Il buon cuore - Anno XIII, n. 19 - 9 maggio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 19 - 9 maggio 1914 Religione

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La testimonianza dei Martiri


Il martirio è uno dei fatti più importanti della storia del Cristianesimo. Lo spettacolo di una moltitudine sterminata di cristiani di ogni età, sesso e condizione sociale e di tutti i paesi, che hanno volontariamente reso testimonianza a Gesù Cristo, alla sua vita divina, alla sua Morte redentrice, ed hanno preferito perdere la vita Piuttosto che rinnegare le loro convinzioni religiose, ha destato sempre alta meraviglia e profonda commozione. La maggior parte degli uomini che questo fatto hanno contemplato con interesse e senza prevenzioni, vi ha trovato sempre l’intervento di una forza superiore che, sola, può spiegare l’imperturbata serenità e l’invitta costanza di fragili creature fra tormenti inenarrabili. E gli, apologisti cristiani, fin dai primi secoli, vi hanno veduto una prova della vera fede. Nei martiri infatti vi Come una manifestazione sensibile di realtà ultraterrene da essi vedute e affermate coraggiosamente col sacrifizio della propria vita; in essi vive e si concretizza la credenza in uno stato di cose che trascende le meschine apparenze di quaggiù, in una vita perenne, piena, definitiva che non conosce vicissitudini e incertezze e ch’è lo scopo della vita presente. Per affermare e per raggiungere queste realtà trascendenti i martiri versarono tutto il loro sangue con sicurezza e con gioia ineffabili. Ora, poichè il Cristianesimo fu il primo che additò chiaramente all’umanità l’ideale superiore cui essa deve svolgere le sue aspirazioni e la sua attività, predicando il Vangelo del segno di Dio, per acquistare il quale bi-

sogna saper sacrificare tutti i beni caduchi di questa misera terra, i martiri divennero testimoni eloquenti della religione cristiana. Essi continuarono la missione di G. C., primo e divino martire della verità e realizzarono con la loro attitudine di fronte alle potestà terrene il desiderio vivo del Salvatore. «Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e Samaria e sino agli estremi del mondo» (Atti, I. 8). Rivivendo in sè medesimi Cristò Gesù, vivo e immortale, i suoi ideali, le sue speranze, i suoi amori e i suoi dolori, essi resero veramente a lui una testimonianza vivente e la confermarono col suggello efficace del proprio sangue.

Ma quale fu in particolare l’oggetto della testimonianza dei martiri? Attestarono essi i nudi fatti storici che dettero origine al Cristianesimo, oppure vollero affermare una dottrina, la dottrina del Cristo feconda di vita eterna, la divinità di Gesù, Maestro Divino, sempre spiritualmente vivente nelle loro anime?

Vivaci discussioni su questo argomento sono state agitate in questi ultimi anni anche nel campo cattolico, specialmente in Francia. Paul Allard, l’illustre e noto storico delle persecuzioni, alla fine di un prezioso volume, in cui raccoglieva «Dics lecon sur le martyre donnee à l’Institut Catholique de Paris» — tradotto da poco anche in italiano — discutendo il valore della testimonianza del martirio cristiano, afferma nettamente che l’oggetto di essa non una dottrina, ma un fatto, le fait chrètien. A prova appunto di questo fatto, parce que ce fait avait été vu et verifié par eux, i martiri dettero la loro vita. E la lorp testimonianza è grandemente efficace, perchè volentieri l’uomo crede, giusta la felice espressione di Pascal, les histoires dont les temoin se fon égorger.

