Il buon cuore - Anno XIII, n. 28 - 18 luglio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 28 - 18 luglio 1914 Religione

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CROCE BIANCA IN CAMPO ROSSO


I cappellani militari in Isvizzera


Nei giorni scorsi a Sciaffusa — la reginetta del Reno che reca nel suo scudo il caprone nero in campo giallo e nella sua legislazione e ne’ suoi costumi traccie ancora troppo forti del pregiudizio protestantico d’una volta, negante ai cattolici il diritto all’acqua ed al fuoco si è radunata a festeggiare il ventesimo della sua. fondazione la Società dei cappellani militari dell’esercito svizzero; in buona armonia, dando al caprone sciaf fusano un esempio di tolleranza civile che non dovrebbe andar perduto, pastori protestanti e sacerdoti cattolici riuniti, nello scopo di avvisare ai mezzi più adatti per conservare e promuovere fra le truppe il sentimento religioso, e con esso l’amor patrio, il rispetto al principio d’autorità ed all’ordine.

L’esercito svizzero ha presentemente 97 cappellan: militari, dei quali 56 protestanti e 41 cattolici. Di esci fanno parte della società -- secon lo lo stato nominat’vo che ho sott’occhio — 56 dei primi e 37 dei secondi. L’adunanza della società si tiene ogni due anni, ed ogni due anni si rinnovano le cariche per accordo portando-

si alternativamente alla presidenza ed alla vicepresidenza un cattolico ed un protestante.

L’assemblea di Sciaffusa ha per argomento speciale la discussione del nuovo progetto sulla liturgia di campo, con due conferenze: del capitano rev. Savoy di Friburgo sui compiti e sugli scopi della Società, e del capitano rev. Marbach, di Basilea, circa le sue esperienze come cappellano al servizio speciale delle truppe di montagna.

Nell’esercito svizzero, i cappellani militari hanno grado ed onorario di capitano.

Mette conto di cogliere quest’occasione per far conoscere anche in Italia l’ordinamento militare elvetico per quanto riguarda appunto i cappellani d’esercito.

Essi sono una delle più belle tradizioni militari. L’esercito e la religione furono sempre, in Isvizzera, strettamente uniti; nei secoli eroici della libertà elvetica sempre s’incontra il sacerdote a fianco del saldato. Alla celebre battaglia di Lansen (1339) il parroco di Derna (allora ancor cattolico) portava il Sacramento in testa alle truppe federali: a Morgarten, a Grandson, a Morat, così come a Novara ed a Marignano prima di marciare all’assalto gli svizzeri piegano il ginocchio alla preghiera.

Nel 1870-71 i cappellani militari seguono al confine franco-tedesco le truppe: i vecchi soldati scaglionati lungo il Giuria acclamavano il popolarissimo fra loro, il cappuccino P. Marcello.

