Il buon cuore - Anno XIV, n. 12 - 20 marzo 1915/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 91 modifica] Religione

Vangelo della quinta Domenica di Quaresima Testo del Vangelo...In quel tempo,.era, ammalato un tal Lazzaro del borgo di Betania, patria di Maria e di Marta, sorelle (Maria era quella che unse con unguento il Signore, e asciugogli i piedi coi suoi capelli, ed il di cui fratello Lazzaro era malato). Mandarono dunque a dirgli le sorelle: Signore, ecco, che colui che tu ami, è malato.’ Udito questo, disse Gesù: Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinchè quindi sia glorificato il figliuol di Dio. Voleva bene Gesù a Marta e, a Maria sua sarella ’e a Lazzaro. Sentito adunque che ebbe; come questi era malato, si fermò allora due dì nello stesso luogo. Dopo di che disse ai discepoli: Maestro, or Era cercavano i Giudei - di lapidarti, e di nuovo torni colà? Rispose Gesù: Non sono elleno dodici le ore del giorno? Quand’uno cam-,. mina di notte, inciampa, perchè non ha lume. Così parlò, e dopo di questo disse loro: Il nostro amico Lazzaro dorme; ma z’o’ a svegliarlo dal, sonno. Dissero perciò i suoi discepoli: Signore, se dorme, sarà in salvo. Ma Gesù aveva parlato delta di lui morte; ed essi avevano creduto del dormire di uno che ha sonno. Allora però disse loro chiaramente Gesù: Lazzaro è morto. E ho piacere per ragione di voi di non essere stato là, affinchè crediate; ma andiamo da lui. Disse adunque Tomaso, soprannominato Didimo, ai condiscepoli: Andiamo anche noi e moriamo con esso lui. Arrivato Gesù, trovollo già da quattro giorni sepolto. E molti’ Giudei erano venuti da Marta e ’Maria per consolarle per riguardo al loro fratello; Mario però, subito che ebbe sentito che veniva Gesù, andogli incontro. e Maria stava sedendo in casa. Disse, dunque Marta a Gesù: Signore, se eri qui, non moriva mio fratello. Ma anche adesso so, che, qualunque cosa, chiederai a Dio, Dio te la concederà. Dissele Gesù: tuo fratello risorgerà. Risposegli Maria: So, che risorgerà nella risurrezione in quell’ultimo giorno. Dissele Gesù: Io sono la risurrezione e la vita; chi in me érede, sebben sia morto vivrà. E chiunque vive, e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo? Risposegli: Sì, o Signore, io ho creduto, che tu sei il Cristo, il figliuol di Dio vivo, che sei venuto in questo mon 9

do. E detto questo, andò, e chiamò di nascosto Maria, sua sorella, dicendole: E’ quì il Maestro, che ti chiama. Ella, appena udito questo, alzossi in fretta, e andossi da lui; imperoéchè non era peranco Gesù entrato nel borgo: ma era tuttavia in quel luogo, dove era andata Marta ad incontrarlo. I Giudei perciò, che erano in casa con essa e la consolavano, avendo veduto Maria alzarsi in fretta e uscir fuori, la seguitarono dicendo: Ella va al sepolcro per ivi piangere. Maria però, arrivata che fu dove era Gesù, e vedutolo, gittossi ai suoi piedi, e dissegli: Signore, se eri qui, non moriva mio fratello. Gesù allora, vedendo lei piangendo e piangenti i Giudei che eran venuti con essa, fremè interiormente e turbò se stesso e disse: Dove l’avete messo? Gli risposero: Signore, vieni e vedi. E à Gesù venner le lagrime. Dissero perciò, i Giudei: Vedete, come ei lo amava. Ma taluni di essi dissero: E non poteva costui, che aprì gli occhi al cieco nato fare ancora che questi non morisse? Ma Gesù di nuovo fremendo interiormente, arrivò al sepolcro; che era una caverna, alla quale era stata sovrapposta una lapide. Disse Gesù: Togliete via la lapide. Dissegli Marta, sorella del defunto: Signore, ei puzza di già, perchè è di quattro giorni. Risposele Gesù: Non ti ho detto, che se crederai, vedrai la gloria di Dio? Levaron dunque la pietra, ’e Gesù alzò in alto gli occhi e disse: Padre, rendo a te grazie perchè mi hai esaudito. Io però sapeva, che sempre mi esaudisci; ma l’ho detto per causa del popolo che sta qui intorno: affinchè credano che tu mi hai mandato. E detto questo, c.on voce sonora gridò: Lazzaro, vieni fuora. E uscì subito fuora il morto, legati con fasce i piedi e, le mani, e coperto il volto con un sudario. E Gesù disse loro: Scioglietèlo, e lasciatelo andare. Molti perciò di quei Giudei, che erano accorsi da Maria e da Marta e avevano veduto quello che fatto Gesù aveva, credettero in Lui. (S. GIOVANNI Cap.