Per abbracciare tutta la storia del martirio, l’Allard distingue due categorie di martiri: quelli della prima generazione cristiana che hanno assistito di persona agli avvenimenti o ne hanno avuto notizia dai testimoni immediati di essi; gli altri che sono morti nel corso dei secoli e quelli ancora che morranno in avvenire. I primi attestano i fatti originari di cui furono testimoni diretti; i secondi attestano il fatto della Chiesa che continua e prolunga il fatto primitivo. Man mano che il Cristianesimo nel tempo si allontana dalle sue origini apparisce, è vero, più come dottrina che come fatto; ma i fatti [p. 146 modifica]stessi che resero credibile agli apostoli tale dottrina, sono presenti sempre, anche oggi, perchè noi siamo legati agli apostoli, primi testimoni, da una catena non interrotta di tradizioni storiche. E’ noto che, fra altri, sorse a criticare la tesi dell’Allard il Laberthonnière in alcuni articoli degli Annales de philosophie chrétienne, 1906, poi riuniti in un volumetto, messo lo scorso anno giustamente all’Indice per le sue conclusioni troppo larghe e arrischiate. Il Laberthonnière nega che gli apostoli e in genere i martiri siano morti per un fatto. Non era una realtà storica che essi hanno voluto attestare, ma una dottrina; non la realtà di Gesù che nessuno dei loro accusatori nega e su cui i giudici non muovono domanda, ma la sua divinità, la sua vita immortale manifestandosi nei martiri medesimi. L’idea di voler considerare il martire come testimone di fatti puramente storici, nasce, secondo il Laberhonnière, della preoccupazione di voler attribuire martiri alla sola Chiesa cattolica. Ora questa nulla perde, anzi guadagna dall’ammettere veri martiri in altre fedi, perchè qualsiasi martire è un testimone del Cristo in quanto ne mostra in sè stesso ’a bontà e la ‘erità, sia pure in diverso modo e con linguaggio lifferente. Ammettere dunque dei martiri fuori de;la Chiesa è allargare i confini del suo influsso, è restituire al martirio tutta la sua grandezza e dare al Cristo gloria maggiore di quella che a lui deriverebbe, considerando il martirio in altro senso. L’Allard ribattè nel 1906 le ragioni del Laberthonnière nella stessa citata rivista e al dibattito presero parte posteriormente anche altri in Francia e in Italia. Giunge ora opportuno un nuovissimo volume del chiaro prof. Domenico Marsiglia (1), dove, fra tante solide e acute osservazioni sul «valore dell’argomento tratto dal martirio cristiano in favore del Cristianesimo», si trodel significato del martirio come testimonianza storica del fatto cristiano. «Gli apostoli — egli dice — credettero in Cristo, perchè ne videro le opere sovrumane... Certo la testimonianza che essi rendevano a Lui, non versava su un fatto qualunque della sua vita e neppure sulla sua realtà storica, della quale non sorgeva alcun dubbio nella mente degli uditori. Gli apostoli posero a base della loro predicazione solo i fatti soprannaturali che Gesù aveva operati a prova della sua missione dal Padre: ma sempre fatti... Una prova di questo loro modo di pensare noi l’abbiamo già dal primo cominciare della vita cristiana. «San Pietro, proponendo ai fedeli nei giorni che precedettero la Pentecoste l’elezione di un altro apostolo in luogo di Giuda, che aveva prevaricato, compendia la missione di colui che dovrà essere eletto in ciò che egli debba attestare la risurrezione di Gesù; perciò afferma che il nuovo apostolo dev’essere scelto fra quelli che avevano assistito a tutto lo svolgimento dell’azione pubblica di Lui dal battesimo fino all’Ascensione al Cielo» (Atti. I, 21-22). «Di una importanza certo non pari a quella degli apo(i) 11 martirio cristiano. Studio storico critico apologetico. Roma, Fr. Ferrari, Editore, 1814 — pp. X, 454•

