Il buon cuore - Anno XIII, n. 32 - 19 settembre 1914/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 251 modifica]Religione


Domenica 3a dopo la Decollazione

Testo del Vangelo.

Allora alzatosi un certo dottor della legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli rispose a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? Come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, e con tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola e disse.: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono, e avendogli dato delle ferite se n’andarono, lasciandolo mezzo morto.

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Or avvenne che passò per l’istessa strada un sacerdote, il quale, vedutolo, passò oltre. Similmente anche un leVita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui tirò innanzi. Ma un Samaritano, che faceva il suo viaggio, giunse presso di lui, e vedutolo si mosse a compassione, e se’ gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo ed ebbe cura di esso. E il di seguente tirò fuori due denari, e li diede all’oste e dissegli: Abbi cura di lui, e tutto quello che spenderai di più, te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che incappò negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va e fa anche tu lo stesso. 5. LUCA, cap. io

Pensieri.

In questo Vangelo c’è tutto il cristianesimo, non soltanto nella, essenza, ma nella sua forma caratteristica; l’amor di Dio e l’amor del prossimo; l’abor di Dio in tutta la sua elevatezza e la sua forza, l’amor del prossimo in tutte le forme pratiche del suo esercizio, le più delicate, le più complete, le più sublimi.

  • * *

Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? — Questa domanda qui è fatta per tentare Gesù Cristo, per metterlo, se è possibile, in imbarazzo, nel dare una risposta: l’intenzione non è buona, è anzi cattiva; ma la domanda è giusta; è anzi la grande domanda che tutti, e in ogni momento, devono rivolgere a se stessi; non c’è domanda che sia e possa essere più importante di ’questa, perchè riguarda non una cosa di noi, ma noi; non un fine parziale e libero, ma il fine ultimo e necessario.

  • * *

Che la domanda fosse fatta in modo subdolo, con intenzione non retta, appare evidentemente da ciò che la risposta a tale domanda già esisteva scritta nella legge, e se v’era qualcuno che non la dovesse ignorare era appunto un legisperito. Quante volte per non fare il bene si ostenta un’ignoranza che non si ha; o se ignoranza v’è, è ignorania superficiale, di disattenzione, che un breve atto di raccoglimento un richiamo a ciò che ci venne Insegnato, che abbiamo letto e udito molte volte, basta a fugare completamente! Riflettete, e vi accorgerete di sapere.

’Amerai il Signor Dio tuo•con tutto il cuor tuo, e con tutta l’animo tua, e con tutte le tuk forze, e con tutto il tuo spirito. — Ecco la prima condizione per conseguire con certezza la eterna salute, cioè l’amor di Dio. E’ il primo dovere, dovere assoluto per natura, per riconoscenza, per comando: per natura, perchè nessun essere è tanto perfetto quanto Dio, da poter essere da noi amato più di Dio; per riconoscenza, perchè essendo Dio nostro Creatore e Signore, quanto di bene è in noi è un beneficio suo; [p. 252 modifica]per comando, perchè Dio, per effetto necessario di sua perfezione e pel grande amore che porta a noi, non può imporci per necessità e per amore di fare quello che in noi è l’atto più perfetto e vantaggioso. E come deve essere sentito ed esercitato questg amore verso Dio? Nel modo più intenso, più completo: niente dev’essere in noi.che non cospiri all’amor di Dio, e non vi.cospiri in grado sommo; l’anima, io spirito, il _cuore, le forze, cioè le opere, tutto, tutto che è in noi e intorno di noi. La misura di amar Dio è di amarlo senza misura. E quando questo,amore • completo.e supremo è nel cuore, c’è tutto, perché. tutto vi è subordinato, e prima di tutto il fare la volontà di Dio, che ’abraccia l’adempimento della legge di Dio nelle sue diverse forme. E’ allora che si com- • prende in tutta la sua evidenza e in tutta la sua forza il grido e il precetto pratico per raggiungere la più alta perfezione che eruppe nei primi -secoli della Chiesa dal cuore infocato di Agostino; ripetuto nei secoli moderni dall’affettuosissimo Francesco di Sales:Ama, et fac quod vis; ama Dio, e poi fa quello che vuoi. Nell’amor di Dio è compreso l’amor del prossimo, oggetto pur esso essenziale sebbene secondario della legge di Dio. Ma questo amore va dichiarato, e perchè costituisce una serie immensa d’opere buone, e.perchè doveva’ essere questo il distintivo dei Seguaci di Cristo: anzi questo vangelo del Samaritano è detto ordinariamente Vangelo dell’amor del prossimo. Gesù Cristo non si accontenta del precetto generico, ma approfittando della domanda che gli viene rivolta: chi è mio prossimo? espone una parabola delle più belle, più affettuose, più caratteristiche, più delicate, che siano mai uscite dal suo labbro divino, anzi dal suo Divin Cuore.

