Il buon cuore - Anno XIII, n. 17 - 25 aprile 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 24 febbraio 2022 50% Da definire

Il buon cuore - Anno XIII, n. 17 - 25 aprile 1914 Religione

[p. 129 modifica]Educazione ed Istruzione


L. Veuillot, Roma, l’Italia


Luigi Veuillot è uno dei pochissimi stranieri — unico forse — che conobbe la passione di Roma: se il Goethe, il quale ebbe a confessare di «aver compreso solo a Roma, che cosa è un uomo» è l’assertore di una squisita romanità superba, il Veuillot è il testimone appassionato, il testimone vivente, è il segnato, è il «martire» di Roma.

Nello spirito apollineo di Wolfango Goethe l’evocazione di Roma è l’acuto rimpianto di un ricordo di dolore: «la felicità che trovai a Roma non l’ho più rinvenuta altrove; anzi quando ripenso al mio soggiorno romano, debbo dire che l’ho perduta per sempre».

Luigi Veuillot invece, porta con sè lungi dalla città prediletta il dono inestimabile della presenza interiore: egli la possiede Roma, nella sua anima e nel suo cuore, perchè tutta la sua anima e tutto il suo cuore hanno vibrato, hanno palpitato, appassionatamente, a Roma.

Egli non possiede, è vero l’acuta capacità visiva dello Stendhal, non conosce le sotgli sensibilità dell’esteta e del dilettante: egli è un uomo intiero nella Più umana, nella più sana e robusta eccezione del termine: il suo respiro è tutto una letizia di sanità fisica e morale. Il Sanit-Beuve l’ha profilato, esattamente, così; un’anima robusta di popolano non

comune di padre in figlio nelle polite eleganze dei saloni, un’intelligenza rapida ed assoluta non fiaccata dalla critica, non astretta a sistemi, di una sensenbilità profonda e di un grande bisogno di tenerezza.

Luigi Veuillot la vede così, Roma: e così l’ama così la sente così la vive: possentemente e totalmente. Se egli fosse venuto a Roma possedendo il dono della fede, egli certo, averebbe raccolto una sensazione meravigliosa di rinnovamento e di energia: come già Federigo Ozanam egli averbbe adempiuto a Roma alla suprema legge dell’anima, oportoret renasci.

A Roma, invece, egli venne scettico, sensibilmente volterriano, prevalentemente indifferente: «Credevo di andare a Costantinopoli; andavo più lontano, invece: a Roma, al battesimo».

E fu preso, fu vinto, fu posseduto: egli non portava nulla, se non l’anima aperta e lieta; non portava neanche il facile oblio di una infanzia, di un’adolescenza fervida di fede: nato ed educato nell’età tipica di quell’indifferentismo che amò flagellare l’abate Lamennais, cresciuto in mezzo ad uomini che avevano visto i giorni del Terrore e della rinascita e che quasi sgomenti dalla tragica vicenda sì rapida parevano incapaci non che d’odio anche di amore, egli era stato affidato alle cure di un maestro laico che alternava agli entusiasmi della bettola le meditate prudenze di un certo insegnamento catechistico che, in omaggio alle leggi della restaurazione, concedeva agli alunni nei giorni festivi, un massimo... minimo di dottrinella addomesticata.

Quado il 15 marzo 1838 il giovine straniero che andava sperimentando i suoi magnifici talenti di scrittore e di polemista nell’esercizio del piccolo giornalismo di provincia, entrava in Roma, in sul crepuscolo, per la porta Cavalleggeri, non alimentava nel suo spirito nè timori, nè impazienze, nè suggestioni di memorie appena sopite: passava, semplicemente, per Roma, diretto, com’era, a Costantinopoli.

