Il buon cuore - Anno XIII, n. 32 - 19 settembre 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 32 - 19 settembre 1914 Religione

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Passeggiate in Ciociaria

I cavalieri di S. Antonio

del Fuoco


Un prezioso ricordo dei cavalieri laici di S. Antonio del Fuoco, esistiti nei secoli XI e XII, si trova in una meravigliosa chíesetta di Leccano, in Ciociaria; ed è tanto più notevole in quanto la notizia di quei cavalieri è diffusa solo come leggenda.

S. Maria del fiume, che noi dovremo esaminare per spiegarci la presenza del documento nell’affresco, ove si trova, sorge presso la riva sinistra del fiume Sacco, fuori del paese, in luogo amenissimo; ed è tale gioiello d’arte architettònica, da reggere bene il confronto — così per la fortunata completezza, come per la squisitezza dell’opera d’arte persino con i celebri monasteri di Casarnari e di Fossanova, che facilmente furono edificati dalle stesse maestranze che eressero questa chiesa di Ceccano..

La facciata di questa è ricca di un magnifico porlale’ di sesto tondo che mostra di singolare la mensola destra sorreggente l’arco, perchè invece di portar scolpiti i gigli come il corrispondente, mostra curiosamente i simboli dei Quattro Evangelisti. Le colonnine della porta, parimenti a quelle che adornano i pilastri — quasi a sorreggere le facciature delle volte — sono fregiate di elegantissimi anelli dai fini disegni, semplici, squisiti e tutti differenti, Come i graziosi capitelli e le relative basi. Il finestrone rotondo della facciata, ben conservato come tut-

ta la chiesa. non possiede delle colonnine tanto ricche di lavoro da poter gareggiare con certe di altri monumenti dello stesso stile; ma è bello. Vi sono tuttavia le grandi bifore ai lati della abside, che si mostrano assai fini ed elaborate anche a chi, per esempio, ha veduto in Fondi il ricamo meraviglioso delle bifore del Castello.

Ciò che assolutamente si mostra superiore, a sua volta, è il pulpito; altro stupendo gioiello, perfettamente conservato e ricco di ogni eleganza e di ogni ricercatezza. Singolare è la colonna tortile, situata nell’interno superiore dell’ambone, ad uso di candelabro — come in S. Maria in Cosmedin a Roma — e interessanti e suggestivi — prospicienti dalla deliziosa balaustrata di colonnine spirali — i due leggii, dei quali quello per il Vangelo ha un viso d’uomo curiosamente freddo e insignificante, e quello per il messale porta il giglio. Di tanta eleganza esiste anche una squisitissima vaschetta acquasantiera; però nel resto non vi è altro che di notevole.

Sul centro delle volte fermano la fasciatura decorativa gli stemmi della famiglia del fondatore: il cardinale Giordano del quale la chiesa possiede scolpito in marmo un grande e rozzo stemma cardinalizio, singolarmente semplice nella fioccatura del cappello. I fregi e le decorazioni sono costituite dalle fasciature dotate negli angoli delle pareti, dai rosoni che spesso le interrompono, e dalle corone elegantemente scolpite, le quali, con i capitelli e le esili colonnine, adornano semplicemente i pilastri.

In tutte le pareti, e sui pilastri, e nell’ampia abside, si scorgono dei numerosissimi affreschi

Questi — che costituiscono le ricchezze più notevoli ed interessanti della chiesa — furono dipinti, in varie epoche, dal secolo XIII in giù, e furono più volte imbiancati durante vari secoli.

Ognuno ricorda che i vescovi, dopo le visite episcopali, ordinavano che la chiesa visitata fosse imbiancata a loro spese. Fra questi riferimenti, si legge, mi pare, nei vecchi libri: Episcopus mandavit dealbari.