Ogni reggimento di fanteria ed ogni lazzaretto li campagna comprendenti soldati delle due confessioni hanno due cappellani: un riformato ed un cattolico; quel reggimento o quel lazzaretto i cui soldati non appartengono che a una confessione sola, o dove gli aderenti ad altra confessione non sono che una minoranza di lieve conto, ha un cappellano della religione dominante. Cappellani speciali hanno le truppe di guarnigione al San Gottardo e a San Maurizio; quello del S. Gottardo [p. 218 modifica]è il giovane professore dottor Trezzini del Seminario di Pollegio, uno dei più studiosi sacerdoti ticinesi, già allievo delle Facoltà di teologia e di legge di Friburgo. I cappellani vengono eletti dal Consiglio federale su proposta del Dipartimento federale militare: devono perciò conoscere le lingue parlate nei rispettivi reggimenti e lazzaretti, essere atti al servizio ed aver fatto il corso di recluta, essere raccomandati dal rispettivo governo cantonale ed avere il consenso del comandante di reggimento o del corpo cui vengono addetti, col grado di ca‘to maggiore del reggimento o del lazzaretto: seguono pitano (come già si è accennato). Fanno parte dello Stale truppe nei corsi di’ ripetizione e nelle manovre, ma non vengono chiamati che eccezionalmente durante il servizio d’istruzione, o corso di reclute. L’articolo 14 del decreto federale 21 luglio 1882, cosi ne traccia il compito. «Le funzioni dei cappellani militari consistono nel celebrare l’ufficio divino, nel dare le cure spirituali agli ’infermi ed ai feriti, ai doloranti cd ai moribondi e nel soddisfare tutti gli altri bisogni religiosi dei soldati. Inoltre si adopreranno colla parola e coll’esempio, coi consigli •e coi conforti, a far regnare fra i soldati uno spirito buono. Secondo le circostanze li esorteranno a fare il loro dovere, ad applicare l’animo a cose serie, a mantenere strettamente la disciplina; ne rialzeranno il coraggio nelle fatiche e nei pericoli; impediranno con ogni possa le violenze e gli eccessi, interverranno nelle contese e faranno appello ai sentimenti d’umanità fra amici e nemici». E l’articolo 20 stabilisce: «Durante un servizio di lunga durata o in caso di guerra si darà ai soldati l’agio di comunicarsi e di ricevere i santi Sacramenti secondo il rito della loro co-nfessione».

La Società dei cappellani militari si è costituita precisamente al fine di studiare in comune i mezzi migliori di applicazione e di sviluppo di questi due articoli, ed ha la soddisfazione di poter constatare che l’opera sua non è rimasta sterile. L’accordo ha giovato, fra l’altro, al suo prestigio in alto ed in basso, e proposte di modificazioni e di miglioramenti presentate all’autorità militare vennero accolte e tradotte in pratica. Gli uffici divini celebrati in campo hanno conservato e quasi si direbbe aumentato la loro imponenza. Di essi così scrive il generale francese Langlois, direttore della Revue militaire generale ed ora membro dell’Accademia di Francia, a riguardo delle manovre svizzere del 1907: «Domenica, I settembre, in ogni raggruppamento un maestoso servizio religioso viene celebrato in piena campagna dai cappellani militari; esso è, naturalmente, facoltativo, si può tuttavia dire che.. non vi sono astensioni.» La forza militare della Svizzera è sopratutto morale, e quanti sentono profondamente la superiorità delle forze morali sopra tutte le altre comprenderanno perchè io ammiri il suo esercito». Si noti che il servizio od ufficio divino in campo non si limita alla celebrazione della messa: sempre il cap pellano militare tiene un discorso dimostrante l’indissolubilità dei sentimento religioso e di quanto profitto questo torni a quello; da qualche tempo vi si è aggiunto in dati reggimenti — •e l’uso viene generalizzandosi - il canto dei soldati in corpo, sull’esempio della Germania. La Società dei cappellani militari si’ è occupata anche del libro delle preghiere per il soldato e nel 1889 il pastore Alfredo Cèresole, ex-cappellano d’un reggimento vodese, provvide pei soldati protestanti della Svizzera francese coll’opuscolo Aux soldats suisses che esercitò un’influenza benefica; e nel 1908 il cappellano militare Widmer d’Argovia ne compose uno pei soldati cattolici della Svizzera tedesca: Der Schweizer Soldat, che subito fu tradotto ed adattato pei soldati della Svizzera francese dal cappellano militare Savoy di Friburgo e del quale sento che è prossima anche l’edizione italiana pei soldati ticinesi. Il libro del Widmer - Savoy è riuscitissimo; i competenti lo dicono migliore assai del Gebeltbuch (libro in preghiere) del soldato dell’impero tedesco. In non molte pagine si trovano condensate succosiss’imamente lezioni di religione, di storia e di civica: lo si direbbe uno di quei libri piccoli di mole ma che davvero rifanno la gente. I Cappellani militari del Canton Ticino sono due: uno pel reggimento ticinese e l’altro pei forti del San Gottardo: questo ultimo l’ho già accennato; il professore dottor Trezzini, càppellano del reggimento fu per lunghissimi anni il sac. Raffaele Gianora, antico alunno dei Seminarii diocesani di Milano, morto nel 1910, come assistente dell’Ospizio bleniese di Maria Ausiliatrice all’Acquarossa; a lui successe l’attuale parroco di Moribio Inferiore, don Alfredo Noseda, che è uno dei migliori sacerdoti d’azione e di carità ed insieme uno dei più colti della nostra diocesi. I Cappellani militari del Canton Ticino sono due: gionese fu pure per molto tempo l’attuale vescovo di Coira mons. dottor Giorgio Schmidt von Gruuneck, prelato eminentemente sociale, amatissimo anche nella parte italiana della sua diocesi. g. b. tn. --•.jz. "o•.l’.•