La malìa di Roma lo sorprese e lo incolse senza saggezza d’indugi, d’un colpo solo, rapido improvviso vitorioso. La sera stessa dell’arrivo un amicio diletto che nel [p. 130 modifica]la città pia consacra le sue letizie nuziali, lo conduce a notte, su, sulla chiesa di Aracoeii dove si celebra la funzione delle Quarantore. Le strade deserte ed oscure s’andavano illuminando qua e là colle lampade splendenti innanzi alle immagini sacre; il Campidoglio, avvolto in un’ombra trasparente troneggiava in tutta la sua maestà secolare: ma il superbo tempio capitolino era tutto una magnificenza di luce. A cento i ceri consumavano sull’altare maggiore: tutta la luce di Roma dormiente sembrava raccolta e custodita innanzi al divino Vigilante. Una folla di popolo pregava genuflessa, silenziosamente: solo - il lento sottile tintinnio dei rosari segnava l’ansia fervida e serena della preghiera comune. a Tutti pregavano -- scrive il Veuillot, ricordando la sua prima sera romana. — E io, pensai finalmente, io non ho una preghiera nel cuore? non ho a domandar nulla a Dio? Perchè questi cristiani mi provavano l’esistenza di Dio meglio di quanto avessero potuto, fino allora, tutti i ragionamenti. Cercai: il mio pensiero riornò a questa Francia dove avevo lasciato le mie sorelle e pregai Dio di stendere la sua protezione su queste due creature. Fu la mia prima preghiera». Roma lo ha ghermito e lo ha vinto, dunque: aveva passato, in sul tramonto, la porta Cavalleggeri; aveva salutato, da poche ore dalla via campestre, la? cupola di San Pietro: la sua prima preghiera romana» rivelava tutta l’anima cua; la confidenza assoluta in Dio, la totalità della sua dedizione, la squisita tenerezza degli affeti famigliari; il tesoro cioè della sua cristiana commossa semplicità: il cuore di fanciullo che egli amerà chiudere e custodire nel cerchio di ferro dell’asprezza campagnuola, soto la inflessibile lama della poemica inesorabile. Tale Luigi Veuillot, in questa duplicità di spirito che appare strana ma che pure risponde ad una rigorOsa logica intima: la logica di quella semplicità, di quella a primitività» spirituale che è caratteristica classica dei combattenti di razza. Roma è, così, la città santa di questo cavaliere di ferro: il suo primo soggiorno è tutta una perigrinazione dell’anima sua. E ogni sosta segna una conquista: ogni tempio è un santuario del suo spirito. A San Pietro sulla tomba dell’apostolo, ascolta la messa, la sua prima messa:. «Eran forse, dieci anni in qua, la prima volta che assistevo al sacrificio; era la prima volta della mia vita, forse, che lo seguivo con attenzione. Io restavo in piedi, dietro gli altri tutti». Alla Comunione tutti si avvicinarono alla Mensa: egli solo ne rimase lontano: a Mi sentii infelice; trovai Dio ingiusto con me, perchè mi escludeva da questa pace, da questa gioia... Ma io, io solo ero l’ingiusto invece...». E lentamente, intanto, con una lentezza insistente e penetrante, Roma spiega tutto l’orgoglio delle sue malìe, e tutto lo raccoglie attorno all’anima di

