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la città pia consacra le sue letizie nuziali, lo conduce a notte, su, sulla chiesa di Aracoeii dove si celebra la funzione delle Quarantore. Le strade deserte ed oscure s’andavano illuminando qua e là colle lampade splendenti innanzi alle immagini sacre; il Campidoglio, avvolto in un’ombra trasparente troneggiava in tutta la sua maestà secolare: ma il superbo tempio capitolino era tutto una magnificenza di luce. A cento i ceri consumavano sull’altare maggiore: tutta la luce di Roma dormiente sembrava raccolta e custodita innanzi al divino Vigilante. Una folla di popolo pregava genuflessa, silenziosamente: solo - il lento sottile tintinnio dei rosari segnava l’ansia fervida e serena della preghiera comune. a Tutti pregavano -- scrive il Veuillot, ricordando la sua prima sera romana. — E io, pensai finalmente, io non ho una preghiera nel cuore? non ho a domandar nulla a Dio? Perchè questi cristiani mi provavano l’esistenza di Dio meglio di quanto avessero potuto, fino allora, tutti i ragionamenti. Cercai: il mio pensiero riornò a questa Francia dove avevo lasciato le mie sorelle e pregai Dio di stendere la sua protezione su queste due creature. Fu la mia prima preghiera». Roma lo ha ghermito e lo ha vinto, dunque: aveva passato, in sul tramonto, la porta Cavalleggeri; aveva salutato, da poche ore dalla via campestre, la? cupola di San Pietro: la sua prima preghiera romana» rivelava tutta l’anima cua; la confidenza assoluta in Dio, la totalità della sua dedizione, la squisita tenerezza degli affeti famigliari; il tesoro cioè della sua cristiana commossa semplicità: il cuore di fanciullo che egli amerà chiudere e custodire nel cerchio di ferro dell’asprezza campagnuola, soto la inflessibile lama della poemica inesorabile. Tale Luigi Veuillot, in questa duplicità di spirito che appare strana ma che pure risponde ad una rigorOsa logica intima: la logica di quella semplicità, di quella a primitività» spirituale che è caratteristica classica dei combattenti di razza. Roma è, così, la città santa di questo cavaliere di ferro: il suo primo soggiorno è tutta una perigrinazione dell’anima sua. E ogni sosta segna una conquista: ogni tempio è un santuario del suo spirito. A San Pietro sulla tomba dell’apostolo, ascolta la messa, la sua prima messa:. «Eran forse, dieci anni in qua, la prima volta che assistevo al sacrificio; era la prima volta della mia vita, forse, che lo seguivo con attenzione. Io restavo in piedi, dietro gli altri tutti». Alla Comunione tutti si avvicinarono alla Mensa: egli solo ne rimase lontano: a Mi sentii infelice; trovai Dio ingiusto con me, perchè mi escludeva da questa pace, da questa gioia... Ma io, io solo ero l’ingiusto invece...». E lentamente, intanto, con una lentezza insistente e penetrante, Roma spiega tutto l’orgoglio delle sue malìe, e tutto lo raccoglie attorno all’anima di

questo singolare innamorato: «Je recevais partout des flèches — scriverà il Veuillot trentacinque anni dopo — sans songer a me défendre o. Dovunque: in tutti i focolari di luce e di bellezza onde la maggioie città appare superba. E nelle pagine consacrate al racconto della sua conversione, come in quel Parfum de Rome, che doveva essere la compiuta -offerta della sua commossa romanità, egli indugia ripetutamente, a ricordare e a raffigurare le cose- e i luoghi «santi o della sua a terra natale o: Santa Maria degli Angeli, il Colosseo, il Mosè’ gli affreschi della Pace e di S. Andrea della Valle, Santa Maria de Popolo, il Gesù, Santa Maria Maggiore. Al Gesù ebbe a conoscere, in quei giorni, l’illustre P. Rosaven, e dopo aver avuto molte conferenze, ebbe a confessarsi, con lui, nel Venrdì Santo, e a Santa Maria Maggiore, nella domenica di Pasqua, a celebrare la comunione del suo ritorno, la sua prima comunione: «io mi compiaccio dolcemente in tutti questi particolari — egli scrive narrando la storia -e le bellezze della basilica liberiana — perchè Santa Maria Maggiore è anche la mia chiesa prediletta, e non v’è luogo al mondo, neanche la tomba dei miei parenti, che io desideri tanto rivedere, e coprire di baci e bagnare delle mie lacrime...». Così, dal Campidoglio all’Esquilino la vicenda di conquista è adempiuta e la Parola di Roma è resa feconda in tutto il suo splendore: «Roma è una predicazione ininterrotta: i tempi vi sono raccolti, le cose vi si congiungono per confessare Gesù Cristo... E sosì • di tutto quanto si vede: Roma è davvero quel libro degli ignoranti, di cui parlava quel buon papa che voleva le chiesè adorne di pitture e di scolture sulle quali il popolo poteva leggere sempre le belle istorie della fede». E quanta effusione di bellezza nelle pagine di questo mirabile libro immortale, coronato di luce e di fiori. I fiori di Roma! «Su di una delle colline romane si eleva una graziosa villetta. Si chiama villa Millns, dal nome del suo proprietario, e noi l’abbiamo battezzata la Villa delle Rose: non ho bisogno, quindi di dire perchè essa era la meta preferita delle nostre care passeggiate e perchè il ricordo di essa ci è rimasto sì dolce. Ai pregi di una postura incantevole in mezzo ad innumerevoli belle rovine, la Villa delle Rose congiunge il, dono di essere prediletta dal sole e di gioire più a lungo degli altri di una primavera imbalsamata. Le rose vi fioriscono dovunque, lungo ampie spalliere, in ciuffi, in boschetti; incorniciano le aiuole disseminate di violette o di immensi cesti di resede. E’ difficile dire la gioia degli occhi dinanzi a questa prodigalità; e in mezzo a quel velario odorante si procede, fra cielo e terra, vedendo sotto adagiate le due Rome; é con quale entusiasmo di tenerezza dolente l’amore dei lontani, fra tante e tante gioie, vibri profondo nell’anima: — Dio aia lodato per aver fatto la terra sì bella! -» E i fiori di Roma non saluteranno sodo le vigilie