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LA VITA AL POLO NORD

Gli Eschimesi Sono selvaggi, ma non crudeli; non hanno governo, ma non mancano di regole sociali; sono incredibilmente ignoranti, ma pur posseggono una più che notevole intelligenza. Il loro temperamento è fanciullesco ed essi come i fanciulli si deliziano di piccole cose. Ma sono forti d’animo, come possono esserlo gli uomini civili più maturi e i migliori tra essi sono fedeli fino alla morte; dividono il loro ultimo bocone con chiunque sia affamato; non mancano mai di provvedere ai bisogni dei vecchi e dei deboli della tribù. Sono sani e di sangue puro; non hanno vizi, non bevano, non uccidono, non hanno abitudini cattive, non conoscono [p. 219 modifica]il giuoco; in complesso sono un popolo unico sulla faccia della terra e possono esser ben chiamati i filosofi del nord. Con questo benevolo giudizio del comandante Peary. Arnaldo Faustini chiude il suo interessantissimo libro sugli usi e i costumi eschimesi (Torino, Bocca. 1913) libro giunto verameute un po’ in ritardo, quando l’attenzione generale si è quasi distaccata dai piccoli uomini tranquilli, laboriosi e fedeli che guidarono le ultime spedizioni polari, ma, non per questo, libro meno utile e meno dilettevole per chi coltiva gli studi demografici. La voce eschimese deriva con molta probabilità da quella francese esquimau, lata dal missionario gesuita Lafiteau (J. F.) nel 1724 e come traduzione della parola indiana «abenaquisci» eskimantsik, che significa mangiar carne cruda. Secondo l’H;nd (1863) questo nome deriverebbe dalle parole degli indiani: Cree ascki, crudo, e mow, mangiare. Il Nourse fa derivarlo da una radice significante stregone nel linguaggio ielle tribù nordiche canadiane. Gli eschimesi, in genere, usano chiamarsi fra di loro innuit (uomini) e si designano anche con il nome di Karalit, mentre l’europeo vien chiamato Kabunak (coronati). La maggior parte degli scienziati ritengono che l’eschimese rappresenti l’ultimo anello della razza mongolica (Hiperboream Mongolicae), emigrata, a volta a volta, dalle estreme coste siberiane, dalle isole aleutine, dall’Alaska e, via via, fino a toccare le spiagge dell’odierna Groenlandia attraverso gli stretti e i canali dell’arcipelago artico americano e di Smith. E’ questa, fra le tante, l’opinione più verosimile e meglio documentata. I Groenlandesi stessi si dicono discendenti da un lontano popolo abitatore di una ricchissima contrada situata molto più a nord (a nord-ovest), e cioè oltre gli attuali confini che segnano l’estremo diritto di giurisdizione del governo danese. L’esodo eschimese, dopo aver avuto principio sulle coste dell’estrema Asia nordorientale, ripartivasi in tre correnti: la prima e la principale, che seguì la zona media dell’arcipelago artico americano; la seconda e la terza (correnti secondarie) che seguivano, rispettivamente, e sempre da ovest a est, il litorale del nord-America per discendere sulle coste del Labrador, e la parte superiore lel suddetto arcipelago. Il oolor della pelle è negli eschimesi generalmente olivastro; talvolta di un bruno chiaro, tal’altra grigio; il Petitot, a riguardo degli eschimesi dell’Alaska dice che sono di color caffè al latte. Secondo Saabyee, i fanciulli eschimesi al loro nascere sono bianchi al pari degli europei, ed hanno ai lombi una macchia azzurrognola, ohe a poco a poco si estende per tutto il corpo, cagionando cesì il colorito oscuro. Gli occhi hanno bruni ed un po’ obliqui, scuri i capelli, rada la barba e i baffi; la faccia è rotonda, il naso or piccolo or grande (secondo le tribù), la statura bassa, (m. 1.58 circa per l’uomo, 1.53 per la donna), con variazioni da tribù a tribù. La fecondità delle loro donne è scarsa, benchè

