Il buon cuore - Anno XIII, n. 27 - 4 luglio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 27 - 4 luglio 1914 Religione

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Il Vesuvio si ridesta?...

VALLE DI POMPEI, maggio.


Pare di sì: almeno per ciò che ne dicono i competenti e per quanto ci risulta dalla visione quotidiana dei suoi fenomeni di attività.

Dopo un magnifico e terrificante spettacolo dell’eruzione, del 1906, i cui disastri non sono ancora del tutto alleviati, il Vesuvio ci apparve sotto un nuovo aspetto antiestetico.

Dappertutto nel mondo, e dico nel mondo appunto perchè questo clagsico vulcano gode di una popolarità universale, si conosceva il Vesuvio dalla sagoma slanciata terminante in un vertice elegantemente coronato di vapori. Ma un bel giorno, vedemmo il nostro Monte, prima oggetto di ammirazione per la sua fumida bellezza, divenire una qualunque cosa antipatica. Infatti chi poteva più ammirare un Vesuvio decapitato, sformato, brutto del suo grigio di cenere e levato verso il cielo come un vaso capovolto? E poi, sopratutto,

un Vesuvio che non sapeva più fumare?.. I buoni napoletani che avevano maledetto le sue ire ignivome, ma che però ci tenevano assai a quel bel pennacchio di fumo divenuto un necessario complemento di bellezza al maraviglioso panorama del loro golfo, dapprima guardarono pavidi l’insolita novità del mostro addormentato, poi rassicurati disprezzarono ed irrisero l’impotenza del gigante esausto: ’U Vesuvio nun è bbuono a niente cchiù!; poi non si curarono più di lui, perchè non ne valeva più la pena.

E questa glaciale indifferenza napoletana ha dovuto agire, più che non lo scherno sull’immane cuore Ormai sui suoi fianchi cicatrizzati non del ciclope salivano più che strani uomini, chiusi in rigido silenzio, armati di teodolite e li barografo; uomini dallo sguardo indiscreto e dalla mano audace. Essi giungevano sulla cima, piantavano i loro strumenti, facevano osservazioni, misuravano, prendevano appunti, scrutavano la bocca dilaniata, raccoglievano sassi, partivano. Ma la rude bonomia del vecchio titano voleva riudire le risate impertinenti delle allegre scampagnate, provare il solletico di quei piedi giovanili lanciati alla corsa disordinata, adornarsi (era forse la vecchia moda degli dei mitologici, come è adesso la caratteristica dei successi futuristi?), delle bucce d’arancio, dei gusci d’uova schiacciati, delle ossa spolpate, di tutti i resti insomma di una colazione da montagna.

Sicchè scotendosi dal lungo torpore ha cominciato davvero a dar segni di risveglio. Già finora si constatava la sua attività cessare dallo stato puramente solfatarico per assumere nuove forme che se non sono ancora stromboliane, si avviano però a diventarlo.