Il fatto dello spessore della calce che copre le pareti, è dovuto quindi a tale usanza episcopale, che [p. 250 modifica]però, se spiega il fatto veduto, non giustifica insieme la prima imbiancatura. Ché gli affreschi non siano stati imbiancati a causa di un loro deperimento lo dimostra il fatto che questo ancora non esiste per tutti, nonostante il danneggiamento che viene ad ogni raschiatura. Che essi siano stati visibili fino al principio del secolo XVI lo dimostra la circostanza che uno — San Sebastiano — è stato ritoccato nel capo, o proprio rifatto, a spese di qualche devoto, nel 400. La imbiancatura quindi deve rimontare alla fine del secolo XV o al principio del secolo XVI. Ora però bisogna tener presente la storia della chiesa. Il cardinale Giordano, che la fece costruire, probabilmente usò i resti di un’altra già esistente in quel luogo. La cronaca di Fossanova, larga di notizie su questa città, (pare che sia stata scritta próprio da ’un monaco ceccanese, per ordine di Giovanni, signore di Cercano) dice che una chiesa di ’S. Maria del Fiume fu incendiata una prima volta, insieme a Ceccano e Ceprano, nel 1149, pur restando ancora in piedi, assai malconcia. nel 1158, essendo abate un Rogerius. Della vecchia chiesa però, debbono essere state utilizzate appena le mura. Il cardinale fondatore, -prima monaco e abate di Fossanova, fu fatto cardinale da Clemente III. col titolo di S. Pudenziana, per i servigi resi alla Chiesa, ed esendosi arricchito colla porpora, costruì a sue spese la chiesa di S. Maria, curando che divenisse ben fornita di beni, e potente. Infatti già il primo abate di S. Maria ricostruita, allora, e nel 1169 nuovamente consacrata, godette piena libertà, concedutale dal conte di Ceccano, Giovanni, con Charta Libertatis, riportata integralmente dalle Cronache di Fossanova: ed ebbe un convento, poi diroccato, del quale restano le fondémenta dilungantesi nella direzione delle mura della chiesa, nel modo ultimamente osservato con sca: vi eseguiti nel prato annesso. Per la consacrazione della chiesa convennero, allora in Ceccano, degli eminentissimi prelati, con potenti signori delle regioni vicine. La Cronaca enumera molti personaggi, e vanta per la Chiesa ricche donazioni di feudi e di oggetti, fatte per la circostanza. Così, sappiamo che fin dall’inizio l’abazia venne a possedere ricchezze e potenza non comuni: circostanze, queste. degne di osservazione, per ragioni che vedremo in seguito. Un colera, è noto,ha afflitto Ceccano in tempo,antico. Neanche il dotto storico di Ceccano, don Michelangelo Sindici — che fece lunghe, sapienti e fruttuose ricerche sulla Antica Fabrateria — ha precisato l’epoca in cui venne tale colera. Però c’è da considerare che per il fatto dei ritocchi quattrocenteschi del Sebastiano, si deve dedurre che 11 colera venne prima della fine del quattrocento o del principio del cinquecento. E’ questo, non ostante al cune altre circostanze, che a tutta prima inducono a pensare altrimenti. Gli affreschi, che appartengono a diverse epoche sono numerosissimi. Il principale è uno grande; rappresentante il Crocifisso con S. Antonio Abate, il quale solo non ha subìto la sorte degli altri, per la venerazione — io credo — che il popolo ha avuto per esso, protettore di ogni sorta di colerosi, e. quindi impossibile propagatore del morbo (circostanza provante il colera, che fece poi imbiancare per disinfezione della chiesa). Questo affresco è di arte bizantina, robusto e significativo, specialmente nella testa del Cristo che si dimostra opera di mano ben perita. E’ esso che contiene il ricordo dei Cavalieri del Fuoco, per il quale naturalmente viene ad avere un valore storico singolarissimo, oltre quello artistico già posseduto. Fondatore di questi cavalieri laici fu un tal conte Guico, che usava far trasportare il corpo del Santo ove si trovavano dei malati di peste; perché il «Fuoco» era appunto una peste o un male simile. Il Tosti nella sua Vita di Bonifacio VIII„ vol. i pag. 51, parla di un tal locelino, capitano d’armi, che ovunque muoveva guerra, portava il corpo del Santo per poter meglio vincere. Da Iocelino quel Guico aveva ereditato il corpo di S. Antonio, pér usarlo- a sua volta contro il nemico e contro la peste. Urbano II però, proibì quel continuo trasporto della reliquia: e ’fu allora che Guico fondò per S. Antonio una chiesa, affidandola ai Benedettini, e facendo nascere così, un Priorato di S. Antonio, che divenné di monaci ospitalieri, poi, perchè ai malati del ((Fuoco Sacro» o ((Infernale» che si traevano presso il corpo del Santo, onde esser guariti, fu creato un Ospizio. Morì in tal modo l’Ordine laico dei Cavalieri di S. Antonio del Fuoco, che avevano per stemma un’aquila, ma sorsero a loro volta i Monaci Cavalieri, che Bonifacio VIII da Benedettini, cambiò in Agostiniani, ordinando che portassero sulla tonaca, quale emblema, la lettera greca Tao, già usata dai primi, con l’aquila, a significazione poco precisata. L’unico oggetto che ci ricorda ora tale Ordine dei monaci abbiamo detto che si trova in questa chiesa, dove ai tempi di Bonifacio VIII vivevano dei religiosi Sub regola S. Augustini. Nell’affresco infatti, si vedono tanto l’aquila, quanto il Tao, mentre ai piedi del Crocifisso è dipinto un letto, o una bara, con visibile il coleroso forse guarito da Sant’Antonio. Tale dipinto — secóndo noi — potrebbe essere un ex voto, anche perchè — e tal cosa ci sembra assolutamente — quel letto.col malato deve essere stato aggiunto dopo, sia perchè si scorge non essere opera dello stesso autore del quadro, sia perchè si trova fuori luogo e a disagio. Infatti, essendo quello un soggetto che forse richiedeva da quell’autore un notevole spazio, per