Un uomo diede negli assassini. Non si specifica nessuna classe particolare di persone: basta essere uomini per. essere prossimi; tutti gli uomini sono prossimi, senza distinzione di età, di condizione, di religione, di nazionalità; è la grande universalità cristiana dellft carità del prossimo. Lo spogliarono, lo ferirono, lo lasciarono mezzo _.morto. Sono le di-. verse miserie in cui- l’uomo può trovarsi, o per caso di natura, o per colpa degli uomini; privo di beni, afflitto da mali, impotente a soccorrere se stesso. Passa il Sacerdote, passa il Levita, non si conimovono, non fanno nulla. Pur troppo chi per carattere o per officio dovrebbe fare, e fare prima e più degli altri, non sempre fa, o meno fa. Sarebbe questa una scusa per non far noi? Il vedere che gli altri non fanno il proprio doVere è ragione che ’dispensi dal fare il nostro dovere noi? No; anzi dovremmo dire il contrario: tanto più dobbiamo fare il bene, quanto meno lo fanno gli altri, per un bisogno di compenso, di equilibrio nel mondo morale, per consolare Iddio col nostro più di quello che lasciano mancare gli altri. Passa il Samaritano: è un estra neo riguardo al povero ferito; il caduto veniva da Gerusalemme, e probabilmente era un Giudeo, e coi Giudei i Samaritani erano in poco buoni rapporti, ritenuti anzi come scismatici. Avrebbe potuto dire:` non ci pensarono gli altri, che hanno più doveri di me, perchè ci penserò io che ho tanto meno doveri degli altri?. Invece... vede e si avvicina, interesse dei mali, grido della natura, che predispone alle opere della grazia: fascia le ferite, prestazione personale della carità: spargendovi sopra olio e vino, sacrificio dei beni propri, in corrispondenza illUminata e appropriata dei bisogni altrui; messolo ’sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso: non lascia la carità a mezzo, dovesse portare un po’ di scompiglio anche nelle sue occupazioni, compromettere forse un po’ i suoi interessi, sacrificare i suoi comodi. F. non basta: la sua carità non solo provvede ai bisogni vigenti, ma prevede i bisogni futuri: e il di seguente tirò fuori due denari e li diede all’oste, e dissegli: abbi cura di lui, e tutto quello che spenderai di più, te >lo restituirò al mio ritorno. Si può immaginare un esempio di carità verso il prossimo più’ delicato, più generoso, più completo, più efficace, più umilmente e serenamente sublime? Non doveva tornare difficile al legisperito, quando ’Gesù Cristo lo richiese chi dei tre dovesse dirsi prossimo al misero ferito, il riSpondere: colui, che usò ad esso misericordia.