La voragine craterica non ha ormai più quel fondo completamente ostruito e frastagliato, la cui orrenda bellezza, e i cui selvaggi contrasti topografici davano un concetto abbastanza chiaro ed esatto di ciò che sono le grandi convulsioni dela natura nelle loro gigantesche manifestazioni. Vedevasi finora da quel fondo ineguale e indescrivibile venir su dei vapori ora bianchissimi ora giallastri per la intensa presenza di acidi, ora cinerei e grigio-nerastri, E questi vapori esalavano con una quasi periodica regolarità, che aveva le sue influenze sullo stato atmosferico, sia da larghi crepacci insondabili, come dalle ruvide pareti interne tagliate a picco; e ancora [p. 210 modifica]filtravano, senza un’apparente via di uscita, dal terreno a superficiale base di cenere a fondamenta di lava e scorie dei ripidi divi adiacenti esternamente alla voragine. Di tanto in tanto, quando questo lento lavorio minatorio aveva ben compromessa la saldezza di qualche punto, si avevano frane colossali, la cui nube polverosa salendo verso l’alto dava l’impressione di un getto improvviso di vapori partente da un condotto centrale. E appunto questo condotto centrale ora comincia a sistemarsi liberandosi dalle ostruzioni. La emissione di vapori ora è divenuta regolare e va assumendo forme classificate. Una prova che il condotto centrale abbia ripreso o stia per riprendere la sua diretta attività di funzione l’abbiamo in questi giorni nell’osservare sulla cima del Gran Cono formarsi il ben noto «pino», nome dato, in omaggio al grande naturalista romano che primo studiò il Vesuvio nella storica eruzione del 79, a quella speciale forma d’emissione di vapori o cenere che sia, la sua ascensione con un aspetto di getto cilindrico, e giunta ad una certa altezza si allarga e si distende: rassomigliando notevolmente all’albero chiomato di questo nome. Ora siccome per l’ascensione compatta di questa densa nube di vapori occorre la spinta d’una forza centrale e ben determinata che solo può aversi dalla diretta comunicazione del dinamismo interno del vulcano, così bisogna concludere che il focolare magmatico abbia ripreso gnalmente, o sia molto prossimo a farlo, il diretto contatto con l’atmosfera a mezzo del condotto centrale. Sintomi premonitori di questo fenomeno sono stati i non infrequenti boati intesi dalle popolazioni dei paesi e città accampate ai piedi del colosso. Molti abitanti anzi affermano di aver visto durante la notte riflessi di fuoco attraverso la colonna di vapori, il che conferma l’ipotesi suesposta. E così un po’ per volta ci avviamo a rivedere il nostro Vesuvio riprendere la seconda fase dei suoi periodi eruttivi. Fase di riposo, fase preparatoria (fenomenica), fase eruttiva: questi sono gli stadii ben distinti dei giorni periodi vesuviani e dei loro intervalli. Un accurato esame cronologico delle eruzioni h* dimostrato che il Vesuvìo subisce gli effetti di una legge di ricorrenza. Esso ha i suoi periodi stabiliti, naturalmente, però con una regolarità variabile nei dettagli, come sarebbe, ad esempio, la differenza di qualche anno. Il Mercalli che a tal proposito aveva compiuto speperiodi vesuviani hanno ciali studii, affermava che una durata media tra i venti e i trent’anni. La prima fase di riposo si concedeva tra i sei e gli otto anni, la seconda preparatoria, è la più lunga e nel medesimo tempo quella che presenta la più grande svariatezza di fenomeni, poteva avere tanto i caratteri stromboliani quanto i caratteri eruttivi della fase estrema. In essa i fenomeni stromboliani e vulcaniani si alternano e si confondono capricciosamente. La fase ultima, eruttiva di paros’sismo ha generalmente una durata breve, di giorni. In questa soltanto si hanno a temere le catastrofi: emissioni di lava, appena accennate dalla bocca centrale, larghe ed abbondanti dagli squarci laterali; dinamismo intensissimo, occasionante pioggie di cenere

