Il buon cuore - Anno XIII, n. 18 - 2 maggio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 18 - 2 maggio 1914 Religione

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LA SETTIMANA SANTA

Come si celebrava a Gerusalemme nel IV secolo


Rivivere la vita di Gesù Cristo allo scopo di trasformarci in Lui e cosi trasformati in Lui, inabissarci in Dio ecco il concetto sublime della liturgia cattolica; ed ecco a un tempo la chiave per penetrarne i misteri, per gustarne le bellezze per esperimentarne l’efficacia santifieatrice ed ispiratrice. Ma se c’è un momento del ciclo liturgico in cui questo carattere divino che fa della liturgia un prolungamento, se posso esprimermi cosi, della Incarnazione del Verbo e quindi l’anello di congiunione fra il passato e il futuro, fra la terra e il cielo; se c’è un momento, dico, in cui questo carattere s’imprime più profondamente e più visibilmente che mai nelle sue formole, nei suoi riti e nelle sue preghiere, questo momento è certamente quello in cui entriamo quest’oggi e che costituisce il centro e come il pernio di tutto il Santa. A considerare le cose da un punto di vista mistico, come tutta la vita di Gesù Cristo converge verso la Cielo liturgico: la «Hebdomada Maior», la Settimana sua psasione e la sua morte espiatrice, come la vita del Cristiano deve anch’essa riassumersi in un sacrificio, tosi la liturgia sacra ha il suo centro in quella settimana in cui esa fa rivivere al fedele la passione del Redentore, ed il rimanente dell’anno sacro od è una preparazione più o meno prossima o remota a questi grandi

giorni solenni, o ne è un prolungamento e una conseguenza. Da un punto di vista estetico le funzioni di questa settimana raggiungono la più alta perfezione e di forma e di contenuto. Da un punto di vista storico la settimana santa ha costituito come il germe da cui tutto l’anno liturgico con le sue varie solennità e i suoi diversi periodi si è a poco a poco sviluppato.

I Vangeli sinottici e la prima lettera di S. Paolo ai Corinti ci mostrano che fin dai primissimi giorni del nascente Cristianesimo la cena eucaristica era celebrata come il nuovo, perenne e vero sacrifizio pasquale, quantunque non si aspettasse il ricorrere dell’anniversario di Pasqua per celebrarla riproducendo le varie circostanze di quel banchetto simbolico. Ma si capisce che al ricorrere di quell’anniversario la festa dovesse essere più solenne. I cristiani di quei primi tempi non avevano altra idea che riprodurre in sè stessi e in altri la vita del loro Salvatore e Maestro, il cui ricordo, il cui pensiero, il cui amore era non solamente il legame che univa quelle anime e quei cuori in un cuor solo e in un’anima sola, ma era per ciascuno di essi l’elemento vivificatore e la forza impellente e la regola suprema. Non fu facile, nei primi secoli, stabilire per tutte le Chiese una data unica della celebrazione dei misteri pasquali: le controversie spesso molto vive che nacquero a questo proposito durarono fino quasi al quarto secolo. Ma per quanto, sul principio almeno, variasse da un paese all’altro il giorno in cui si cominciava a celebrare il ricordo della passione, della morte e della resurrezione di Gesù Cristo, questi giorni costituivano però in ciascuna Chiesa l’epoca più solenne dell’anno, quella a cui bisognava apparecchiarsi con una preparazione più seria, quella da cui il fedele si poteva ripromettere maggiori frutti di santificazione.

