Il buon cuore - Anno XII, n. 40 - 4 ottobre 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 40 - 4 ottobre 1913 Religione

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Sul limitare della luce


Le ultime clarisse napoletane


Continuazione del numero 39.



Scacciate dai chiostri nei quali avevano voluto rinchiudersi per sentirsi fuori d’ogni contatto con la vita fallace, disperse, smarrite quasi, in quel mondo ch’esse avevano desiderato di fuggire per sempre, le suore dei soppressi monasteri napoletani trovarono in Santa Chiara ospitale, da un secolo a questa parte, il nuovo refugio che restituì loro una bianca cella ove incominciare a ritessere la trama del divoto sogno interrotto dalla brutalità degli uomini che non avevano esitato dallo strapparle al volontario esilio e risospingerle nel burrascoso mare dell’esistenza... Fin dal 1898, --quando fu soppresso quel San Francesco delle Monache o della a limosina» che sorse quasi contemporaneo a quello di Santa Chiara da un gruppo di Terziarie francescane alle quali una santa donna venuta d’Assisi aveva portato un’imagine al naturale di San Francesco e che acoglie nel cinquecento la bellissima e desventurada Giulia Gonzaga, — il vicino monastero di Sancia accolse quattordici suore, che furono più tardi, con lettera di monsignor Nunzio apostolico del 14 luglio 1822, incorporate alle altre Clarisse. E vi si ricoverarono più tardi, nel 1828, le Benedettine di donna Romita; nel 1829 alcune monache di Donnalbina; e poi, ancora, nel 1864, le religiose di donna Regina, nel 1866 le monache del Divino Amore, che il 16 gennaio di quell’anno ricevettero a mezzodì l’ordine di far legale consegna del monastero all’e Ave Maria», così che il frettoloso sgombero servì agli affaristi per fare sparire molti tesori d’arte ivi esistenti, — e infine, nel 1886, le monache della Sapienza cui eransi unite quelle di San Giovanni; e fors’anche, più tardi, le ultime suore della. Croce di Lucca.


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L’antico chiostro glorioso, pel quale era già cominciato il declino, che già andavasi poco a poco spopolando, accolse amorosamente le suore scacciate dagli altri conventi, e ne ricevette come una novella discreta onda di vita... Ma lentamente le vecchie suore sparirono, e invecchiarono quelle che vi erano entrate ancor giovani... La schiera. si assottigliò: ciascuna di quelle anime, che nelle mura conventuali, come dice Sant’Agostino, amano di amare, sentiva avvicinarsi la fine, sentiva dileguare il passato, irrimediabilmente. E la morte, ogni tanto, oltrepassava la soglia del chiostro francescano, e una nuova sorella entrava nella luce sul cui limitare era’ rimasta come sospesa quando il tremendo alito era venuto a diffondersi nel suo refugio...

