Il buon cuore - Anno XIV, n. 10 - 6 marzo 1915/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 10 - 6 marzo 1915 Religione

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La leggenda dell’asino e del bue di Betlemme


Dipinti negli antichi affreschi, scolpiti sui primitivi sarcofagi, disegnati sui mosaici, incisi sulle gemme e sull’avorio, intrecciati alla storia e alla leggenda, l’asino e il bue nella rappresentazione della nascita del Redentore sono quasi così immancabili come i pastori, i Re Magi, Sali Giuseppe, la Vergine Maria e lo stesso Bambino Gesù.

Come si formò questa tradizione?

Nessuna menzione di questi due animali troviamo nelle pagine del Nuovo Testamento. Ecco come San Luca narra la nascita di Gesù nel suo Vangelo: «Ed Ella (Maria) portori il suo figliolo primogenito, e lo involse nelle fasce, e lo pose a giacere nella. mangiatoia, perciocchè non vi era luogo per loro nell’albergo». Eppure in questo passo del terzo Vangelo, si può trovare l’embrione di quella leggenda, embrione che cominciò a svilupparsi, oltre un secolo dopo l’apparizione del Vangelo di San Luca, per opera di Origene, il primo grande pensatore teologo, oratore ed esegeta della cristianità.

Nella tredicesima delle sue «Omelie su San Luca» Origine così interpretò il surriferito brano del terzo Vangelo: «Ecco ciò che prediceva il Profeta (Isaia) con le parole: Il bue conosce il suo possessore e l’asino la mangiatoia del suo padrone. Il bue è un animale mondo: l’asino immondo. Non il popolo d’Israele, ma l’animale immondo uscito dalle nazioni pagane conobbe la mangiatoia del suo padrone. Ma

Israele non mi ha conosciuto e il mio popolo non ha compreso. (Il libro d’Isaia, i, 3). Sforziamoci d’intendere ciò, facciamoci innanzi verso la mangiatoia per riconoscere il padrone ed essere fatti degni del suo sapere». Quantunque le Omelie su San Luca, improvvisate da Origene, siano giunte a noi in non perfette versioni latine, pure dal passo citato risulta chiaro che Origene soltanto allegoricamente applica le parole di Isaia alla visita dei pastori a Gesù Bambino giacente nella mangiatoia. Anche San Gregorio Nazianzeno e Sant’Ambrogio nei loro sermoni sulla natività di Cristo considerarono il bue e l’asino come semplici simboli dell’umanità israelitica e della pagana. E alla loro opinione, (ereditata certo da Origene, si associarono altri Padri e Dottori della Chiesa, quali Paolino vescovo di Nola, San Gerolamo, il poeta Prudenzio, detto il Virgilio cristiano, e San Pietro Crisologo.

A S. Gregorio di Nyssa, tuttavia, si vorrebbe attribuire un’opinione contraria. Nel suo sermone sulla «Nascita di Cristo» egli avrebbe detto: «Nel mezzo della mangiatoia fra il bue e l’asino giace il Padrone di entrambi, ed Egli, gettando giù il muro di divisione, può unirli in Sè stesso e farne un nuovo uomo, liberando l’uno dal pesante giogo della legge, e l’altro dal basto dell’idolatria».

Molta importanza viene data a questo passo di S. Gregorio da illustri gesuiti, quali Suarez, Maldonato e altri, i quali sostengono che la presenza materiale del bue e dell’asino nella mangiatoia al momento della nascita di Cristo sia una costante tradizione della Chiesa cattolica.

In ogni modo, la presenza del bue e dell’asino alla nascita del Salvatore simboleggiano i Giudei e i pagani che si recano ad adorare il Bambino Gesù nella stalla di Betlemme.

Intanto, durante i primordi della leggenda di cui ci occupiamo, i due simbolici animali venivano introdotti anche nell’arte cristiana.

Il primo esempio di ciò a noi tramandato è il frammento di un piccolo sarcofago trovato nel 1851 nella catacombe di S. Agnese a Roma, frammento che ora si trova nella sezione Cristiana del Museo Laterano, presso il famoso sarcofago che rappresenta «L’Ascensione di Elia». [p. 74 modifica]In quella scultura il bue fissa in viso il Bambino Gesti giacente nella mangiatoia, e l’asino, che rassomiglia piuttosto un ippopotamo, guarda ai piedi del Bambino. Al disopra ’ di queste immagini si legge. «Placido et Romulo Co»; ora, questi due consoli furono in carica l’anno 343. E’ incerto se del Natale di Gesù con la presenza del bue e dell’asino possediamo alcun’altra rappresentazione artistica preCedente alla metà del quinto secolo. I primitivi Cristiani per alta reverenza esitavano a raffigurare l’Uomo-Dio fra gli spasimi della sua passione o fra le umiliazioni della sua nascita. San Francesco d’Assisi, al cui cuore l’asino e il bue, come tutte le creature irragionevoli, erano fratelli, rese popolare la leggenda per tutte le età future. Sull’altura di Fonte Colombo presso Rieti, nel 1223, San Francesco persuase il suo amico Giovanni di Greccio a costruire una riproduzione della scena del Natale di nostro Signore. E lassù, la vigilia di Natale a mezzanotte affluivano dai luoghi vicini e tonta, ni, portando in mano una torcia, i contadini deside, rosi di celebrare il Natale del bambino di Betlemme, ch’essi vedevano raffigurato in un’immagine di cera stesa sulla paglia fra un bue e un asino di carne e ossa. E i ’frati francescani diffusero questa usanza in tutti i paesi cristiani. I teologi scolastici e i neoscolastici, non si occuparono molto dei due animali presenti alla nascita di Gesù, ma dedicarono i maggiori sforzi del loro ingegno a sciogliere le questioni relative alla stella che guidò i Re Magi. Secondo la «Leggenda Aurea» di Giacomo di Voragine (1298) Maria andò a Betlemme cavalcando l’asino, e San Giuseppe menò seco il bue per venderlo e sopperire così alle spese necessarie; ecco in qual modo i due animali si trovarono presenti alla nascita del Redentore. Fra i teologi più moderni che sostennero la presenza di quegli animali essere tradizione costante della Chiesa, i più importanti furono forse il gesuita Suarez e il cardinale Lambertini, eletto poi Papa col nome di Benedetto XIV. Ma più che alla forza degli argomenti teologici, la tradizione del bue e dell’asino deve la sua conservazione al fatto ch’essa parla al gusto popolare. Le grandi creazioni dell’arte cristiana l’hanno tramandata di secolo in secolo, e rimarrà sempre bella per la sua atraente semplicità e l’inerente verosimiglianza.