Se poi ci domandiamo quale fu il luogo e quale il tempo in cui la celebrazione dei misteri della Passione del Redentore prese per la prima volta, almeno nelle linee generali, l’aspetto che essa ha attualmente in tutta la Chiesa latina, siamo in grado di rispondere con gran certezza e con relativa precisione grazie ad una importantissima scoperta di cui vogliam dire qualche parola. [p. 138 modifica]Nel 1884 il cav. Gamurrini scoperse nella biblioteca d’Arezzo, e qualche anno dopo pubblicò un manoscritto ^he conteneva la relazione di un viaggio fatto da una signora per visitare l’Egitto e i Luoghi santi di Palestina onde scoprirvi, se fosse stato possibile, dei ricordi biblici e raccogliervi tradizioni circa la vita del Signore. Questo che chiameremmo «giornale di viaggio» dovette essere redatto verso il 388, e noi dobbiamo essere tanto più riconoscenti alla sua autrice, in quanto che il prendere note dei viaggi che si facevano, era nel secolo quarto cosa molto rara. Per altra parte la viaggiatrice ci si mostra dotata di un gran talento di osservazione, e qualunque il suo stile non sia quello di un letterato di professione, scrive però con una semplicità che non è priva di grazia, e con un garbo che ’rivela la signora di mondo. Disgraziatamente il suo giornale di viaggio non ci è arrivato intiero, e in ’quella parte che conosciamo l’autrice non ci dà sula sua persona nessun ragguaglio. Si supponeva fino a non molti anni fa ch essa fosse stata Silvia, la sorella del famoso Rufino, e lo scritto di cui parliamo era perciò conosciuto sotto il nome di «Peregrinatio Silvia». Ma ora sembra accertato che l’incognita viaggiatrice fosse invece una spagnuola di nome Egeria». Checchè ne sia del nome, della patria e della qualità dell’autrice, è certo che il suo diario ha una importanza di prim’ordine per la storia della liturgia, e in particolare per poter ricostruire fin nelle più piccole particolarità le funzioni della Settimana Santa quali si celebravano a Gerusalemme verso la fine del secolo quarto, mentre prima non possedevamo su questo cosi importante argomento altro che delle indicazioni sparse e non sempre precise. La Quaresima ai tempi di Egeria, contava, a Gerusalemme, quaranta giorni di digiuno distribuiti in otto settimane, essendo, al solito, le domeniche ed i sabati esclusi dal digiuno. Di questo non abbiamo altro da dire, avendone già parlato su queste stesse colonne in un articolo precedente. Segnaleremo però la particolarità che presenta la celebrazione di uno dei giorni della Quaresima, e precisamente del sabato della settima settimana, che corrisponderebbe a quello che noi chiamiamo il sabato di Passione. A Gerusalemme lo si chiamava e Sabato di Lazaro». Verso un’ora del pomeriggio si partiva da Gerusalemme in processione dirigendosi verso BetInia. Sulla strada si incontrava una chiesa costruita nel luogo ove, secondo la tradizione, Maria sorella di Lazaro aveva parlato al Signore. Il vescovo, che dirigeva e apriva la processione, entrava in quella chiesa seguito dai monaci e poi dal popolo. Vi si cantava un inno e un’antifona, si leggeva quel tratto del Vangelo San Giovanni ove è raccontato l’incontro di Gesù con;a sorella di Lazaro, poi il vescovo recitava una preAiera e benediceva il popolo. Allora la processione si imetteva in cammino e arrivava alla chiesa di Lazaro fahbricita sul luogo ove era stato sepolto e risuscitato

il discepolo del Signore. Anche li si cantavano inni e antifone speciali, e si finiva con la lettura del capitolo XII di S. Giovanni. La «Domenica delle Palme» era celebrata a Gerusalemme con una solennità straordinaria, e fin da lungi accorrevano i fedeli per assistere a quelle sacre commoventi cerimonie. Alle cinque della sera, è sempre la nostra viaggiatrice che ce ne informa, tutto il popolo si recava alla chiesa dell’Ascensione che sorgeva sulla cima del monte Oliveto. Vi si leggeva, nel Vangelo di S. Matteo, il racconto dell’entrata di Cristo in Gerusalemme. Allora il vescovo, seguito dal popolo usciva dalla chiesa e si cantavano inni e antifone appropriate alla circostanza, e