Va e fa anche tu lo stesso. E’ il grido che uscito dal labbro divino di Gesù Cristo, confermato dal suo eroico esempio, l’esempio della vita, l’esempio della morte, l’esempio dell’Eucaristia, si diffuse nel mondo e lo ha trasformato. Va e fa anche tu lo stesso: ed ecco i primi cristiani, mossi dal principio di carità universale, mettere in comune i loro beni, formando un’sol cuore ed un’anima sola. Va, e fa anche tu lo stesso; ed ecco, accanto alle Chiese ed agli episcopi, aprirsi gli ospedali, i ricoveri pei pellegrini. Va, e fa anche tu lo stesso; e la redenzione degli schiavi diventa una delle opere più importanti e riformatrici dell’azione della Chiesa in mezzo alla società, iniziata dalla lettera di Paolo a Filemone, una delle pagine più umane; inspirata dal soffio della carità divina, che mai sia stata scritta. Va, e la anche tu lo stesso; ed ecco Dateo raccogliere nelle vie di Milano i trovatelli, ecco Gerolamo Miani raccogliere i fanciulli traviati e derelitti, ecco Giovanni di Dio istituire l’ordine (lei Fate-bene-fratelli per l’assistenza degli infermi; ecco Bernardo di Mentone condurre i suoi religiosi nei valichi, altissimi delle Alpi, per rintracciare i viandanti smarriti nelle nevi,, assiderati dal freddo. Va, e fa anche tu lo stesso, ed ecco S. Vincenzo (le’ Paoli, col miracolo delle suore dette appunto Suore di Carità, ecco il Cottolengo, il Bosco, aprire case per tutti i bisogni materiali e morali, ín tutte le forme, ecco insomma l’immenso spettacolo della carità cattolica del inondo, non senza ricordare il quadro più secreto e modesto, ma non meno difficile e [p. 253 modifica]importante, della carità del prossimo esercitata nel seno delle famiglie, qui una figlia che per anni ed anni assiste un padre, una’madre, là una ’sorella che circonda di cure affettuose il letto di un fratello, di una sorella; fiori r squisiti di carità, ignoti qualche volta agli uomini, ma notissimi sempre 4 Dio e agli Angeli suoi. l’a e fa anche tu lo stesso. Questo -grido vive in tutta la sua obbligazione, in tutta la sua bellezza, in tutta la sua efficacia,.anche al presente; questo grido è rivolto anche a tutti noi: onoriamoci di poterlo ascoltare, mettiamo il nostro impegno, la nostra glo- ria nel poterlo eseguire.

      • . Quanto è bella, quanto è grande la nostra religione! Amor di Dio, amor del prossimo! Amore di’

Dio in cielo, che porta la santità e il bene sulla terra; amor del prossimo. in terra che prepara i meriti presSo Dio nel cielo; amore presente, amore futuro, amore sempre! L. V.

Domenica a dopo la Decollazione Testo del Vangelo. In qUel tempo vedendo il Signore Gesù lungo la strada una piani(’ (li fic0, si accostò ad essa, e non vi trovò altro che foglie, e le disse: non nasca mai più da te frutto in eterno. E subito il fico si disseccò. Avendo ciò veduto i discepoli, ne restarono ammirati, e dicevano: Coine si è disseccato in un attimo? Ma Gesù rispose, e disse loro: In verità vi dico, che se avrete fede, e non vacillerete, farete non solo quel che è stato di questo fico: ma quand’anche diciate a questo monte: levati e gettati in mare, sarà fatto. E ogni qualunque cosa che domanderete nell’orazione credendo, la otterrete. (S. MATTEO, Cap. 9).

Pensieri. Abbiamo quí un fico sterile; da tre anni n’on dà alcun frutto. Il padrone si sdegna e vorrebbe farlo tagliare.. -,La parabola di Gesù per sè è semplice, Almeno sembra. Ma tuttavia non pare sia facile capirne lo scopo, il significato intimo, prOfondo. • E’ in essa una minaccia, «vero un,conforto, una speranza? E’ una minaccia e la più terribile che sia uscita dalla bocca di Gesù. Minaccia che rivela la profondità dell’animo suo. Nel Vangelo abbiamo due persuasioni circa ’il mondo, l’umanità: quella di Gesù e quella del popolo ebreo, specialmente dei maggiorenti della nazione. Gegù è persuaso che nella sua parola, nella sua predicazione vi è qualcosa di fatale, di inesorabile