stoli, ma di un valore apodittico anch’essa deve considerarsi la testimonianza dei loro discepoli immediati. Questi non hanno veduto il Cristo, nè hanno assistito alle opere prodigiose, delle quali la sua vita fu piena; ma di queste opere hanno sentito dagli apostoli il racconto, e attraverso alla voce commossa di quelle persone venerabili che avevano veduto e perciò avevano creduto e che per attestare quei fatti al cospetto del mondo si erano date ad una vita sommamente penosa e si erano esposte intrepide alla morte, il fatto stesso riviveva nelle loro anime... «Non si può dire egualmene delle generazioni che seguirono. Queste non sono testimoni degli avvenimenti prodigiosi dei quali fu piena la vita di Gesù, poichè più si va ’innanzi nei secoli e più il fatto cristiano entra a far parte della nostra fede non proprio come fatto di cui noi possiamo dirci testimoni, ma come dottrina. Quindi il martirio sostenuto anche oggi nella Chiesa cattolica è di un valore inestimabile, perchè la fede per cui muore il martire, poggia sulla base granitica di una continua tradizione da Cristo a noi; ma la confessione che egli fa del fatto cristiano non è una testimonianza pura e semplice» (pp. 293-302). Ma per il prof. Marsiglia non ha tanta importanza l’aspetto storico dell’argomento tratto dal martirio cristiano, quana ne ha l’aspetto che egli chiama apologeticoteologcio, quello cioè che riguarda la soprannaturalità del martirio. «L’aspetto storico ha anch’esso il suo peso e grandissimo; ma per averlo deve essere circoscritto alle prime teologico è quello che principalmente tutta la tradizione generazioni cristiane... (pag. 293. L’aspetto apologeticocristiana ha considerato» (pag. 303). Ed entrando in argomento egli nota subito che solo col Cristianesimo apparisce nel mondo il tipo dell’uomo che sacrifica la sua vita per un ideale etico-religioso. Esso non si trova tra i pagani, nè tra gli storici e neppur rigorosamente parlando, fra i giudei. Dopo che con la penetrazione del Cristianesimo l’idea della superiorità dei valori spirituali sopra la materialità della vita si diffuse nel mondo e fece parte essenziale del patrimonio intellettuale e religioso dell’umanità, anche fuori della Chiesa cattolica divenne possibile il sacrificio per l’idea; ma oh con quanta differenza di spirito e con quale miscuglio di elementi passionali e politici! Nel corso dei secoli le persecuzioni circondano il sorgere e il propa garsi delle sètte; manca però sempre in esse la continuità tenace e resistente nella lotta, come si ammira costantemente nel cattolicismo. «Come le scolte nella notte, segno unico di vita, mentre tutte le cose sono avvolte nel sonno, si trasmettono l’un l’altra la parola d’ordine, che l’eco lontana ripete, imitando, in sua voce; così i martiri della Chiesa si trasmettono l’un l’altro nei secoli la pura parola del Cristo e, alzando il labbro all’Ideale, accennano ai pigri, ai dormienti che si levino e, dispersa dagli occhi la caligine mondana, si sollevino con lo sguardo alla viva luce che risplende, benchè da essi non vista, intorno da ogni parte. Altri uomini fuori della Chiesa, ma aspiranti anch’essi fondamentalmente all’ideale cristiano, sentono questa voce, si riscuotono e [p. 147 modifica]come eco, or più forte or più sommessamente, la ripetono, eccitando in lor modo i dormienti alla vera vita. Ma la loro voce non ha eguagliato, nè potrà mai eguagliare quella dei martiri della Chiesa, poichè in questi vive e si esplica in tutta la sua potente vitalità il Cristo, via, verità e vita del genere umano impotente e pur )aspirante con tutte le sue forze ad una perfezione che.partecipi dell’Infinito» (pp. 341-342). Si son visti morire uomini, anche fuori di ogni chiesa,:per un’idea da essi profondamente vissuta e diventata anima della loro anima; si son visti degli eroi cadere per l’onore proprio o della famiglia o della patria; ma tutti questi forti sono stati spinti al sacrificio della propria vita da motivi umani, sia pure nobilissimi, e in ogni caso svolgendo un’azione personale. Ora quando l’uomo va incontro alla morte per motivi inerenti alla sua persona o alla sua azione profonda’ che è vita della sua vita, può non subire tutto l’orrore della morte, perchè la forza potente di quei motivi lo attenua e talora lo cancella. Il martire cristiano invece, caduto in balìa dei persecutori, crede suo dovere di non reagire e docile si accinge a sopportare i tormenti spesso ignoti e quindi ancor più impressionanti. Se egli resta invincibile in mezzo ai dolori e alla morte, nella pienezza delle sue facoltà e senza entusiasmo fanatico, si deve all’intervento di una forza superiore che lo sostiene. «Il martirio cristiano dunque è fenomeno soprannaturale). (p. IV); ecco quel che principalmente si propone di dimostrare nel bel volume che abbiamo avanti, il giovane professore del Seminario di Benevento. E la tesi è ampiamente discussa e teologicamente dimostrata nella seconda parte del libro. Quasi come perorazione del materiale per il suo argomento, l’A. presenta nella prima parte del suo volume una storia succinta dei martiri cristiani attraverso i secoli e alle circostanze della loro morte, che ne fanno risaltare il carattere straordinario ed unico. La parte espositiva e storica del lavoro del Marsiglia presterebbe il fianco a parecchie osservazioni, se egli stesso non ci avesse avvertito di non voler chiedere da lui quel che non ha potuto dire, dati i limiti del suo lavoro e il suo carattere di semplice raccolta di notizie intorno ai martiri cristiani. Egli non ha voluto fare una sintesi storica delle persecuzioni; perciò non si può pretendere da lui il rigore storico-critico nella ricerca delle cause delle persecuzioni generali e parziali mosse in’tanti secoli e da tanti poteri e passioni; una parola più sicura sulle basi giuridiche delle persecuzioni.e non un leggerissimo accenno in npta a pag. 18; uno sguardo anche fuggevole alle preoccupazioni politiche del vecchio impero romano di fronte alla forza sempre crescente della nuova religione, ricca di energie morali e minacciante di soppiantare dalle radici l’antica civiltà pagana per naturale conseguenza della sua espansione e penetrazione in tutte le classi sociali; un accenno alla inanità degli sforzi dal sincretismo filosofico-religioso diretto dagli imperatori e dai filosofi pagani a fiaccare o a corrompere la forza e la purezza della nuova fede. Queste e numerose altre importanti ricerche, per quanto attraenti e belle, non.