vi si alternavano continuamente le parole: «Benedictus qui venit in nomine Domini». I fanciulli, anzi i bambini stessi che non potevano ancor camminare, assistevano alla funzione portati nelle braccia dalle loro madri, e tenevano nelle loro manine dei piccoli rami d’olivo o di palma: il vescovo cavalcava un asino, e quando la processione era ritornata alla città, era ornai notte fatta, e si andava a celebrare l’ufficio vespertino nella basilica della Risurrezione. Il lunedì e il martedì santo, l’ufficiatura non presentava grandi differenze da quella dei giorni ordinari di Quaresima. Nel mercoledi sera, dopo l’ufficio, si andava nella chiesa della Risurrezione, che conteneva la grotta del Santo Sepolcro. Un prete leggeva nel Vangelo il passo che racconta il tradimento di Giuda. E questa lettura, ci dice Egeria, non mancava mai di eccitare i gemiti ed i singhiozzi del popolo. Il giovedi, alle due dopo mezzogiorno, si celebrava un ufficio nella chiesa del Golgota, costruita nel luogo della Crocefissione. Alle quattro si diceva una Messa e tutti i fedeli partecipavan alla Comunione. Era questa evidentemente la Messa che doveva ricordare l’ultima cena, e che nella liturgia attuale è stata riportaa al mattino. Verso le sette di sera dello stesso giorno si celebrava un nuovo ufficio per ricordar la orazione nell’orto la quale appunto tenne dietro immediatamente all’ultima cena. Al tempo di Egeria vi erano due chiese sul monte degli Olivi, la chiesa di «Eleona» in vicinanza di una grotta ove, secondo la tradizione, il Cristo usava ritirarsi e intrattenersi coi suoi discepoli, l’altra dell’«Agonia» e in questo appunto si recava il ppoolo e vi passava la notte in preghiere, seguendo e in certo modo riproducendo tutte le fasi del gran dramma della Passione. Si andava nel giardino di Getsemani, ove al lume delle torcie veniva leto il passo del Vangelo che racconta la cattura del Signore. «A questa funzione notturna nessuno manca, ci fa notare Egeria, nè poveri nè ricchi, nè uomini nè donne. Ed è tanta la commozione dei fedeli alle preghiere, alle cerimonie, alla vista dei luoghi che suscitano tante memorie, che tutti scoppiano in singhiozzi, ed i gemiti si fanno sentire fino a Gerusalemme.» In città non si ritornava se non all’alba del giorno se [p. 139 modifica]guente. I fedeli prendevano allora qualche ora di riposo, ma alle otto del mattino erano già in piedi e si recavano alla chiesa della Risurrezione ove doveva aver luogo la cerimonia della adorazione della Croce. Il Vescovo è seduto sulla sua cattedra e davanti a lui è una tavola coperta di una tovaglia. Si porta il reliquario di argento dorato che contiene una porzione della vera Croce, lo si apre ed il sacro legno è collocato sulla tavola, ove poi ad uno ad uno, fedeli e catecumeni, tutti vengono ad adorarlo e baciarlo. E’ però severamente proibito a chicchessia di toccarlo con le mani. E ad Egeria si raccontava che qualche anno prima un fedele troppo divoto era riuscito, aiutandosi coi denti e con le mani, a staccare e asportare un pezzo della preziosa reliquia. I diaconi stanno a sorvegliare perchè non si abbia a lamentare il riprodursi d’un simile fatto. Finita l’adorazione della Croce, si andavano a venerara due altre reliquie, l’anello di Salomone e l’olio che serviva, nell’antica legge, alla consacrazione dei re. A mezzogiorno queste cerimonie erano terminate. E allora il popolo, stando sempre davanti alla croce, cominciava a recitare delle lezioni ed a cantare degli inni. A nona, vale a dire le tre dopo mezzogiorno, si leggeva nel Vangelo di San Giovanni il racconto della morte del Redentore. Riguardo al sabato e al giorno di Pasqua Egeria non Si estende in molti particolari, limitandosi a dire che in quei due giorni «le funzioni si celebrano press’a poco come da noi.» Da questa relazione della pia viaggiatrice antica risulta molto spiccato il carattere locale e per dir cosi «topografico», che ha in Gerusalemme al secolo quarto la Celebrazione della Settimana Santa: questa è in rapporto immediato coi santuari dei vari Luoghi santi che si venerano nella