t)

Pensieri. Le consolazioni che ci dà Cristo nella morte dei nostri cari, è il dolce argomento dell’odierno Vangelo. Cristo, in sì, dolorosa circostanza, è il grande consolatore delle anime; consolatore per l’idea elevata che dà della morte, consolatore pei conforti che dà dopo la morte. Nolite contristari sicuti et coeteri qui spero- non habent. Come è confortante questa esortazione di Paolo! Paolo, in questo caso come in cento altri, non è che l’eco del cuore e della parola di Cristo.

La più grave disgrazia, e pur sì frequente, che possa colpirci è la morte dei nostri cari. Maria’ e Maddalena che piangono sulla tomba del fratello Lazzaro, è scena che si ripete tutti i giorni; forse in circostanze più dolorose e strazianti; è una figlia che piange la morte del padre, della madre; forse è una madre che piange per la morte del figlio, del primo figlio, dell’unico figlio! [p. 92 modifica]IL BUON CUORE Il beneficio delle consolazioni di Cristo è fatto maggiormente comprendere dal profondo abisso di tristezza in cui trovansi coloro che non hanno queste consolazioni. Una delle anime che’nel secolo scorso fu col suo grido desolato come l’espressione di questo senso di disperazione di chi noti crede, di chi nella morte vede solo l’ultima delle sciagure umane, fu il Leopardi. Ricordare tutte le forme colle quali vestì il suo pensiero sarebbe ripetere tutta l’opera sua. Ricordiamone due sole. Nel Tramonto della luna verso occidente, a tarda notte, e nell’oscurità che tutto involve, dice che fra poco dall’altra parte Tosto si vedrà il cielo Imbiancar nuovamente e sorger l’alba.... Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora D’altra luce giammai, nè d’altra aurora: Vedova è insino al fine; ed alla notte che l’altre etadi oscura Segno poser gli Dei la sepoltura. Ma più truce ancora è la poesia che intitola A se stesso. E’ la poesia che ora è appena un anno teneva aperta dinnanzi a sè un giovine ricco patrizio napoletano, suicidandosi alla vigilia delle nozze! Amat’o e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T’acqueta ornai. Dispera L’ultima volta; al gemer nostro il fato Non donò che il morire. Il beneficio della speranza nella morte è così grande, è così sentito dall’uomo, che Gaetano Negrí non esitò a dire che da solo basterebbe a dar vita alla religione, a renderla indistruttibile. E’ una delle sue pagine più indipendenti e originali. «E’ un errore il credere che il solo movente, ed anche il movente principale delle azioni umane, sia l’interesse materiale. Il raggiungimento della maggior prosperità possibile, ecco lo scopo pel quale e nel quale, secondo alcuni, si esaurisce la potenzialità dell’anima umana. Certo costoro sarebbero nel vero, se gli uomini non avessero altro a fare che vivere; ma gli uomini hanno un’altra cosa a fare oltre il vivere, ed è il morire. Ora la presenza di questa seconda operazione muta radicalmente il problema, od almeno gli aggiunge una nuova faccia. Se, guardato dal lato della vita, il problema è esclusivamente economico, guardato dal lato della morte, il problema è esclusivamente morale. La preoccupazione della morte non abbandona mai l’uomo. Talvolta quella preoccupazione è soffocata sotto le agitazioni quotidiane; ma essa esiste sempre, più o meno latente, nel fondo dell’essere nostro. E’ un fantasma che portiamo appiattato dentro di noi, e che quando meno lo si aspetta, ecco ci si para dinnanzi. Ora la necessità di sciogliere il problema della morte è, nell’uomo, sentita più fortemente ancora della necessità di sciogliere il problema della