e lapilli fini a notevoli distanze nei dintorni ne caratterizzano la classificazione. Le parziali emissioni laviche della seconda fase non costituiscono che tentativi abortiti di eruzione. Dalla quale eruzione siamo ancora abbastanza lungi. Non ce ne rammarichiamo •di certo, noi, soltanto avremmo desiderato un prolungamento della fase solfatarica. Durante essa l’interno del cratere poteva ancora scandagliarsi, scrutarsi, analizzarsi, percorrersi. Percorrersi, si: non ho inteso con questa parola dire un pleonasmo od una asserzione fantastica. Perchè degli audaci non per le vie dell’aria, nè per quelle della fantasia, sono giunti sino al fon lo del cratere vesuviano. E non vi sono andati per turismo o per vanagloria: hanno affrontato vie inacce,_sibili e pericoli mortali per compiere quello •che essi chiamavano un loro dovere di pionieri della scienza, quello che noi forse avremmo chiamato atto di insana ed inutile temerarietà. Corrado Cappello, un giovane scienziato ventisettenne vi discese per primo nel settembre 912. Dopo la eruzione del 906 era quello il tempo più pericoloso per un simile tentativo a causa delle continue frane che avvenivano nelle pareti e versanti interni del cratere. Fu sconsigliato da tutti coloro che vivevan la vita del vulcano, e ne conoscevano i pericoli e le insidie. Eppure ei fu deciso. Un solo vecchio custode dell’Osservatorio Vesuviano si offerse di accompagnarlo. Ricordo quando il giovane professore mi raccontava quella sua storica discesa, di cui non voleva comprendere l’eroismo. Frane che furono cento volte sul punto di travolgerlo, temperatura di duecento e più gradi che non permetteva istanti di riposo in un sol punto; vapori asfissianti di acido cloridrico... Egli mi parlava di tutto ciò come si trattasse della cosa più naturale del mondo... Fece delle osservazioni, prese delle fotografie e prima di ritornare al sicuro piantò in un punto ben visibile del fondo, un gran drappo rosso. I giornali non parlarono, o quasi, di questo modesto e coraggioso giovane che prima aveva osato raggiungere gli inviolati recessi ove si asconde la roggia anima del mostro. Poi vi discese Alessandro Malladra, il fedele coadiutore e cooperatore validissimo in questi ultimi tempi, del povero Mercalli. Le peripezie del suo deseendit ad inferos sono state conosciute in conferenze ed articoli. Un gentile episodio non è noto: giunto al fondo del cratere egli potè riprendere un ultimo brandello del drappo lasciatovi dal Cappello, ormai scolorito ed intaccato come una bandiera di battaglia alla prova del fuoco. Questo resto glorioso ora figura nel nuovissimo, e finora unico al mondo, Museo Vesuviano, che un altro fervido amatore del vulcano — il sacerdote Giambattista Alfano - ha fondato a Valle di Pompei; raccogliendo con paziente e pertinace opera di studioso una quantità straordinaria di materiale preziosissimo interessante la storia d61 Vesuvio. E studiosi e mecenati si contendono la gloria d: lasciare un nome nella storia del nostro Monte Vesuvio, di questo vulcano che è il solo al mondo classicamente perfetto, il solo che abbia una storia abbastan [p. 211 modifica]za completa, una petrografia studiata, una mineralogia classificata, una flora conosciuta, dei caratteri fenomenologi complessi e svariatissimi, ma tutti analizzati dalla incessante vigilanza dei suoi amatori. Altri vulcani presentano attività specializzate, il Vesuvio le presenta tutte: cosicchè studiare il Vesuvio è come studiare tutti i vulcani della terra col loro complesso treno di fenomeni e di eccezionalità: e studiare a fondo il Vesuvio è bastevole per diventare vulcanologo. Questa verità, ben dimostrata dall’esempio delle nostre più illustri glorie vulcalogiche, l’ha pure ben compresa Immanuel Friedlaender, un mecenate tedesco che, consacrando a questo nuovo ramo di scienza il suo ingegno e la sua fortuna, ha fatto sorgere a Napoli, terra classica di vulcani, l’Istituto Vulcanologico Internazionale. E lassù, al Vomero, nella placida Villa Hertha, tutta bianca tra il verde dei giardini, si prepara la concretizzazione di un programma scientifico il cui non facile svolgimento l’Italia dovrebbe soccorrere con mezzi e con prestigio ufficiale, orgogliosa di essere stata prescelta a sede e centro di tali importantissimi studi. E come ha i suoi storici ed i suoi mecenati, ha pure i suoi eroi. Da Plinio a Matteucci, che bloccato dalle lave rispondeva semplicemente di star bene a chi 3i interessava di lui: da Melloni a Mercalli, da Panifici.; a Cappello e Malladra, che pare abbia sempre sul volto l’acceso riflesso delle vampe crateriche: a lohstonI avis, a Perret, quest’ultimo un ebreo errante.Iella vulcanologia, presente come scienziato e turista ad ogni attività eudogena, spettatore intelligente di ogni eruzione terrestre, ora infermo in una isoletta nipponica, ferito nel grandioso incendio del Kagoshima. Intorno al Vesuvio cosi si raccoglie e lavora una eletta schiera di fervorosi infaticabili che ne osserva le manifestazioni, ne scruta i fenomeni, ne analizza ì palpiti immani, ne raccoglie, classifica e conserva i prodotti per la storia. Tutti ancora fiduciosi ed intrepidi, ora che il maestro è scomparso col suo tragico destino, ora che Giuseppe Mercalli, il primo tra i vulcanologi contemporanei - degnissimo sacerdote di Dio e illustrazione fulgida della scienza - si è combusto tra le fiamme, ancora rivolto al suo Vesuvio: che si è risvegliato ora mentre se ne moriva la sua vigile sentinella. Continuerà questo magnifico e terribile vulcano a darci i suoi incendi formidabili ed i suoi sopori, le sue gravide nubi ed i suoi erompenti fiumi di fuoco, finchè coll’avvicendarsi delle sue attività, nutrendosi ed accrescendosi di sè stesso come Saturno, aumenterà progressivamente la sua mole, ritornerà il colossale Vesuvio delle epoche preistoriche, il Vesuvio tonante in lotta ignea coi vulcani Flegrei - che generò il mito dei ciclopi - fino a raggiungere una vetta doppia dell’attuale nell’unione col Somma... Ma passeranno per questo centinaia, forse migliaia di anni. Allora avverrà un’altra gigantesca catastrofe... ancora molto lontana perchè possiamo spaventarcene innanzi tempo, e, quel ch’è più, inutilmente!

P. M. FRASCUNI.