santa città. E al tempo stesso questa liturgia è esclusivamente propria di Gerusalemme. Eseria ce la descrive con tanta ricchezza di particolari e een tanto interesse perchè le sue sorelle, a cui ella indirizza il suo racconto, non hanno mai potut voedere null a di simile in Occidente. Ma a poco a poco, una buona Parte delle cerimonie gerosolomitane è passata nelle altre liturgie, certo in seguito ai racconti che di quelle f unzioni facevano, ritornati nei loro paesi, i numerosi Pellegrini che si recavano a Gerusalemme in quei primi secoli. Ne abbiamo un esempio notevolissimo in Roma. Tutti gli edifizi religiosi riunitii intorno a San Giov anni in Laterano, come Santa Maria Maggiore, Santa Croce, il Battistero sembrano in certo modo una riprod uzione dei luoghi santi di Gerusalemme. E il P. sur ha potuto dimostrare che questi monumenti debbono la loro origine precisamente al desiderio di poter i Mitare più da vicino la liturgia gerosolomitana della S ettimana Santa. L’andare dei secoli, il mutare della civiltà, le circoStanze dei nuovi tempi e delle nuove genti hanno re 1 39

cato dei mutamenti nelle funzioni liturgiche di questa hebdomada maior» quali le celebriamo oggi nel rito romano. Ma il fondo e lo spirito ne sono rimasti inalterati. Ed a quella maniera che in quegli antichi secoli le grandiose funzioni erano capaci di interessare e di commuovere un’intiera popolazione, cosi dovrebbero avere la stessa forza sopra di noi. Il rev. don Cabrol, molto benemerito degli studi liturgici, ricorda a questo proposito, l’esortazione che Tertuliano fin dai suoi tempi rivolgeva ai cristiani per distoglierli dagli spetaocli del circo e dell’anfiteatro: «Voi avete, diceva quell’incomparabile dottore, degli spettacoli perpetui, gratuiti. Se ti dilettano i giuochi del circo, osserva nelle cerimonie delle nostre feste il correre dei secoli, l’inseguirsi delle generazioni, l’arrivare all’ultima meta, il risorgere al cenno di Dio, il levarsi alla voce dell’angelo, il coronarsi della palma del martirio. Se ti dilettano gli spettacoli scenici, anche noi abbiamo la nostra letteratura, la nostra poesia, i nostri cantici, in cui però non celebriamo favole ma ricordiamo le verità che non mutano.» E il pio benedettino osserva che noi potremmo ripetere ai cristiani dei nostri giorni le parole di Tertulliano, e con più ragione ancora, perchè da quei tempi il culto si è inconestabilmente arricchito. E non sarebbe esagerato il dire che nessun spettacolo mondano potrà produrre nell’anima di un credente un’emozione tanto profonda quanto la possono produrre gli spettacoli sublimi a cui ci invita la Chiesa nelle funzioni liturgiche di questa grande settimana. Romanw I, •

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L’emigrazione transocenica e l’opera salesiana Ieri, nel pomeriggio, nell’Aula magna della Cancelleria, alla presenza di numerosi prelati e di un pubblico foltissimo e distinto, il reverendo padre don Trione, presidente della commissione salesiana della emigrazione, reduce da un lungo giro d’ispezione e di str.dio nelle Americhe, ha tenuto una importantissima e interessante conferenza sul fenomeno emigratorio e sulle benemerenze ed attività dell’opera dei salesiani in quel continente. Del testo della conferenza, gentilmente favoritoci dall’illustre oratore, pubblichiamo — certi di far cosa grata ai lettori e di rendere un doveroso omaggio alla magnifica opera di apostolato religioso e civile compiuti la parte riguardante le caratteristiche dai Salesiani differenziali di quest’opera nell’America del Nord, in quella del Sud e le iniziative pei giovani, per gli operai e per l’assistenza sociale. Eccoci a un porto, il più attivo del mondo, a una [p. 140 modifica]città in cui pare si riversi ogni gente d’Europa, siamo in New York. Il crescere vertiginoso degli immigrati europei preoccupa l’ordinario diocesano, che ne scrive fra altri al compianto don Rua domandando missionari. italiani nel 1893 e la dedicano a Maria Ausiliatrice. La I Salesiani assumono colà una vastissima parrocchia di Mamma dei Salesiani li benedice e questi