ti [p. 251 modifica]una chiara rappresentazione, è stato dovuto troppo rimpicciolire, così che, mentre soffre una evidente esiguità di spazio, rompe nello stesso tempo l’ordine di costruzione del quadro tutto, che invece rileva tanta precisione e tanto amore, appunto di quell’Ordine, nell’artista che lo concepì in giuSta simmetria’ e dotato di armoniosa perfezione. Il fatto degli emblemi dei Cavalieri, esistenti nell’affresco, risulta evidentemente significativo. perchè per essò si dimostra assai facilmente possibile che siano stati proprio i discendenti — diciamo così — dei Cavalieri di S. Antonio del Fuoco, i Monaci Cavalieri Agostiniani, che la Cronaca di Fossanova, in molti passi afferma esistenti:n S. Ma-. ria. La presenza stessa dell’immagine di S. Antonio in questa chiesa, sarebbe del resto, assai eccezionale, se tale possibilità venisse negata. Ed assai più strano ed ingiustificato sarebbe l’affresco di S. Antonio, in quanto il Santo non vi è rappresentato solamente come protettore dei colerosi ma quale patrono di quell’Ordine di Cavalieri: tanto che ambedue gli emblemi caratterizzanti questi, vennero segnalati con cura dal pittore. Risulta, del resto, che col tempo, l’Ordine di tali Monaci Cavalieri morì perchè i monaci abusarono del loro uffizio per avidità di guadagno. Tale estinzione concorda con la istituzione in S. Maria, di dodici, preti, che furono confermati nel loro ufficio anche da Clettnente VI, con Breve del 1347, esistente negli archivi vaticani. Gli altri numerosi, affreschi che il Ministero della P. I. ha fatto scoprire e restaurare, e che presto farà accrescere con le opere di scoprimento dei rimanenti, che sono celati in tutte le pareti, destano a loro volta un ben singolare interesse. ANTON GIULIO BRAGAGLIA.