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che, l’accettare o il rifiutare l’invito suo al pentimento, è gravido di conseguenze eterne. Siamo alla crisi finale. Questa persuasione di Gesù si rivela ad ogni pagina del Vangelo suo ((se non farete penitenza tutti quanti perirete ugnalmente.» Donde ha preso Gesù la sua persuasione? questo è il mistero suo. Nessun grande agitatore di uomini è apparso al mondo senza questa persuasione, senza che sentisse la sua parola legata a destini eterni. Bisogna che di questa perstiasione sieno compresi tutti coloro che hannongssione educatrice, salvatrice. nel mondo. Ma la persuasione di - Gesù, non era partecipata, accettata dal popolo e più specialmente dai maggiorenti. Gesù diceva: Se non accettate la mia parola, siete perduti. Ma era assai difficile far, entrare nella mente degli ebrei che Dio li potesse rigettare, che Dio potesse dimenticare l’alleanza, gli impegni contratti col suo popolo. Questo popolo che gli,,apparteneva per tanti titoli, ad esso era legato la gloria di Lui. Impossibile adunque lo potesse mai più abbandonare. Gesù quindi voleva illuminare dei ciechi, far sentire ai sordi. Eppure Egli parla chiaro e asserisce apertamente che, quantunque íl popolo ebreo sia proprietà di Dio, pure Egli lo può rigettare: questo ’è il profondissimo significato della parabola odierna. Che cosa Mai si può aspettare da un albero di fichi che da tre anni è sterile e non produce che foglie? Il padrone certo ci tiene, è cosa sua, sua pro:. prietà, vi ha speso attorno tante cure; ina pur troppo voi stessi o ebrei dovete ammettere che dovrà alla fine disfarsene, poichè tutto ha un limite. • Esauriti tutti i mezzi per trar dalla pianta qualche frutto, la taglierà. Cosi Dio si disferà di voi’, o ebrei, che tanti immensi benefici suoi avete resi sterili. Quando assistiamo alla predièa della:legge di Dio, la felicità, il castigo futuro, la conversione ecc., qualcuno è tentato di dire: «storie da predicatore, mondo va come prima: come si può dimostrare ciò the dite, come poSsiamo con certezza sapere che il nostro destino eterno è legato alla accettazione d al rifiuto della vostra parola?» Questo lo prova la fede non la storia. S. Paolo abbracciava con un sok’, sguardo i destini, di Israele, commessi intimamente all’aver rinnegato e crocefisso Gesù. Vi sono ’due mondi: il mondo morale ed il: inondo reale. Che il mondo morale influisce sul mondo reale, presiede agli `avvenimenti, li spieghi, li giustifichi, è cosa che la’scienza non insegna, ma-la fede. In che modo tutti gli avvenimenti della storia servano, siano soggetti al inondo morale, è il mistero di Dio. Ma pel credente è una realtà indiscutibile. Pel credente tutta la storia è legata al trionfo del bene. Qui sta il segreto della persuasione di Cristo e di tutti gli uomini che ebbero una efficace morale sopra l’umanità. Le cause seconde nulla dicono, ma se si guarda il mondo morale, si scorgono nette tutte le esigenze [p. 254 modifica]della giustizia, e senza tema di errare si può dire che. a questi o a quelli avvenimenti storici, condusse la giustizia mantenuta o violata. Chi ha ragione? lo storico o il credente? Tutt’e due. Lo storico fa lo storica. Sarebbe ridicolo che, per esempio, si volesse spiegare l’astronomia colle leggi del cristianesimo. Ma colui che oltre essere astronomo, è anche credente: vede Dio anche nel movimento degli Astri. Lo storico vede il trionfo del bene, la punizione del male, nel decadimento di un popolo, nella perdita di una battaglia ecc. Insomma lo storico tutto collega alle cause seconde. Il credente scorge nel mondo un principio superiore, al quale tutto è diretto. Il trionfo del bene della giustizia. Ogni male, come ogni bene, ha una eco eterna nell’universo. Il credente sente e vede Dio dappertutto, s’inchina e dora.


Una squadra di giovanetti ciechi dell’Istituto di Milano sul Monte Generoso.