crescono in numero e in opere. Nel 1902 assumono una seconda grande parrocchia, pure per gli immigrati italiani nella stessa città, e in breve fondano nello Stato di New York un fiorente collegio e altre parrocchie in Patterson e a Port Chester nel medesimo Stato. La parrocchia è parola breve, o signori, ma pei Salesiani essa riassume attorno a sè un cumulo di opere: scuole, oratori festivi, teatro, musica, circoli, segretariati, associazioni religiose, di azione cattoliche e di azione cattolico sociale e di simili. Passando da questo ad altri Stati della stessa,Federazione i salesiani assumono due altre grandi parrocchie per gli immigrati italiani in San Francisco e una terza per gli immigrati portoghesi in Oakland di California. Chi sono frattanto questi popoli che emigrano? Sono in genere popoli esuberanti a vita. I popoli stazionari infecondi, invecchiati, non hanno emigrazione. I popoli giovani, robusti, chiamati ad un grande avvenire, sentono il bisogno di espandere l’esuberanza della vita e di invadere il mondo. Ora per queste schiere di giovani e generose energie, per queste folle irrequiete ed erranti è altissima provvidenza, è necessità urgente che il sacerdote apostolico le accompagni, le aduni all’ombra della croce, le conservi nei padiglioni della Fede. Non tarderanno a formarsi fiorenti cristianità in cui le nuove generazioni rinnoveranno gli esempi splendidi delle primitive colonie cristiane dei gloriosi tempi apostolici. Mirabili spettacoli di fede e di operosità cristiana in cui il clero secolare ed il regolare di varie nazionalità vanno a gara a chi compie maggiori prodigi di eroismo nell’organizzare opere per la salvezza delle anime. Senza di ciò avremmo immense, irreparabili rovine. Oh come sentono il bisogno e la santa nostalgia della religione queste masse emigranti! Nulla di più commovente, ad esempio della Santa Messa a bordo, quando, partiti dalla patria trovandoci in alto mare viene il giorno festivo. Io vidi la folla dei nostri emigranti che popolava il piroscafo in cui recentemente viaggiavo da Genova ai lidi dell’America del Sud, accorrervi devota e assistere al santo sacrifizio con raccoglimento improntato alla più viva fede. Oh come vedevo le loro pupille inumidirsi da kicrime, quando nell’immancabile predica ricordavo loro i due grandi amori della religione e della patria. Taccio dello spettacolo che presenta il discendere di tanto popolo nostro ai grandi porti di Buenos Aires, Santos, Rio de Janeiro. E’ bensì vero che quei provvidi governi largheggiano in ospitalità e tengono ai porti le

grandi case d’immigrazione, pronte ad ospitare gratuitamente i nuovi venuti, per giorni e giorni fino ai sgi o settemila per volta. Ma in quel primo por piede in terra straniera, oh come quelle famiglie del nostro po-, polo italiano provano un gran senso di sollievo se v,dono con sè il missionario loro connazionale. E quando poi a gruppi si sparpagliano nelle città nelle campagne, e incontrano nelle chiese delle nuov residenze il prete della loro patria, che parla la lor lingua, intende meglio i loro bisogni e aspirazioni, no disertano certo la chiesa, ma la frequnetano ancor pi che non facessero al paese natìo, spintivi, non solo d più sentito bisogno dei conforti della fede, ma anch da un fine sentimento patrio. Questo fatto poi svolgesi assai più vasto e impressi’, nante al porto di New York e nelle immense città e cani pagne degli Stati Uniti, ove la immigrazione è assai pi accentuata. Sorge spontaneo allora il raggrupparsi ’ questi buoni italiani in appositi circoli e associazioni p’rocchiali l’organizzare per loro e per loro iniziativa del apposite sacre funzioni e feste religiose e civili; lo spi’ gere ad azione più ampia ed intensa i Comitati di tronato ed i segretariati di emigrazione. E’ tutto un i ’ cessante lavoro di utilità immensa, anzi di assoluta n• cessità in cui il missionario si rende altamente beneni rito con eroismo sinceramente apostolico. Se dagli Stati Uniti frattanto discendiamo al Messi. troviamo l’opera del ven. D. Bosco nella capitale c’un vasto collegio convitto con