Oggi, non ve ne sono che tre o quattro: le ultime. La fulgente speranza d’oltre tomba culla ancora la loro anima, separate come sono dal mondo che non le ricorda quasi, che non pensa forse ad esse, mai... Scorsi le loro ombre, un giorno di primavera, dietro le grate che affacciano nella chiesa grandiosa e fastosa ove un dì trionfava tanta regale magnificenza, ove nei giorni di gran festa convenivano sovrani, e sfilavano battaglioni armati... Un vasto silenzio, una grande attesa erano, invece, nel pomeriggio marzolino, nella solenne chiesa ove don Lorenzo Perosi dirigeva un suo nuovo oratorio, La musica si spandeva tenera e toccante dai violini, come un sommesso pianto di anime tristi, ascendeva lentamente lungo gli archi e le colonne, toccava la vòlta, mentre cori di voci femminili sorgevano ad un tratto, pian piano, sotto la immensa navata, e si univano a cori di voci maschili, sin quando gli ottoni non si levarono a coprire il duplice canto, lanciando un grido di vittoria che si diffuse con un [p. 314 modifica]che parve riempire di sè l’ampia chiesa in ogni angolo... Le poche, vecchissime suore, ascoltavano immobili, dietro le grate. Noi scorgevamo, indecisi, i loro profili. Ma esse non vedevano forse nessuno; non vedevano la gran folla mondana che si accalcava nel tempio, magnifico, portandovi un soffio della vita già obliata; esse non ricordavano neppure i tempi in cui un’altra folla, ben più solenne e scintillante, riempiva la loro chiesa... Le ultime Clarisse sognavano sul ritmo della suggestiva musica perosiana, l’ultimo loro sogno, il più soave e il più luminoso: e quel canto sottile di violini pareva ridir la tristezza del loro refugio consacrato alla morte, e quel trionfale squillare di trombe la liberaione della loro anima assurgente in quella luce di cui già intravedevano, sulla soglia, l’inestinguibile splendore. E sparvero, poi che fu cessata la musica; sparvero lente, mentre le campane sorgevano a ripetere il saluto dell’angelo nel cielo sereno... E pensai, allora, quanto mite e rassegnato struggimento deve essere in fendo all’anima di queste vecchissime clarisse che passano come bianchi e taciti fantasmi nei corridoi, nel coro, nel refettorio del loro deserto monastero, che ripensano, ogni giorno; ogni ora, al tempo nel quale tante altre sorelle trascorrevano con esse la medesima silenziosa esistenza, in quel luogo ove appassì lentamente la giovinezza del loro corpo e donde non usciranno, ora, che quando saranno distese nella nuda cassa d’abete. Nè, certo, il pensiero della morte le turba. Tante altre sorelle esse hanno veduto spegnersi di tante altre han confortato l’agonia nelle piccole celle ora vuote, a tante altre han chiuso gli occhi e composte in croce le braccia sul petto!

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La triste sorte delle ultime abitatrici di Santa Chiara ispirò un delicato poeta scomparso ancor giovine, Daniele Oberto Marrama, una squisita poesia: Le suore: Ne son rimaste quattro. Erano cento. nel tempo andato quando il monistero dava la voce dei suoi bronzi al vento ed il tempio magnifico e severo era alla festa tutta una fiammata e ardeva una pupilla in ogni cero. Ne son rimaste quattro. Ora alla grata sembran fantasmi avvolti in lini bianchi e ogni testa si piega, abbandonata., Guardano tutte nei deserti banchi’ della chiesa e all’altare ch’è nel fondo, e si segnan con larghi gesti stanchi. Quattro fantasmi, in troppo vasto mondo! L’ombra le cinge come d’un sudario, ed il silenzio ha un respirar profondo. E il Marrama imaginava che ognuna di queste suore formulasse silenziosamente il voto di chiudere gli occhi per l’ultima, nel monastero deserto, di accompagnare le altre’ sorelle alla tomba....

Ma la più vecchia, quella ch’è badessa, da sett’antanni, e quasi è centenaria cieca, ascolta placida la messa. Ella sa che la sorte mai fu varia in sett’antanni accompagnò la bara d’ogni sorella e d’ogni dignitaria. Sentì passare la tempesta amara ’d’ambizioni intorno al suo destino stette queta, come fiamma chiara. Ella sa che domani anco il becchino ritornerà per una bianca suora rifarà la cieca il suo cammino. E resterà, una sera, la signora del Silenzio, dell’Ombra, e con la mano andrà toccando il suo dominio, ancora. Camminerà lungo le celle, piano ne spalancherà tutte le porte. Poi l’occhio spento guarderà lontano. E solo allora-aspetterà la Morte. Intanto, sul limitare della luce, le estreme abitatrici di Santa Chiara trascorrono la loro vita d’ombra, mentre le fervorose sommesse preghiere continuano a spandersi in ogni ora del giorno, nelle poche celle in cui arde ancora una forza d’amore non spenta giammai. E quando l’ultima di esse sarà morta, sparirà come l’estremo bagliore in un passato di bellezza, di forza e di fede, a rievocarci i} quale resteranno soltanto le regali tombe solenni, nel tempio vicino. Napoli, luglio. ALBERTO CAPPELLETTI.