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non conoscano malattie costituzionali, ignorino quasi l’alcoolismo ed il tabacco, tuttavia la tisi, il vaiuolo ed altri morbi, forse importati da europei, sterminano intere tribù e in generale a 50 anni ogni eschimese si incurva orribilmente e molto di rado giunge al 70.°. L’eschimese in generale, non è molto intelligente, ma è dotato, in contraccambio, di una larga dose di senso pratico. Il suo spirito, infantile, è curioso ed avido di istruzione. Non è difficile avvicinarlo; al secondo giorno la sua timidezza è sparita, soltanto che gli si dimostri cortesia. Lo spirito di vendetta gli è totalmente sconosciuto; non comprende però affatto la riconoscenza, forse perchè ogni bottino è diviso in comune. I fanciulli nutrono un immenso rispetto per i loro genitori; gli uomini professano venerazione per gli antenati e non prendono alcuna decisione importante senza aver prima chiesto consiglio alle loro donne, con le quali non hanno mai discordie. Sono perseveranti nelle occupazioni; tenaci nelle idee; poveri in tutto, salvo in genialità, curiosità e spirito di imitazione. Sono fedeli, e lo dimostrano i molteplici accompagnatori di esploratori; affettuosi, devoti, coraggiosissimi. L’organo vocale eschimese maschio è, in generale, singolarmente grave e sonoro, mentre quello della donna è spento, stridente.