questo singolare innamorato: «Je recevais partout des flèches — scriverà il Veuillot trentacinque anni dopo — sans songer a me défendre o. Dovunque: in tutti i focolari di luce e di bellezza onde la maggioie città appare superba. E nelle pagine consacrate al racconto della sua conversione, come in quel Parfum de Rome, che doveva essere la compiuta -offerta della sua commossa romanità, egli indugia ripetutamente, a ricordare e a raffigurare le cose- e i luoghi «santi o della sua a terra natale o: Santa Maria degli Angeli, il Colosseo, il Mosè’ gli affreschi della Pace e di S. Andrea della Valle, Santa Maria de Popolo, il Gesù, Santa Maria Maggiore. Al Gesù ebbe a conoscere, in quei giorni, l’illustre P. Rosaven, e dopo aver avuto molte conferenze, ebbe a confessarsi, con lui, nel Venrdì Santo, e a Santa Maria Maggiore, nella domenica di Pasqua, a celebrare la comunione del suo ritorno, la sua prima comunione: «io mi compiaccio dolcemente in tutti questi particolari — egli scrive narrando la storia -e le bellezze della basilica liberiana — perchè Santa Maria Maggiore è anche la mia chiesa prediletta, e non v’è luogo al mondo, neanche la tomba dei miei parenti, che io desideri tanto rivedere, e coprire di baci e bagnare delle mie lacrime...». Così, dal Campidoglio all’Esquilino la vicenda di conquista è adempiuta e la Parola di Roma è resa feconda in tutto il suo splendore: «Roma è una predicazione ininterrotta: i tempi vi sono raccolti, le cose vi si congiungono per confessare Gesù Cristo... E sosì • di tutto quanto si vede: Roma è davvero quel libro degli ignoranti, di cui parlava quel buon papa che voleva le chiesè adorne di pitture e di scolture sulle quali il popolo poteva leggere sempre le belle istorie della fede». E quanta effusione di bellezza nelle pagine di questo mirabile libro immortale, coronato di luce e di fiori. I fiori di Roma! «Su di una delle colline romane si eleva una graziosa villetta. Si chiama villa Millns, dal nome del suo proprietario, e noi l’abbiamo battezzata la Villa delle Rose: non ho bisogno, quindi di dire perchè essa era la meta preferita delle nostre care passeggiate e perchè il ricordo di essa ci è rimasto sì dolce. Ai pregi di una postura incantevole in mezzo ad innumerevoli belle rovine, la Villa delle Rose congiunge il, dono di essere prediletta dal sole e di gioire più a lungo degli altri di una primavera imbalsamata. Le rose vi fioriscono dovunque, lungo ampie spalliere, in ciuffi, in boschetti; incorniciano le aiuole disseminate di violette o di immensi cesti di resede. E’ difficile dire la gioia degli occhi dinanzi a questa prodigalità; e in mezzo a quel velario odorante si procede, fra cielo e terra, vedendo sotto adagiate le due Rome; é con quale entusiasmo di tenerezza dolente l’amore dei lontani, fra tante e tante gioie, vibri profondo nell’anima: — Dio aia lodato per aver fatto la terra sì bella! -» E i fiori di Roma non saluteranno sodo le vigilie [p. 131 modifica]Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 17 - 25 aprile 1914.pdf/3 [p. 132 modifica]diventai di peso all’orfanotrofio, pensai che avrei potuto benissimo guadagnarmi la vita con qualche lavoro e perciò espressi le mie idee al Direttore chiedendogli di voler provvedre anche a me qualche posto buono ed onorato. E così dietro alla mia domanda, in meno di una quindicina passai a Locarno da una famiglia in Rualità di domestica e lì rimasi per un anno, e sarei rimasta più a lungO poichè i miei padroni mi trattavano bene, ed io mi ero affezionata a loro, se la la mia «Nonna» non mi avesse richiamata a Mi_ano. Povretta, era sola, diceva di aver bisogno di una compagnia e anche pensava che il mestiere che avevo scelto, era l’ultimo dei mestieri, e non mi.voleva lasciar servire in casa d’altri. Me ne tornai quindi a. Milano, e dopo essere stata impiegata tre anni in uno stabilimento tipografico, a stampare sulle macchine pedaline i biglietti da visita e, che questo stabilimento venne a fallire — mi trovai di bel nuovo in libehà e mi diedi d’attorno a cercare un altro posto, che trovai poi coll’aiuto di un th’-o compagno di lavoro, presso uno stabilimento ove sua sorella lavorava in passamanerie. Era questo per Inc un posto nuovo e non conoscendo quel genere di lavoro temevo di non poter fare•buona riuscita; ma mi misi coraggiosamente all’opera, e senza difficoltà imp.arai il nuovo mestiere che ancora esercito dopo nove anni. Fu in quei giorni che un avvenimento inaspettato venne z mutare completamente la mia vita. Avevo molti dispiaceri, molte difficoltà di ogni genere che mi facevano soffrire.... il ricordo dei miei genitori mi turbava l’animo, insomma, diverse cause insieme formavano per me un grandissimo dolore; e un giorno, co_ta da forte esaltazione mentale, tentai di too-liermi la vita. Tenevo in casa l’acido solforico per la pulizia dei letti... trovandomi sola presi là. boccetta e seriz’altro, trangugiai tutto quanto il contenuto. Poi mi venne male, perdetti i sentimenti e mi svegliai dopo tre settimane all’Ospedale Maggiore Dopo quel lungo letargo la mente ricominciava piano piano a ragionare, vedevo le persone e capivo tutto ma, non potevo parlare perchè la lingua era gonfia, la gola e lo stomaco bruciati. Il sangue prodotto dalle ulceri allo stomaco mi usciva continuamente di bocca e lo stato mio doveva essere disperato, poichè il dottore quando passava dal mio letto non mi guardava neppur più. Non vi era insomma più nulla da fare. Proprio allora venne a trovarmi la mia «Nonna»; così sola poveretta, appoggiata al suo bastone, e piangendo si accostò al mio letto. Io la vidi piangere la vidi cavar fuori di tasca una medaglina che baciò con divozione. Poi volle darmela in mano e mi disse:«Invoca il nome di Maria e chiedile la grazia o di farti guarire o di farti morire perchè star lì così dai dispiacere a tutti». E il morire per me’ sarebbe stato davvero una grazia! Mi fece pietà a vedere quella donna vecchia a piangere così, e....