trovano d’ordinario in un lavoro come questo, diretto principalmente a sussidiare l’argomento apologeticoteologico tratto dal martirio cristiano a favore della superiorità del cristianesimo. Del volume del Marsiglia, elegante anche nella sua veste tipografica, dai grandi e nitidi caratteri, ci congratuliamo vivamente col giovane autore, e auguriamo ad esso numerosi e benevoli lettori che ne ricaveranno alla figura di quegli atleti del Cristianesimo che seppero affrontare con coraggio le forze più potenti del mondo, come quella dei Cesari e dell’impero romano, per affermare una fede ch’è anche la nostra, noi restiamo presi quasi sempre da trepida commozione, e ci sentiamo spinti come da una forza misteriosa, dolcissima. a rendere in qualche modo anche noi con le nostre opere una coraggiosa testimonianza alla perenne verità cristiana. Giovanni Pepe. ì hp. 3p*

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L’opera benefica dei Sindacati cristiani Un colloquio col " Bon Pere „ di Vai des Bois Leone Harmel è da qualche tempo a Roma, dove venuto a passare le feste di Pasqua. La sua grave età — egli conta già 86 anni — non gli consente più di occuparsi personalmente, come per il passato, di tutte le o pere sociali alle quali ha dedicato tutta la sua vita. Ma la sua grande anima, piena di amore cristiano per il popolo, lo tiene sempre avvinto a tutto quello che è movimento cristiano sociale. Questo ardore d’apostolato dà al Bon Père degli operai di Val des Bois una vera freschezza di gioventù. Una conversazione con lui è sempre qualche cosa di i ineressante e — perchè non dirlo? — di commovente. Per questo siamo andati a trovarlo nel suo appartamento a piazza Rusticucci. Leone Harmel, che ama Roma di un grande amore, ci ha accolto con la sua solita bontà paterna. Egli non dimostra per nulla gli anni che lo stato civile — inesorabile — gli assegna. E noi abbiamo voluto complimentarlo di tale sua... disobbedien,a alla inesorabilità dello stato civile. Sì, è vero — egli ci ha risposto — Il Vescovo di Nizza, nella cui città passo oramai da cinque a sei mesi, nell’inverno, mi dice sempre che non ho ottant’anni, ma quattro volte venti anni; e non posso dire di no. Presto la conversazione si è avviata sull’argomento più caro all’anima del «Bon Pere»; il movimento sociale cristiano. Nella mia visita a San Giovanni in Laterano — ci dice.— davanti ai miei occhi s’è levato il simbòlo del Sindacato operaio cristiano nel monumento della Rerum Novarum. Quell’operaio il quale solleva il Cristo nella • destra e sorregge, con la sinistra, lo strumento del lavoro, a me pare rappresenti perfettamente l’idea cristiano sociale, con la preoccupazione predominante della fe [p. 148 modifica]de e del regno di Dio nel mondo e, nello stesso tempo, le sue sollecitudini per il lavoro, dal quale dipendono la, sua sistenza ed il benessere della sua famiglia. «Chi studia seriamente le realità in Francia e nel Belgio riconoscerà questo doppio carattere ai nostri Sindacati operai cristiani e quanto questo nostro movimento meriti di essere incoraggiato da tutti i buoni. Le grandi agglomerazioni prodotte dai progressi odierni della industria tengono per forza i padroni lontani dagli operai; tanto più che quasi tutte le imprese sono adesso fatte da Società capitalistiche anonime. Questo stato di cose, contro il quale non possiamo niente, ha reso impossibile la comunione di lavoro e di vita che esisteva una volta nei piccoli opifici. Il padrone non può più essere il padre d questi operai che non conosce quasi più, salvo eccezioni, come per esempio, per condizioni particolari, nel nostro Val des Bois. Se non vogliamo che gli operai cristiani ed onesti siano tutti monopolizzati dai Sindacati socialisti e rivoluzionari, occorre aiutarli perchè si uniscano insieme nei loro sindacati operai cristiani. «E non si può dire — continua il «Bon Pere» — che sindacalismo sia sinonimo di guerra, di lotta di classe. Quanti fatti le potrei raccontare, i quali provano precisamente che i nostri sindacati sono uno strumento di pace e di concordia. Spesso io stesso ne sono testimone; gli operai cristiani sono stati i martiri della pace sociale. Perseguitati da una parte dai rivoluzionari e dall’altra parte abbandonati e respinti dai loro padroni, specialmente nelle Società anonime, questi bravi figliuoli, animati dalla fede, hanno sfidato senza titubanza tutti i pericoli per scongiurare uno sciopero e ristabilire l’accordo.» Il sig. Harmel illustra questo concetto con un esempio palpitante di attualità’; la «fu» minaccia dello sciopero ferroviario in lalia; egli tributa pieni elogi all’atteggiamento così serio, e così degno anche tecnicamente di ogni esame, del Sindacato nazionale dei ferrovieri cattolici. Fa osservare che lo stesso atteggiamento d’ordine, di pace sociale, fu sempre quello dei sindacati cristiani del Belgio; il governo stesso considera il movimento che fa capo all’opera meravigliosa del Padre Rutten, una delle basi più salde della influenza cattolica trionfante nel paese da dieci anni. Così si spiega che l’Episcopato del Belgio, con a capo il cardinale Mercier, ha unanimemente deliberato di organizzare per il 12 luglio prossimo una grande festa sindacale alla quale parteciperanno gli stessi Vescovi. L’occasione di questa festa sociale è data dal fatto che il Sindacato ha raggiunto la cifra di centomila soci e celebra il primo decennio del segretariato generale. Così i Vescovi vogliono glorificare il Sindacato cristiano nel Belgio, e proclamare pubblicamente quanti servizi ha resi alla religione oltre che alla pace e alla prosperità del Paese. — E sotto questo punto di vista — esclama il «Bon Père» — quali e quante cose potrei dire del nostro sindacato operaio del Val-,des-ois! Non ci sono più dentro direttamente e mi è quindi lecito di riconoscere che questo sindacato è stato per noi padroni di uno strumento