I ciechi sul monte Generoso, all’altezza di 1704 metri, è mai possibile? Possibile, non solo, rna reale. L’idea di tale gita fu accolta con entusiasmo dagli allievi, che tutti volevano partecipare. Pei veggenti non dubito che la gita ha qualche cosa di meraviglioso, e infatti pei speciali e favorevoli punti di vista, nella solenne maestà dei monti si gode un imponente panorama, superbo di vastità e di magnificenza; un panorama ripieno dei più singolari contrasti, che si stende dalle scintillanti cime nevose alla immensa zona delle colline e delle pianure, soffuse di una delicata impronta di bellezza italiana. i La cosa è ben diversa pei ciechi, che però lassù respirano a pieni polmoni l’aria fresca e pura e sentono profondamente le bellezze, che altri ammirano. La sera della partenza fu un vero assalto alle carrozze che dovevano condurre i giovani ciechi al confine svizzero. Sotto un sereno limpido, tempestato di miriadi di stelle, al raggio argenteo della luna, ra canti ed evviva di gioia nella più schietta allegria e intimità di famiglia lasciammo la villeggiatura di Binago, Solbiate,•Casanova e Bizzarone. Al confine una guardia svizzera intimò «alt»: si scese di carrozza e senza bisogno di raccomandarci a tutte le nostre energie per proseguire a piedi, giungemmo freschi e lieti alla bella e graziosa cittadina di Mendrisio, che non ostante le forze mobilizzate era nella più tranquilla pace e quiete. La gradinata della superba chiesa ci servi dì campo aperto, e, mentre noi si attendeva l’ora della partenza, i nostri ciechi si famigliarizzavano anche con le guardie svizzere, i quali, costretti dal rigido

regolamento attuale, avevano a malincuore sospesi i nostri suoni ed i nostri canti presso un caffè. Per cortese gentilezza del buon arciprete di Mendrisio, di cui i ciechi conoscevano già per esperienza propria- la generosità, si ebbero tutte le indicazioni precise e alle 11.30 si cominciò la salita, lasciando Salorino e S. Nicolao a custodia delle falde; si segui la linea non troppo facile della funicolare con passo lento, grave e cadenzato, ma col cuor contento e desideroso della vetta, sospirata con canti giulivi e festosi fino a circa mille metri. Fra la più schietta ilarità si giunse alla Bella Vista, donde lo sguardo, spaziando sul lago di Lugano, nel silenzio della notte si beava nello spettacolo incantevole del Ceresio illuminato. La stanchezza non vinse il nostro ardire, e silenziosi, ma col sorriso sulle labbra, si volle sfidare anche l’ultimo tratto molto ripido e scosceso. Alle 3.3o il Kulm era nostro, completamente nostro; lo percorrevamo in tutte le direzioni; ma poi stanchi ci sdraiammo( sul nudo pavimento, che però ci sembrava soffice come un letto. Il canto riprese il suo sfogo. D’un tratto un rumore d’un passo ci fece sorgere: un omone dall’aspetto serio, ma dal cuor d’oro ci aperse il ristoro con grande gioia dí tutti, mentre si attendeva l’aurora. La levata del sole ha qualche cosa di divinamente bello; si vede, si sente, si gode e non si può esprimere; sembra lo sbocciare di una magnifica rosa al sorriso e al bacio della natura. Le cime nevose, indorate come per incanto dai raggi immacolati del sole, la natura che si ridesta alla vita esercitarono un fascino potente, che fu profondamente sentito dai giovani inebriati da una gioia ineffabile, invidiabile. Per uno,stretto viottolo (direi quasi impraticabile, avendo smarrita la via) irto di punte, ingombro di sassi, che rendono più vigile l’attenzione, più spedito il passo, ma più difficile la discesa si giunse a S. Fedele di Intelvi, baciati dolcemente in viso dall’aria balsamica dell’incantevole valle. Le io scoccavano a Castiglione, ove, ci attendeva una colazione frugale, condita da appetito straordinario. Alle 14 Argegno ci ospitava cortesemen te, in attesa del Tremezzo, che lieto sbarcò alla capitale del Lario i giovani alpinisti ciechi, stanchi, spossati ma contenti e felici di aver dato prova del loro coraggio, da tutti ammirato, e del loro ardire giovanile, coronato brillantemente da felice successo. Quel giorno sarà indimenticabile, poichè fu di tale gradimento che un allievo, non ancora sulla dozzina, facendo eco alla comune felicità, interrogato se quel giorno gli fosse piaciuto rispose con sorridente semplicità: (dio paura che sia il più bello di mia vita.., ritornerei al Generoso anche domani!» Un gitante. Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fasc;coli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAaAZZI.

t [p. 255 modifica]Le colonie dello Stato di S.ta Catharina (Continuazione del numero 29).