vita. E’ ciò che dà oggi una forza irresistibile alla re-1 ligione, Chi si immagina che la diffusione della coltura, che la cura degli’ nteressi umani abbiano a detronizzare la religione,, mostra di non conoscere che un cantuccio, e ben piccolo, dell’anima umana. Gli uomini sono capaci di inghiottire qualunque mistero, pur di non avere il voto, o dirò meglio, l’ignoto oltre la morte, e non c’è promessa di prosperità entro la vita che valga -a compensarli dello spavento che loro incutono le tenebre d’oltre tomba. La storia dell’umanità è determinata assai più dal modo di comprendere la morte che dal modo di comprendere la vita.» E altrove ancor più chiaramente: «Se noi andiamo in fondo del problema umano, vi troviamo sempre queste domande: — Cos’è la morte? Perchè la morte? — Ma, per gli stoici, il mistero della morte rimaneva tenebroso, come un’incognita angosciosa, per sciogliere la quale l’uomo non aveva la chiave. Il Cristianesimo gli ha data questa chiave. La morte non è l’estinzione della vita, è l’accensione della vita nuova, della vita vera. La vita terrestre non è che un tempo di prova a cui succede la eternità. Dio stesso ha mostrato, nella sua persona, morendo e risorgendo, dove sia la realtà della vita, e della morte. Gli uomini, morendo, andranno là dove è andato Dio stesso.... Incalcolabile è stata l’efficacia che questa idea della immortalità, germogliata dal fatto storicamente determinato della resurrezione di Cristo, ebbe sullo spirito dell’antichità che brancolava nelle tenebre della tristezza e del dubbio.» Questa è la prima consolazione che ci dà Cristo nella morte dei nostri cari — il concetto elevato della morte. L’uomo morendo non muore; la vita, morendo, non si toglie, dice la liturgia della Chiesa nella messa dei defunti, ma si muta in meglio. Per, chi rimane la morte di chi parte non è perdita, è soltanto separazione momentanea: il saluto della morte non è un saluto definitivo: è un: a rivederci!

La seconda consolazione precede il fatto della morte, si prepara e solleva durante la malattia. Ancora per l’eloquenza dei contrasti, entrate in una casa, dove giaccia ammalata, inferma, moribonda una persona cara, ma dove sventuratamente non aleggia lo spirito confortatore della fede. Si prodigano tutti i tesori dell’affetto e dell’assistenza, si esauriscono tutte le industrie della scienza, ma fuori di lì non si affaccia nessun’altra maniera di conforti: si vuol allontanare la morte, ma si guarda bene di parlare della morte a colui che vi va ognor più vicino; il parlargliene, collo spavento che arrecherebbe, sarebbe un anticipargliela: ma siccome malgrado ogni sforzo per allontanare la morte, la morte arriva, la sola impressione che si prova è quella dello sgomento, di una perdita senza compenso, di un dolore senza consolazione: la persona amata, quando sia morta, non c’è più, nè qui, nè via di qui: ella non ebbe alcun conforto prima di partire, e chi rimane non avrà alcun conforto dopo che è partita: l’ultima parola di una persona morta senza il conforto della fede è una sola — 1 [p. 93 modifica]’IL BUON CUORE un cadavere, da consegnarsi il più presto alla tomba! Per spegnere ancor più radicalmente le ultime sembianze nel pensiero ripugnante si è trovato la cremazione! y •4."’ La malattia, la morte, arrivano anche nelle case ove è viva la fede di Cristo. La religione, seriamente sentita e praticata, agisce già in precedenza come antidoto contro la malattia coll’inipedire, tenendo lontano dai vizi, molte delle cause che la producono e la anticipano. Uccide più geiite la gola che la spada, dice il proverbio. Entrate negli ospedali, in certi ospedali; quanta gioventù precocemente colpita dalla malattia e dalla morte! Sono le vittime strappate violentemente alla vita dal vizio. La sobrietà nel vitto e nei piaceri è il primo antidoto contro le malattie e la morte. La sanità, ha detto Bossuet, più che nelle medicine sta nella misurata astinenza. Benedetto XIV volle diminuire le soverchie astinenze dei Certosini, che sembravano un attentato alla salute: i Certosini pregarono il papa a desistere dal suo proposito, e per prova che le astinenze non compromettevano la loro salute, gli mandarono una commissione di alcuni membri del loro Ordine: erano dieci religiosi, di aspetto vegeto e robusto: passavano tutti gli ottanta anni! Malgrado tutte le cautele, la malattia, la morte, arrivano. Nella dolorosa circostanza quali conforti ci appresta la religione di Cristo? Non ci vieta lo sfogo delle lagrime, non ci inibisce nessuna ’delle industrie che l’arte salutare può suggerire; ma quando ogni aiuto terreno vien meno, essa ci viene innanzi cogli aiuti celesti. Son le preghiere a Dio, alla Madonna, ai Santi; son tutti gli altri mezzi che la pietà individuale può suggerire,,l’applicazione, per esempio, delle sante reliquie: la donna del Vangelo guarì dal suo male solo col toccare il lembo della veste di Cristo: nella vita di S. Francesco di Sales si legge che fosse liberato da grave malattia colla applicazione delle reliquie. di S. Carlo. Ma la morte si avvicina, arriva anche alle persone credenti e buone. Nòn possono più nulla gli uomini? E’ allora che arriva Cristo. Il Viatico portato a un moribondo di notte, in una valle alpestre, fra lo scendere della neve e il soffiar dei venti, è quadro sì commovente e poetico, che l’arte più di una volta lo ha preso per soggetto delle sue ideali composizioni L’anima non può andare a Cristo; è Cristo che viene all’anima. E’ questa la gioia più grande che un’anima credente possa mai provare. E quando il male precipita, Cristo non ha ancor finito i suoi conforti: un Sacramento egli ha istituito appositamente come sollievo in quegli ultimi istanti. Molte volte l’Estrema Unzione agisce come ridono della salute. Ma se non sempre solleva il corpo, sempre sollvea l’anima; essa toglie le ultime reliquie del peccato; richiama l’anima alla speranza, e accresce i meriti pel. Perchè, o fratelli, vi lasciate vincere da quel fallace pregiudizio di ritardare i Sacramenti ai vostri cari, per tema che il loro annuncio li sgomenti e li uccida? Il Sacerdote chiamato alla visita di un am 9A