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L’eschimese vive in villaggi; piccoli nuclei composti per lo più di dieci o dodici abitazioni; situati in generale presso le rive del mare, dal quale traggono, sì di estate che d’inverno, le prime, le più abbondanti e le più necessarie ’provviste alimentari, e disposti in una sola linea, a semicircolo, presentante la convessità dal lato del vento più forte o dominante. Le abitazioni si distinguono in due grandi cotegorie: abitazione invernale, ed abitazione estiva. La costruzione di una casa invernale o igloo, per un abile eschimese, non occupa più di una ventina di minuti. Quando i blocchi sono stati sovrapposti l’uno all’altro, si chiudono le connessure con sottilissima polvere di neve e vi si getta dell’acqua fredda che, congelandosi istantaneamente, forma un tutto solido e saldo ad ogni prova. L’apertura della finestra è fatta per ultimo, ed è chiusa da una sottile membrana d’intestini di foca e di renna cuciti insieme, o da una semplice lastra di ghiaccio. Grazie alla fiamma delle lampade ed agli effluvi caldi che emanano i corpi nudi degli eschimesi, la igloo si riscalda in meno di dieci minuti e la temperatura si eleva a mano a mano, sino a 18 gradi e talvolta sino a 30 centigradi, il che è sufficiente, non solo a sopportare il freddo, ma per mantenere in istato liquido l’olio da bere e quello da bruciare. L’unico, se non if più notevole inconvenihnte che si abbia a soffrire in un tal genere di casa è lo stillicido.(kudukt) causato, si comprende bene, dall’aumento della temperatura; stillicidio però, che viene arrestato, almeno per qualche tempo, con un sistema tanto semplice per quanto pratico, è che offre una nuova prova della sagacità e dello [p. 220 modifica]spirito eschimese: la padrona di casa tien sempre a portata di mano un po’ di neve e, alla prima gocciola, ne taglia col coltello un piccolo cubo, vi soffia su un lato e ne tocca il punto che sgocciola. Basta un attimo, perchè la neve, •freddissima, sottragga al piccolo serbatoio d’acqua’ tanto calore da congelarlo; e il cubetto. vi rimane attaccato. Però in queste abitazioni vi è un insopportabile odore, dovuto al sudiciume, ai vasi d’orina, alla decomposizione dei rifiuti, all’olio ed ai grassi bruciati, alla nessuna ventilazione, sì che l’atmosfera vi è così greve da poterla quasi affettare can un coltello. L’eschimese non pecca di soverchia nettezza: ignora quasi del tutto l’uso dell’acqua e, tivando lo stato ’del sudiciume diventa troppo spesso e gli dà noia, lo toglie con un poco d’olio. Le donne, poi amano l’odore delle’ orme, tanto che confezionano, col grasso, dei cosmetici da offrire ai loro fidanzati: in essa compiono veri e proprii bagni: e d’una ragazza che siasi così acconciata o pulita dicono:’ Niviarsiksuarnerks, che significa: «manda il profumo di una vergine». In questo caso adoperano come sgrassatore la pelle del pesce crudo; i bambini vengono, invece, leccati dalla madre, come fa la gatta con i suoi piccini, sinchè divengano lucidi. E ciò pel preconcetto di conservarli sani e robusti. All’igloo invernale si oppone la tupik, o tenda di pelle estiva, nella buona stagione. Dieci o dodici pelli di foca, cucite insieme, formano la tenda che viene sostenuta da pali alti sul •dinanzi e da pali inclinati a tergo, in modo da offrire una resistenza minima al vento. Talvolta questi pali sono fatti di ossa e corna di narvali collegati con tendini di renna alti dai tre ai tre metri e mezzo. Il piccolo eschimese non ha un vero e proprio letto e si serve di una piattaforma costituita da un banco di neve che si distende lungo il muro circolare della igloo, alto dal suolo una quarantina di centimetri. In alcune altre igloos essa è composta di lunghe •pietre piatte sollevate dal suolo mediante sostegni di pietra. Al di sopra si stendono pelli di foca, di renna e di bue muschiato che formano, così, una specie ’di rudimentale materasso. Nella tenda estiva, invece, il letto è costituito. da uno strato di musco, e di eriche sovrapposti ad una piattaforma di legno sostenuta, anch’essa, da frammenti di pietra alta pochi centimetri. Gli eschimesi hanno di rado la tavola da pranzo e non posseggono sedie e sgabelli: essi si accoccolano in terra o sul banco del letto, con le gambe ricurve a mo’ dei turchi e degli arabi. Fra gli utensili domestici (simile, in tutte le tribù dell’artico), principale è quello della lampada. Essa arde continuamente, sia che la famiglia dorma, sia che vegli: essa serve conie stufa e come focolare, sia per riscaldar la igloo che per cuocere le vivande. La igloo è così bene riscaldata ed illuminata da questa lampada che gli eschimesi possono benissimo rimanere completamente nudi. Dormono can la testa verso di essa e la donna si colloca in modo da poterla avere sempre a portata di mano e di poterla curare. La lampada è pesante, quantunque sia fatta con una pietra plastica, la pietra oliare, che i groenlandesi ottengono da una località situa ta a sud del fiord di Umanak e presso Godhaah. Non si usa che d’inverno: viene riempita di grasso e di olio; un piccolo fiocco di musco o di eriche o tendini di balena serve da lucignolo e non passa molto che l’intero stoppino prende fuoco ed una splendida fiamma illumina l’ambiente. La lampada si spegne col ritorno del sole e allora il cibo vien cotto bruciando dell’erica. (Continua)