II. Le Colonie del Sud.

Nel 1880 fu iniziata la costruzione,della ferrovia Donna Teresa Cristina fra il porto di Laguna e Minas, allo scopo di sfruttare le miniere di carbone situate in questa regione. Nei lavori della medesima, che durarono 4 anni, furono impiegati di preferenza operai italiani, che vi si dimostrarono i più adatti. Ciò migliorò assai le condizioni economiche dei nostri coloni, i quali poterono fare dei risparmi e con quelli acquistare bestiame, costruire case, impiantare mulini e negozi. Molti dei patrimoni più considerevoli in Urussanga si sono formati, più che colle risorse della terra, coi risparmi fatti in occasione di lavori di ferrovie sia per l’apertura di strade e di impianti delle colonie stabilitesi più tardi, come quella di Nuova Venezia; in oc,casion dell’impianto di questa si poterono vendere agli immigranti di recente arrivati, con profitto mai più realizzato, i prodotti della colonia. Fino dal 1901 Urussanga, avendo raggiunta la quantità di popolazione sufficiente per legge a costituire un municipio, chiese ed ottenne di essere riconosciuta municipio autonomo, emancipandosi da quello di Tubartto cui fino allora aveva appartenuto, e che pur riscuotendo le imposte, ben poco spendeva per migliorare le strade e le condizioni di quella frequezia (frazione, sede di un giudice di pace). Il municipio è adesso amministrato quasi esclusivamente da italiani: solamente tre o quattro brasiliani vi sono impiegati. Le entrate del municipio nel quinquennio 1907-1911 furono le seguenti: Anno Milreis

1907 11797

1908 12288

1909 12696

1910 12264

1911 11944

La tassa municipale di fuocatico imposta nella misura di 3 a 5 milreis per famiglia, a seconda delle condizioni economiche, è devoluta a sussidiare le scuole, per le quali si spendono oltre 2000 lire all’anno, ed a migliorare le strade: per questo secondo scopo il municipio ha stabilito che ogni colono debba prestare la propria opera per ’quattro giornate ogni anno, in lavori pubblici stradali. Nel municipio non mancarono purtroppo i partiti fra gli stessi italiani, ma adesso anche per l’opera pacificatrice del R. Console, le scissioni si attenuarono e subentrò la concordia necessaria per la buona amministrazione. La villa di Urussanga. La villa di Urussanga, situata a 50 metri sul livello del mare, in una conca di colline non molto elevate, è assai più modesta delle altre sedi di municipi italiani lel Rio Grande: tutte le case, di cui molte costruite in muratura, sono allineate intorno ad una piazza intitolata Anita Garibaldi, a capo della quale sta la chiesa e la casa parrocchiale. Qui risiedono i commercianti più ricchi di tutto il

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municipio; ve ne sono sette o otto che hanno un patrimonio dalle 40 alle 100.000 lire: i loro negozi, poco più,di una dozzina, sono veri empori, ove si può trovare di tutto. Essi non solo forniscono al paese i generi importati, ma anche comprano dai coloni i prodotti coloniali per esportare. Da due anni vi è sorta anche una cooperativa di ’consumo che conta 65 soci. Nella sede di Urussanga si trova un medico italiano, ed una farmacia. Vi è pure un Istituto italiano, modestamente sussidiato, tenuto dalle Suore Zelatrici del S. Cuore ed è questa la scuola migliore di tutta la zona coloniale: havvi anche una sezione di classi elementari superiori, frequentata da fanciulle; il numero totale degli alunni è circa un centinaio. Di solito risiede in Urussanga un maestro Agente inviato e stipendiato dal R. Governo, il quale oltre l’ufficio di agente consolare e di ispettore delle scuole italiane sussidiate dal R. Governo in tutta la zona meridionale dello Stato, ha pure quello di fare la scuola. Perciò quando detto R. Agente si trova in Urussanga tiene la scuola dei maschi, e questi allora passano dalla’ scuola delle Suore alla sua. Peraltro, sia per le assenze dovute alle funzioni di ispettore, sia perchè non di rado, come attualmente, è vacante la sede della R. Agenzia, tale scuola va soggetta a molte interruzioni, e non ha la continuità di quella delle Suore; e quest’ultima per tal motivo si vede di tanto in tanto costretta ora a mettere, ora a togliere la sezione maschile. (Continua)