Il poeta di un popolo

PETER ROSEGGER

BERLINO, agosto. A Peter Roseger, il «poeta mero» della ’Stiria. che di questi giorni, nella ricorrenza del suo settantesimo compleanno, è stato fatto segno in ogni paese di lingua tedesca alle più spontanee e onorevoli manifestazioni di ammirazione e di simpatia (dai telegrammi d’augurio del conte Stiirgkh e del ministro Hussarek( del Kronprinz e del Cancelliere Bethmann Hollweg, alla cospicua elargizione della città di Vienna a benefizio del «Deutscher Schulverein all’indirizzo del corpo degli insegnanti; al dono, commovente nella sua ingenuità, delle scolarette ili Alpl — il villaggio nativo di Rosegger -- sei paia di calzettini opera delle loro mani) anche la stampa cattolica non ha mancato di offrire il suo tributo di congratulazioni e di lodi, ma queste e quelle attenuate da riserve chiare ed esplicite. «Noi non vogliamo nulla detrarre ai veri meriti di Rosegger, volentieri riconosciamo, anzi, che in parecchi dei suoi lavori spira un’aria fresca e sana, e sinceramente ci compiacciamo della semplicità della [p. 315 modifica]sua arte che sopratutto dalla grande naturalezza deriva la sua efficacia, del suo profondo amore per la natura, del suo aureo umorismo, del suo caldo affet:to per il popolo. Alcuni suoi libri appartengono davvero a quanto di più bello vanta la letteratura narrativa contemporanea ed è da consigliarne a tutti la lettura. «Ma uscendo dal campo della «Bauerngeschichten n (racconti della vita dei contadini) nel quale si rivela un poeta di primo ordine, purtroppo il Rosegger ha perseguito anche nel suo scrivere scopi estranei all’attività puramente artistica trasformandosi spesso in un «Tendezschrifsteller n. E il predicatore che prevale in diversi dei suoi volumi più recenti resta di molto al disotto del poeta. A farsi banditore di un nuovo verbo religioso mancano al Rosegger scienza limpida, profondità filosofica, calore. Mai, infatti, egli abbandona il fraseggiare generico intorno a una religione senza dommi, a una vaporosa religione dell’amore, cosicchè solo persone di mediocre cultura possono accendersi d’entusiasmo per le sue idee. Riguardo a tale categoria di persone Peter Rosegger è pericoloso. Libri quali il «Mio regno dei cieli» (Mein Himmebreich, i9oo), il a Cercatore di Iddio a (Der Gottsucher), a I. N. R. J. lieto messaggio di un povero peccatore» (I. N. R. I. frohe Botschaft eines armen Siinders 19o4), ecc., che al loro apparire furon portati alle stelle dai giornali liberali, sono lavori meschini vuoti di contenuto e senza alcun valore d’espressione. Non appena Rosegger si allontana dal campo che gli è proprio anche la musa si allontana da lui. Gli oltraggi contro il clero cattolico che deturpano tante sue pagine, le sue vedute superficiali sul cristianesimo diminuiscono per forza agli occhi nostri, in misura assai notevole, il pregio delle sue opere e impongono a chiunque condivida il nostro pensiero la critica più aspra. «Fortunatamente, però, i migliori fra i suoi scritti non li dobbiamo, come abbiamo avvertito, alla penna del predicatore laico, ma a quella del poeta: a questi scritti è lecito ad ognuno attingere per la sua gioia. a Solo il poeta vivrà che ardentemente ama il suo popolo e il suo paese, che nella libera natura scopre sempre nuove sorgenti di ispirazione e alla cui festa noi ci associamo di cuore n. Così la a KOlnische Volkszeitung n (N. 659). E di queste affermazioni e riserve si può bene, credo, lasciarla responsabile. Io ho voluto riferirle perchè sicuro di non errare pensando che i lettori, cui l’opera del Rosegger è più o meno nota, le troveranno pienamente conformi alla loro opinione. • •