scuole professionali e — nesso gran santuario di Maria Ausiliatrice, e altra chi sa dedicata al S. Cuore di Gesù in altro punto della st sa capitale. Consimili istituzioni incontriamo in que repubblica a Gualaiara, Morelia e Puebia. Nel centro mericai Salesiani sono a Cartago, Comaiaguela, Grati da, Panamà, S. Anna, San Salvador e Santa Tecla. C’di seguito in tutte le repubbliche meridionali. Ma qui si affaccia una opportuna considerazione. Nell’America latina il programma di azione si p sentò ben diverso da quello dell’alto nord. Negli S1, Uniti ove la lingua ufficiale è l’inglese, non cosi pre si affratellano con quei cittadini, gl’immigrati proir nienti dalle nazioni latine di Europa. Nella gran ma’` degli immigrati degli Stati Uniti una percentuale tissima è di lavoratori che fecero pochi studi, se 1 ’ non rasentano l’analfabetismo. Non riuscendo con e facilità ad apprendere la lingua locale; disertano sacro tempio quando sia ufficiato da sacerdoti O’. sassoni, ed in breve si danno all’indifferentismo in fa` di religione, se pure non sono attratti dalle sette p 1 ’, stanti con mina completa della loro fede cattolica. Nelle repubbliche latine invece, discendendo dal M,’sico alla Terra del Fuoco, non è cosi. Parlandovi.’ gnuolo o Portoghese, gli immigrati delle nostre nazi latine vi si trovano come quasi nella propria terra• nuovo linguaggio è ben presto da loro appreso, rna [p. 141 modifica]con strazio della grammatica e disperazione dei puristi ma tutto il mondo colà presto diviene unius labi’. Di fronte a questo facile stato di cose l’Opera Salesiana in dette repubbliche non si limitò ai soli immigrati ma allargò la sua azione anche ai nativi in più,;pirabil aere e non conobbe limite nella sua attività. Nè per questo il suo apostolato fu minore a pro degli immigrati, anzi a questi tornò ancor pii; proficuo e simpaticamente gradito. Un fenomeno strano, se pur non lo si via.: chiamare cosa naturale alla superbia umana, si verifica in molti paesi all’estero. Quando gl’immigrati di dette nazionalitàsono addetti a lavori umili, a misura che migliorano la propria condizione materiale, van quasi vergognandosi della loro madre patria. Se i padri in ciò talora ancora tentennano, i loro figli precipitano. I figli aà esem pio, di non pochi italiani, spagnuoli, portoghesi. nati in quelle repubbliche americane, arrossiscono nel declinare la loro paternità. Viene bensi talora il momento felice della reazione, quando cioè le loro ricchezze crescono ad alta misura. Ma questi fortunati non sono la massa. Quei poveri figli come andrebbero con entusiasmo alle chiese e specie alle scuole della nazionalità o71/4: loro padri? Sarebbe a loro giudizio, una pubblica profc,ione d’inferiorità. Non cosi accade presso l’Opera Salesiana Essendosi questa affermata con molto esito e prestigio bene adattandosi agli ambienti in cui si svolge si vede con siago1•are simpatia e senza timore di sorta e frequentata da tutti, anzi con speciale vanto cagli stessi immig.-ati e dai loro figli. Ne vi manca la nota cara a chi ama la patria d’origine. In quelle molteplici e svariate istituzioni sonvi sa lesiani della patria stessa degli immigrati, ad esempio italiani, spagnuoli, portoghesi, francesi, ecc., onde non può non trovarsi bene con loro l’immigrato di qualunque nazionalità. Ove poi gli immigrati di certe nazionalità abbondano notevolmente, come gli italiani e gli spagnuoli ncii’Argentina, i germanici in Valdavia del Chili, gli italiani ed i portoghesi nel Brasile; colà si ha sapientemente cura che notevolmente abbondino i salesiani di tali rispettive nazionalità, di guisa che torni più proficua l’azione delle nostre istituzioni in quelle determinate condizioni. Un’altra considerazione, pur essa non lieve. In questo vasto campo d’azione a pro si degli immigrati che del popolo in genere,mal si apporrebbe che si limitasse a errare gli adulti e per poco trascurasse i giovani. Gli apostoli più illuminati pensano febbrilmente all’avve Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbo namenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.