prezioso di pace e anche di progressi industriali. Questo nostro Sindacato conta 727 soci. La sua influenza è stata tale nelle nostre officine che da dieci anni non abbiamo avuto un solo ricorso al tribunale dei probiviri da parte di nessuno dei nostri operai. Bisogna sapere che i tribunali di probiviri in Francia sono una gurisdizione gratuita molto parziale per gli operai ai quali danno quasi sempre ragione. I padroni più benevoli e più benefici non possono evitare tali ricorsi da qualcuno dei propri operai. Noi di Val-des-ois per assicurare il buon accordo, abbiamo preso come Consiglio d’arbitri il «Consiglio del l’officina» le Conseil d’usine», che è l’emanazione del nostro Sindacato operaio. L’art. 18 del regolamento generale delle officine di Val-des Bois stabilisce: «ogni disaccordo sul presente regolamento sarà deciso dal Conseil d’usine». «Lo stesso avviene nei Sindacati fondati dai nostri a- • mici. A Parigi fra i Sindacati operai del boulevard Poissonnière ed i Sindacati padronali delle Unioni federali funziona adesso una Commissione mista, composta di un numero eguale di padroni e di operai, ciascuno dei quali tiene alternativamente la presidenza.» Per finire, il comm. Harmel riconosce che purtroppo in Francia i Sindacati cristiani sono ancora poco numerosi in confronto dei Sindacati socialisti. Ma i cattolici lavorano con ardore per strappare le masse alla massoneria dominante nelle organizzazioni socialiste. I cattolici hanno capito che il lavoro assorbisce la vita individuale e domestica dell’operaio e che per questa via soltanto si possono far ritornare le masse popolari verso la religione; quello che si fa al di fuori della professione produrrà sempre qualche frutto, ma i risultati profondi e decisivi si avranno, come nel Medio Evo, per mezzo delle Associazioni professionali, e della organizzazione professionale. — E’ per questo -- ha concluso il «Bon Père» — che, secondo me, favorire il movimento sindacale cristiano equivale a salvare quel che di religione le masse popolari hanno ancora conservato, a farla aumentare sempre più, ed a riconquistare gli indifferenti, anche quelli che già furono attratti dal sindacalismo rivoluzionario.