malato, no, non porta la morte, ma il confortò, la speranza! Quante volte io ho constatato che lo spavento era in chi era vivo, non in quelli che si avvicinavano alla morte! Quante volte gli ultimi Sacramenti hanno ridonato, se non la salute, la fede, e colla fede la speranza, la pace ad un’anima da anni e da anni digiuna dei pensieri e delle pratiche religiose! E voi credete carità il ritardare questi conforti ai vostri cari? aspetterete a chiamare il sacerdote quando, pur, accorrendo sollecito, arrivando si troverà dinnanzi ad un incosciente, e forse ad un cadavere? Questo differire, è la sottrazione crudele di un dolce.conforto per lui, è il procurare un grave rimorso per voi! Come è bello, nella comunione di un solo pensiero di fede, di chi assiste e di chi muore, ripetere le preghiere della Chiesa, le preghiere del perdono e della speranza! E’ spesso nella recita sommessa di queste preghiere, che si mormora la parola: è morto! No, dice il Sacerdote, non è morto, è andato in cielo! La candela benedetta è accesa al fianco del caro estinto: la natura è morta, la fede è viva; l’uomo è morto, ma accanto a quell’uomo veglia Dio: si può dire di tutti, anche dell’ultimo dei mortali, quanto il poeta disse del grande convertito di S. Elena: Quel Dio che atterra e suscita Che affanna e che consola Sulla deserta coltrice Accanto a lui posò!

