra era una gravissima malattia che affliggeva le popolazioni dei paesi d’Oriente, e che.non è scomparsa del tutto ai nosti giorni. Era malattia schifosa; copriva di ulceri) tutte le parti del corpo, facendone cadere spesso le carni a brani a brani, deturpando la figura umana nel modo più ripugnante; qualche lebbroso aveva perduto le orecchie, un altro il naso, un altro aveva dei solchi purulenti nel volto, nel petto, sulle braccia. Era una malattia contagiosa. Malattia esterna, fetente, corrompeva tutta l’aria all’intorno; un leE.giero contatt col lebbroso, +il solo respirarne l’aria che lo circondava, bastava per chè il male si diffondesse. La lebbra destava orrore, spavento; e per sè e pel timore di prenderla. Perciò if colpiti venivano per legge ordinata da Mosè allontanati inesorabilmente dal consorzio umano, relegati in luogo deserto, lontani dai villaggi e dalle città: i lebbrosi non potevano avvicinarsi ad alcuno, e sol6 lungi, alzando la loro voce supplichcvole, teicifg4n9(k invocare il soccorso di un po’ di alimentVIr.ii ester dere estenuati dalla fame. Era una cofurz imarnente dolorosa e un:iliante, perchViTle fni3O-(Ihrer