nire e penetrando nel popolo e nella famiglia attirano a sè con speciale predilezione i giovani rampolli, nei quali risiedono le più belle speranze della religione e della società. • Molto sapientemente osservava Leibnitz: «Datemi in mano l’educazione della gioventù e io vi salverò la società. Don Bosco disse altrettanto: lo disse e l’attuò. Anzi con intuizione e operosità meravigliosa attirò a sè i giovani per duplice intento: per prepararli all’avvenire che fossero pel presente efficaci istrumenti di bene in seno alle loro stesse famiglie e nel popolo. Piccola cosa pare l’Oratorio festivo. Eppure quelle migliaia di giovanetti avvicinati a Gesù, istruiti, infiammati, portano in seno alle loro famiglie come altrettanti fonografi animati, la parola del prete, le dolcezze delle soavi funzioni sacre, i mirabili entusiasmi della frequente comunione. La voce, il palpito, l’esempio del tenero figlio penetra il cuore del padre, è una voce efficacissima che chiama tutta la famiglia alla,religione, a Dio. Don Bosco abbracciò la gioventù: ma tutta la gioventù in tutti i rami di attività. Un tempo solamente i nobili ed i ricchi aspiravano alle professioni civili. Oggi le scuole secondarie e superori sono prese di assalto da ogni ceto di persone, anche il figlio del medio borghese dell’operaio, massime fra gli emigranti, aspira alle più alte carriere. Eccovi don Bosco provvedere a questa bisogna, e mentre dà alla chiesa nuovi eserciti di sacerdoti, partono dalle sue scuole allievi innumerevoli, figli d’ogni ceto, che divengono maestri, professori, avvocati, medici ingegneri, profesionisti d’ogni fatta portanti con sè quella fede e quella pietà religiosa che li rende apostoli. Qual potente fecondità di bene quindi la attuazione del programma completo dell’opera di Don Bosco in mezzo a quel popolo immenso d’immigrati! Oggi l’operaio ascende, anche a lui si apre la scala sociale. Come provvedervi? In Bogatà, Quito, Guaiaquil, Lima, La Paz, Valparaiso, Santiago, Nichteroy, in Rio de Janeiro, S. Paolo, Montevideo, Buenos Aires, Bahia Blacna, Viedma, Puntarenas al Magellano, nelle repubbliche centrali dall’un capo all’altro dell’America, voi vedete sorgere fiorentissimi istituti salesiani non solamente con scuole elementari, tecniche, commerciali, ginnasiali e liceali, ma colle scuole professionali di arti e mestieri, progredite fino ai più ambiti perfezionamenti. Don Bosco elevò a dignità di collegio l’istituto dei giovani artigiani, che un tempo chiamavasi ricovero, cosa quasi avvilente. Vi introdusse la istruzione letteraria tecnica, disegno, aritmetica, lingue estere, sociologia, musica, drammatica, ginnastica, quanto occorre per formare un operaio convenientemente istruito e colto. Ivi si allenano migliaia e migliaia di figli del popolo, [p. 142 modifica]gli immigrati si confondono e fraternizzano coi nazionali e gli uni e gli altri si formano e si preparano ad un ridente avvenire. Saranno ottimi lavoratori, esemplari cristiani ed eccellenti cittadini. Salanno un mirabile lievito per la società che li attende e se ne avvantaggia. Frattanto fra queste scuole professionali lavorano febbrilmente numerose tipografie a diffusione della verità, a servigio della gioventù studiosa, a difesa della Chiesa, a bene della società e specialmente a istruzione sana del popolo. Santa invadenza ben degna di un apostolo ardente qual’era don Bosco. Che si vuol di più? Preso ogni collegio salesiano sorge sempre la chiesa pel popolo. Chiesa che ben presto è gran chiesa o santuario, con tutti i miglioramenti e aggiunti moderni atti ad attirarvi con trasporto entusiastico la folla immensa dei fedeli. Eccovi quindi alti campanili con sonori concerti di campane, grandiosi organi, splendidi addobbi, sontuosi apparati, cappelle musicali con centinaia di cantori, numeroso clero all’altare, bande musicali per ricevimenti o professioni e simili. Frattanto la chiesa splendidamente uffiziata si riempie. Essa è casa di ricreazione, scuola del popolo, un’immensa e interminabile sacra missione. Da questi centri partono le visite dei missionari alle colonie sperdute nelle sterminabili campagne. Colà è atteso con gioia e trionfo il missionaro da quei buoni immigrati, e sono giorni di festa quelli che si passano con loro. Città e campagna, gioventù e popolo, ovunque volge la immigrazione, tutto è curato e salvato. Questa vasta tela di azione non poteva che essere altamente apprezzata da quelle giovani repubbliche che vedevano insieme con l’immigrazione europea, che veniva a valorizzare i loro campi, a portare nuove industrie e commerci, anche una immigrazione religiosa.