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Colla morte i benefici di Cristo non sono finiti pei nostri cari e per noi. No; sotto altre forme si può dire che cominciano più confortanti, più grandi. Quando alcuno morì senza un pensiero di fede, a chi rimane senza un pensiero di fede, quanto opprimente è il solo richiamo del pensiero della morte avvenuta! Non si vuol più sentire parlare del morto; è educazione il tacerne; quel pensiero non è che un crudele rinnovare il dolore, senza il barlume di nessuna speranza, senza il balsamo di nessun conforto! Terribile, inevitabile castigo di chi non crede, di chi nei momenti estremi della vita dei propri cari non ha chiesto il conforto della religione: «Religion senza la cui presenza Troppo a mirarsi è orribile una tomba!» Chi invece morì colla fede ha mutato la vita passeggiera, colla vita che non ha più termine: se egli è trattenuto per un periodo di tempo più o meno lungo in un luogo di espiazione, l’amor di Dio, colla sua grazia, è però nell’anima sua, e quell’amore è gioia, quell’amore è unito alla più cara delle speranze. Non pensa più egli a vòi? Egli pensa a voi, egli vi ama, egli prega per voi; se non può meritare per se, può intercedere per voi. Il ricco Epulone ha potuto pregare nell’inferno Abramo perchè avvertisse i suoi fratelli di non imitarlo, non potranno i vostri cari pensare a voi, pregare per voi, trovandosi nel Purgatorio, nell’unione e nell’amor di Dio? E se già fossero saliti al cielo? se già fossero nel numero dei [p. 94 modifica]94,

IL BUON CUORE

santi? Oh, il bene che possono fare a voi nel cielo è ben più grande di quello che vi hanno fatto, di quel:lo che avrebbero potuto fare rimanendo sulla terra! Non è più solo per voi la protezione, l’amore di un fratello, di uno sposo, di una madre; è la protezione, è l’amore di un santo! E; voi, alla vostra volta, potete far molto per essi. Se i vostri cari sono nel Purgatorio, voi potete pregare pel loro sollievo: la vostra preghiera, le vostre opere buone applicate col merito a loro suffragio, sono per esse il bene maggiore desiderato e possibile: è il modo di alleviare le loro pene, di terminare le loro pene, è il modo di affrettare ad esse il supremo dei beni, il possesso nel cielo. Vi sembrano troppo scarsi i meriti delle vostre preghiere,delle vostre opere buone? E Cristo viene un’altra volta in vostro aiuto: Cristo permette che voi prendiate dall’altare il suo sacrificio, e applichiate i suoi meriti infiniti a loro suffragio. Qual pensiero consolante! Nel soccorrere i vostri cari voi avete a vostra disposizione gli stessi meriti di Dio! O santa corrispondenza di preghiera e di affetti che la grande verità della Comunione dei Santi ci permette e ci assicura di avere, per cui noi ci intratteniamo con quelli che son partiti, e quelli che son partiti si intrattengono con noi! Ma è proprio certa la corrispondenza nostra con quelli che son partiti? Il romanziere può rispondere con parole ambigite; la nostra fede risponde risolutamente nel modo più aff ermativo. Alberto era per me la luce che coloriva tutto. Con lui non ho io trovato forse dell’incanto in ciò che per lo innanzi mi annoiava od aveva per me insormontabili difficoltà? O mio Dio, non separa,,quelli che tu hai unito! Ricordati, o mio Dio, e perdona’ al mio ardire; ricordati che noi ci ricordammo sempre di te quando si obliava tutto il resto; ricordati che non vi fu un solo biglietto d’amore scritto tra noi nel quale non fosse il tuo nome, e nel quale non si chiamasse la tua benedizione; ricordati quando, pregavamo insieme, ricordati che noi abbiamo sempre voluto che il nostro amore fosse eterno. Alberto, puoi tu essere nella felicità e non importunare Dio di preghiere perchè mi chiami a farne parte?» E’ questo il grido di un’anima affettuosa e credente, confidato/ad un libro che or sono molti anni ha scosso colle sue delicate e sublimi espansioni le ’anime cattoliche, il libro che aveva per-titolo, il Recit d’une soeur; è un grido ardente perchè è un grido vero. è un grido che può essere di tutti perchè è il grido della fede di tutti.

La certezza di quésti benefici di Cristo volete voi averla non più colle mie parole, ma colle sue parole; ben più ancora, coi suoi fatti; fatti non isolati, ma raccolti, attuati in un fatto solo? Io mi ritiro e taccio; si avanzi, parli e operi Dio. Leggete, tornate a rileggere il racconto evangelico posto in principio di questa spiegazione, leggete la risurrezione di Lazzaro.