non fu nemanco per fede, che allora non credevo a Maria, ma per ubbidienza e perchè mi faceva pietà questa donna che domandai a Maria la grazia. di farmi guarire o morire. Ecco tutto. E così avvenne che proprio il giorno dopo trovai un sensiile miglioramento nella mia condizione, e allora, mio malgrado dovetti credere alla potenza di Maria e prometter di esserle riconoscente col farmi veramente cristiana e Coll’amarla come fanno i buoni cattolici. Fui poi circondata dalle suore le quali. intuivano il mio pensiero,. Senza fare alcuna pressione su di me, con moita grazia e dolcezza m’insegnarono tante:ose belle; m’insegnarono ad amare Maria e mi fecero conoscere quello che dovevo praticare per diventare veramente cristiana. Appena uscita dall’OSpedale trovai altre anime buone che circondarono e venute a conoscenza della mia volontà d’abbracciare la religione vera, si piestaliono -a farmi conoscere altre suore e sacerdoti illuminati, che m’istruirono, poichè avevo molte obbiezioni a far loro, e quando fui ben convinta di ciò che stavo per fare — abjurai — in una cappella privata di Suore, riciszetti il Santo Battesimo, e feci la mia prima Comunione. Io avevo desiderato esser sola alla cerimonia; ma invece quando uscii, con mia sorpresa mi trovai circondata da tante signore che erano venute ad assistermi e che mi chiamavano fortunata. Ed io lo era veramente, poichè sentivo di aver Dio nel cuore. Da questo giorno bello, che non potrò mai dimenticare molti eventi belli e brutti mi sono succeduti nella mia esistenza. Ebbi il dolore di perdere colei che mi faceva da mamma. Ma debbo pur riconoscere che il Signore e Maria Santissima mi debbono proteggere poichè non mi sento più spaventata per qualsiasi difficoltà che m’incontri. Sopra ogni cosa trovo la rassegnazione, e benchè la mia vita sia tutora quella di,una povera operaia, e benchè mi trovi sola, ho la pace dei cristiani in cuore, e nelle mie miserie, mi sento contenta.

criovità

UN NUOVO,LIBRO DI MONS. BONOMELLI Monsignor G. BONOMELLI

Peregrinazioni Estive COSE — UOMINI — PAESI Volume di 400 pagine con 16 illuslraz. L. -21,— Per gli abbonati del Buon Cuore L. 3,50 Casa Editrice L. F. COGLIATI - Milano, Corso P. Romana, 17