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IL BUON CUORE Il beneficio delle consolazioni di Cristo è fatto maggiormente comprendere dal profondo abisso di tristezza in cui trovansi coloro che non hanno queste consolazioni. Una delle anime che’nel secolo scorso fu col suo grido desolato come l’espressione di questo senso di disperazione di chi noti crede, di chi nella morte vede solo l’ultima delle sciagure umane, fu il Leopardi. Ricordare tutte le forme colle quali vestì il suo pensiero sarebbe ripetere tutta l’opera sua. Ricordiamone due sole. Nel Tramonto della luna verso occidente, a tarda notte, e nell’oscurità che tutto involve, dice che fra poco dall’altra parte Tosto si vedrà il cielo Imbiancar nuovamente e sorger l’alba.... Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora D’altra luce giammai, nè d’altra aurora: Vedova è insino al fine; ed alla notte che l’altre etadi oscura Segno poser gli Dei la sepoltura. Ma più truce ancora è la poesia che intitola A se stesso. E’ la poesia che ora è appena un anno teneva aperta dinnanzi a sè un giovine ricco patrizio napoletano, suicidandosi alla vigilia delle nozze! Amat’o e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T’acqueta ornai. Dispera L’ultima volta; al gemer nostro il fato Non donò che il morire. Il beneficio della speranza nella morte è così grande, è così sentito dall’uomo, che Gaetano Negrí non esitò a dire che da solo basterebbe a dar vita alla religione, a renderla indistruttibile. E’ una delle sue pagine più indipendenti e originali. «E’ un errore il credere che il solo movente, ed anche il movente principale delle azioni umane, sia l’interesse materiale. Il raggiungimento della maggior prosperità possibile, ecco lo scopo pel quale e nel quale, secondo alcuni, si esaurisce la potenzialità dell’anima umana. Certo costoro sarebbero nel vero, se gli uomini non avessero altro a fare che vivere; ma gli uomini hanno un’altra cosa a fare oltre il vivere, ed è il morire. Ora la presenza di questa seconda operazione muta radicalmente il problema, od almeno gli aggiunge una nuova faccia. Se, guardato dal lato della vita, il problema è esclusivamente economico, guardato dal lato della morte, il problema è esclusivamente morale. La preoccupazione della morte non abbandona mai l’uomo. Talvolta quella preoccupazione è soffocata sotto le agitazioni quotidiane; ma essa esiste sempre, più o meno latente, nel fondo dell’essere nostro. E’ un fantasma che portiamo appiattato dentro di noi, e che quando meno lo si aspetta, ecco ci si para dinnanzi. Ora la necessità di sciogliere il problema della morte è, nell’uomo, sentita più fortemente ancora della necessità di sciogliere il problema della

vita. E’ ciò che dà oggi una forza irresistibile alla re-1 ligione, Chi si immagina che la diffusione della coltura, che la cura degli’ nteressi umani abbiano a detronizzare la religione,, mostra di non conoscere che un cantuccio, e ben piccolo, dell’anima umana. Gli uomini sono capaci di inghiottire qualunque mistero, pur di non avere il voto, o dirò meglio, l’ignoto oltre la morte, e non c’è promessa di prosperità entro la vita che valga -a compensarli dello spavento che loro incutono le tenebre d’oltre tomba. La storia dell’umanità è determinata assai più dal modo di comprendere la morte che dal modo di comprendere la vita.» E altrove ancor più chiaramente: «Se noi andiamo in fondo del problema umano, vi troviamo sempre queste domande: — Cos’è la morte? Perchè la morte? — Ma, per gli stoici, il mistero della morte rimaneva tenebroso, come un’incognita angosciosa, per sciogliere la quale l’uomo non aveva la chiave. Il Cristianesimo gli ha data questa chiave. La morte non è l’estinzione della vita, è l’accensione della vita nuova, della vita vera. La vita terrestre non è che un tempo di prova a cui succede la eternità. Dio stesso ha mostrato, nella sua persona, morendo e risorgendo, dove sia la realtà della vita, e della morte. Gli uomini, morendo, andranno là dove è andato Dio stesso.... Incalcolabile è stata l’efficacia che questa idea della immortalità, germogliata dal fatto storicamente determinato della resurrezione di Cristo, ebbe sullo spirito dell’antichità che brancolava nelle tenebre della tristezza e del dubbio.» Questa è la prima consolazione che ci dà Cristo nella morte dei nostri cari — il concetto elevato della morte. L’uomo morendo non muore; la vita, morendo, non si toglie, dice la liturgia della Chiesa nella messa dei defunti, ma si muta in meglio. Per, chi rimane la morte di chi parte non è perdita, è soltanto separazione momentanea: il saluto della morte non è un saluto definitivo: è un: a rivederci!

La seconda consolazione precede il fatto della morte, si prepara e solleva durante la malattia. Ancora per l’eloquenza dei contrasti, entrate in una casa, dove giaccia ammalata, inferma, moribonda una persona cara, ma dove sventuratamente non aleggia lo spirito confortatore della fede. Si prodigano tutti i tesori dell’affetto e dell’assistenza, si esauriscono tutte le industrie della scienza, ma fuori di lì non si affaccia nessun’altra maniera di conforti: si vuol allontanare la morte, ma si guarda bene di parlare della morte a colui che vi va ognor più vicino; il parlargliene, collo spavento che arrecherebbe, sarebbe un anticipargliela: ma siccome malgrado ogni sforzo per allontanare la morte, la morte arriva, la sola impressione che si prova è quella dello sgomento, di una perdita senza compenso, di un dolore senza consolazione: la persona amata, quando sia morta, non c’è più, nè qui, nè via di qui: ella non ebbe alcun conforto prima di partire, e chi rimane non avrà alcun conforto dopo che è partita: l’ultima parola di una persona morta senza il conforto della fede è una sola — 1