Io mi limito.a ricordare un periodo solo, è il periodo classico dell’affermazione dell’immortalità nella morte. Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, ancorchè fosse morto, vive; e chi vive e crede in me non morirà in eterno. Nel fatto della risurrezione di Lazzaro brillatrionfante la grande verità delle consolazioni che Cristo tiene in serbo nelle malattie o nella morte dei nostri cari. Quelle consolazioni non sono fittizie, non sono incerte; chi ce le dà, ce le può dare, perchè, accompagnando il’dono col miracolo, mescola alle lagrime dell’uomo l’affermazione, la prova di essere Dio. Nessun ostacolo può opporsi all’esercizio della sua onnipotenza, della sua bontà. Consoliamoci non soltanto per chi è partito: consoliamoci anche per noi; quello che avvenne ad essi, avverrà pure a noi: la parola di Cristo: io sono la resurrezione e la vita, è parola che abbraccia tutti i tempi, che abbraccia l’umanità. Tutti moriremo: che importa! Stiamo con Cristo,• e Cristo sarà sempre con noi. Paolo, vieni e conferma un’altra volta colla tua parola la parola del maestro: Consolamini invicem in verbis istis: semper cum Domino erimus. Nel Signor chi si confida Col Signor risorgerà. L. V

La visita e la benedizione del Papa Abbiamo già annunciato che il nostro direttore ha avuto l’onore di essere ricevuto in privata udienza dal S. Padre, e di aver chiesto e ottenuto di dare in suo nome la benedizione nell’Oratorio dell’Istituto dei Ciechi agli allievi ed alle allieve dell’Istituto, alle persone addette, e a molte persone ben feattrici. La divota cerimonia ebbe luogo il giorno i i corrente, alle ore io, nell’Oratorio dell’Istituto dei Ciechi, alla presenza di tutta-la Comunità, e delle persone addette. Un invito speciale era stato indirizzato a tutte le signore Capi gruppo dell’Asilo Infantile, con facoltà di invitare anche le signore aderenti. Monsignor Luigi Vitali, ora Rettore onorario e consulente nell’Istituto, celebrò la.Messa, che venne accompagnata da alcuni pezzi di musica vocale e istrumentale, seguita poi dalla benedizione del SS. Sacramento. Appena finita la Messa, Monsignore dall’altare rivolse al numeroso uditorio alcune parole, che qui riportiamo.: «Sono stato dal Papa: gli ho chiesto la benedizione per me, per gli allievi e le allieve, per le persone addette all’Istituto, e per le persone che in qualche modo sono benefattrici dell’Istituto. Sono qui a darvela. Per quale motivo sono andato a Roma? Il motivo di vedere il Papa nuovo, di presentargli i miei omaggi, ai chiedergli la benedizione per me, per gli altri, basterebbe a spiegare la mia andata. Due sentimenti hanno sempre dominato la mia vita, l’amore della religione, l’amore della patria. Es [p. 95 modifica]IL BUON CUORE si sono sorti in me, così associati, per la parola di un Papa, Pio IX. Io aveva nove anni, quando Pio IX eletto Papa il 16 giugno 1846, presentandosi sul balcone del Quirinale, dove si era fatto il. Conclave, sollevando le palme al cielo, gridò: Gran Dio, benedite PI talis. Quelle parole, in quel giorno, in quel momento, furono la scintilla del sentimento pWriottico in Italia. Quelle parole si sono infisseghell’animo mio, crearono un connubio tra l’amor di patria e l’anior di religione, che nessun avvenimento valse a sciogliere più mai. Quanti avvenimenti, quante lotte, accompagnarono lo svolgersi di quel programma! Oramai il programma è compiuto: il Papa è in Roma, e Roma è la capitale dell’Italia libera, indipendente ed una. Io sono sul declinare della mia vita: una felice combinazione ha fatto sì che io mi potessi allontanare dall’Istituto senza rimorso di trascurare l’indirìzzo e l’assistenza: una persona, ben nota, di ingegno, di cuore, di esperienza, mi ha sostituito: andiamo quindi a Roma: prima di morire, andiamo a tuffarci un po’ nell’ambiente della grande città, che per me è la più grande città del mondo; Roma, la capitale del mondo cattolico, Roma la capitale d’Italia. Vidi il monumento a Vittorio Emanuele, il padre della patria, destinato a ricordare appunto il grande avvenimento dell’unità e della libertà d’Italia; è un monumento che non sfigura in mezzo ai grandi monumenti della civiltà pagana e cristiana; è un monumento imponente a osservarlo dalla base, un monumento più imponente a osservarlo col salirlo e vederlo dall’alto. è un po’ come il Duomo di Milano: bello a vederlo dal basso, più bello a vederlo d’alto. Ho veduto il Papa. Io aveva già veduto altri tre Papi, Pio IX, due anni prima che morisse, nel 1876, l’anno del mio ingresso come Rettore qui nell’Istituto; Leone XIII, Pio X; volevo vedere l’ultimo papa eletto, Benedetto XV, anche perchè probabilmente sarà l’ultimo per me! Sua Eminenza, il nostro Arcivescovo, mi aveva dato una lettera di presentazione al Maggiordomo di S. Santità, per ottenere una udienza particolare: la ottenni particolare, con altre quattro persone, ma non individuale: un gran numero di Vescovi, ora venuti a Roma per la prima volta nell’attuale Pontificato, rendeva difficile la presentazione isolata di altre persone, che non avessero un motivo di importanza speciale. Che impressione mi ha fatto il Papa? Distinguiamo: l’impressione materiale, la impressione morale; l’impressibne materiale poca, l’impressione morale grande. E’ un uomo di piccola statura; ma una persona che si presenta franca, sciolta, che parla con parola pronta, precisa; si ha l’impressione di essere dinanzi ad una persona che sa, di una persona che vale. Ma quando dall’aspetto materiale si passa al ricordo della dignità, dell’autorità di cui quella persona è rivestita, si prova un’impressione di elevatezza che impressiona: direi che più la persona è piccola, più il concetto della dignità della persona si fa grande: egli è colui che nella persona di Pietro, Cristo ha detto: tu Pietro, e su questa pietra edifichérò •la mia chiesa; io ho pregato per te, o Pietro, affinchè tu un giorno in mezzo a tuoi confratelli, li confermi nella

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fede; pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle; è il successore di tanti papi che coll’ingegno, coll’autorità, colla santità, hanno dominato nei secoli, su tutta la faccia della terra; è il papa che anche al presente nel grande conflitto della lotta europea mondiale, ha fatto suonare la parola che a lui solo conviene, la parola pace, parola che fu ed è rispettosamente ascoltata. Il Papa era lì: entrato nelle sale senza alcun cerimoniale diplomatico, accompàgnato dal solo maggiordomo, più Pio X era Leone XIII. Eravamo solo quattro persone. Parlò colle altre, poi con me; io fui l’ultimo, e potei trattenermi più a lungo: aveva portato con me alcune pubblicazioni, che gli presentai in omaggio, e che egli, gradì, facendo alcune cortesi osservazioni. Poi gli chiesi la benedizione per me, pei miei parenti, per tutta la comunità, per le persone benefattrici dell’Istituto, da impartire nell’Oratorio dell’Istituto. Con paterna espansione d’animo me la diede; ed ora io son qui a portarvela. Ricevetela; è la benedizione del padre, del ’Santo Padre, del padre di tutti i fedeli; è la benedizione di colui, al quale Iddio ha ’concesso un’autorità speciale e suprema nella Chiesa: ricevetela con sensi di fede, di riconoscenza, di divozione; ricevetela per voi e per tutti i vostri cari: vi accompagni essa nei bisogni dell’anima e del corpo; e sia una benedizione che allargandosi da questo Oratorio abbracci tutta la nazione, l’Europa, il mondo, acqueti tutte le ire, ora scatenate, facendo gustare a tutti, col rispetto alla giustizia, i benefici della pace!

Un gentile onomastico all’Asilo Infantile dei Ciechi I n uno ilei passati giorni si celebrava nell’Asilo Infantile dei Ciechi di Milano una cara festicciuola. L’Ispettrice dell’Asilo, sig.na Matelda Cajrati, che coll’opera sua benemerita ha tanto contribuito nel passato alla fondazione e all’incremento del piccolo asilo. vedeva sorto il suo giorno onomastico. I piccoli bambini, come è loro consuetudine, vollero festeggiare il giorno sospirato coll’attestare alla loro benefattrice, i sensi della loro riconoscenza e del loro amore. La maestrina cieca dell’Asilo, signorina Lambrughi Armida, si assunse il gradito incarico di farsi interprete dei loro sentimenti, con un breve dialoghetto fra alcuni bambini, che qui riportiamo, e che sarà letto con compiacenza dagli abbonati del Buon Cuore, usi a considerare i bambini dell’Asilo, come una porzione della loro famiglia. Nella sala, che serve di scuola, stavano distribuiti sui loro banchini, le bambine colla divisa rosa, i bambini colla divisa bleu. Erano presenti i due Rettori, il Rettore. onorario Monsignor Luigi Vitali, il Rettore effettivo prof. sac. Pietro Stoppani, l’Ispettrice festeggiata signorina Matelda Cajrati, la Direttrice dell’Asilo signorina.Pollino Francesca, la Diréttrice dell’Istituto signora Emilia Avancini, le allieve che dall’Asilo erano in questi anni passati all’Istituto, ed altre allieve grandi e maestrine dell’Istituto. Due schiere di tre o quattro bambini e bambine, l’una di contro all’altra, erano venute nel mezzo, [p. 96 modifica]IL BUON CUORE

quelli di una schiera recando nelle mani dei mazzolini di fiori, gli altri a mani vuote, e subito si avviò fra loro, botta e risposta, il seguente dialoghetto: IL GIARDINO D’INFANZIA (DIALOGO). A. Che soave profumo di fiori! Sembra quasi di essere in un giardino fiorito. B. Invece siamo in iscuola. A. Oh, lo so bene; so però anche che qualcuno ha dei fiori. E. Sì, siamo noi; e sai a chi li abbiamo destinati? A. Quando si sa che giorno è oggi... non è difficile l’indovinarlo. Perchè allora tu A. B. C. D. siete venuti a mani vuote? C. Questo poi non è vero. P. Cosa avete portato di bello? B. Dei fiori anche noi. F. Però non hanno profumo. G. Fateceli toccare. R. Essi sono più belli e duraturi dei vostri. E. Chi ve li ha procurati? F. Ve lj hanno Une mandati da Tripoli? C. Essi sono proprio del nostro Asilo. G. Del nostro asilo?... Ma nel nostro cortiletto non c’è nulla ancora. F. Sta a vedere adesso che, forse, forse, spuntano • in iscuola... Precisamente; in iscuola, in sala, in tutti gli angoli di questa casa. Si può sapere almeno come si chiamano? B. Si chiamano... Anna.. Remo.. Rosetta... C. Ma questi sono i nostri nomi... E. Oh, bella, bella! Da bambini siamo diventati fiori. A. Ecco! Finalmente qualche cosa avete compreso anche voi. D. Sentite. l’Asilo non si chiama forse anche Giardino? E. Già,’ è vero... l’ho letto anch’io tante volte in un certo libro.... E. Ed io ho imparato una poesia dei bimbi, che incomincia: «Noi siamo i fiori di un bel giardino.» A. Benissimo: noi abbiamo quindi pensato di recare alla buona signorina Matelda, perchè siamo per lei i fiori più cari. la tenera fragranza dei nostri grati ed affettuosi sentimenti.


C. Orsolina ne ebbe il gentile pensiero, e noi volemmo imitarla. Tutti. Bravi, bravissimi. E. I fiori della natura ed i fiori del cuore, siano per colei che ebbe ed ha ancora tanta cura del nostro piccolo Giardino d’Infanzia, la miglioree-spressione di quell’affetto sincero, di quella viva riconoscenza, che noi le serbiamo e le serberemo sempre. (V e R 5 1). Io sono un piccol fior del bel Giardino; Ma due grandi parole ho scritto in cuor: Riconoscenza e amor. E per farti più lieto questo giorno Il mio labbro infantil le reca a te: D’altro incapace egli è. Jrntida Lambrughi, maestra cieca Uno scoppio d’applausi coronò la bella scena. I bambini e le bambine si recarono a presentare i loro doni alla signora ispettrice, che commossa li accettò, baciando in fronte i piccoli donatori. I bambini e le bambine, eseguirono in seguito sotto la direzione della maestra Parea Carolina, alcuni esercizi di ginnastica elementare, e cantarono, in coro, una breve canzoncina, con un a solo, bene intonato, di una bambina, accompagnati al piano dalla maestrina cieca Venturelli Carolina. La benedizione del Rettore onorario, fondatore dell’Asilo, impartita coll’acqua santa a tutti, pose fine alla bella cerimonia. nnunnnnnnnunnuuuuuuuuunuuununnunununnunnnnnuuuunnuuuuuuuunm