Ciò promesso, distinto il «Tendenszschrifsteller» alla Tolstoi, il fautore del a Los von Rom Bewegung n (movimento) dal a Naturpoet n, veniamo a qualche interessante particolare riferentesi a quest’ultimo. Figlio di contadini dimoranti in Alpl presso Krieglach su la Miirz, il futuro dottore a honoris causa»

di due università inaugurò la vita col badare le pecore. La costituzione gracile non lo rendeva però abile al lavoro dei campi sicché il padre, dopo essere stato alcun tempo perplesso se metterlo in seminario oppure fargli apprendere un- mestiere, si decise per il mestiere e un bel giorno lo condusse in Hauenstein dal buon Nazi mastro sarto. Questi brontolò molto, fece cader la cosa molto dall’alto, ma infine accettò come apprendiSta il piccolo Pietro. Di casolare in casolare egli percorse allora per tre anni in tutti i sensi la valle della Miirz aiutando il principale a cucir casacche e calzoni, e nel tempo stesso osservando con insaziabile curiosità tutto ciò che s’offriva al suo sguardo e al suo spirito nelle famiglie di contadini che l’ospitavano. E a poco a poco, svegliata dalle impressioni giornaliere e dalle prime letture, dalla musica degli stornelli alpigiani e dal ritmo delle canzoni popolari, anche la sua vena cominciò a gorgogliare. a Darf ich’s Dirndl lieben n, il a Lied n biricchino divenuto oggi patrimonio comune, gli fluì dalle labbra appunto in quegli anni. Il compagno di tirocinio, cui per pr’imo egli lo fece sentire, lo ammonì scandalizzato che certe effusioni intime andavano tenute per sè. Ma «non vi ha nulla che peggio si riesca a celare d’una poesia: metterla sotto il moggio non è possibile n. A dispetto, dunque, dell’amichevole ammonimento i parti della musa adolescente seguitarono a non rimaner segreti, varcarono anzi la soglia della sartoria, corsero di bocca in bocca per la valle, e giunsero in fine all’orecchio del dottor Swoboda, redattore della a Grazer Tagespost n. Dotato di fiuto sottile, il dottor Swoboda riconobbe subito, fra le inevitabili deficienze formali, il tesoro di schietta originalità che racchiudevano quei componimenti, e fece sapere all’autore che volentieri avrebbe data una occhiata nei suoi quaderni. Peter Rosegger unì in un fascio quanti racconti e liriche e favole aveva scritto in lingua e in vernacolo — in tutto quindici libbre di carta, com’egli si espresse poi scherzosamente — e nella gerla di un compaesano che si recava a Graz li inviò allo Swoboda. Questi in tanto materiale ne ebbe assai più del bisognevole per confermarsi nella sua opinione e fare con ogni sicurezza la a scoperta n di un nuovo poeta. Peter Rosegger, invitato a portarsi a Graz, diede l’addio agli aghi e alle forbici, e ammesso per intercessione dell’astronomo Falb alla scuola di commercio di quella città, colmò in breve le lacune lasciate nella sua mente dalle classi elementari. Nel 1869 Robert Hamerling, presentando la raccolta di versi a Zither und Hackrett n (Cetra e tagliere), introdusse ufficialmente il Rosegger nella società letteraria. Il periodo di raccoglimento, subentrato ai primi gorgheggi, ai primi voli, era finito. La vena, arrestata per un momento, poteva tornare a scorrere a suo agio. Non andò molto infatti che il limpido ruscello argentino divenne gonfio e impetuoso come un torrente alpino allo sciogliersi delle nevi. A a Zither und Hackbrett» tennero dietro i boz [p. 316 modifica]zetti di costumi stiriani «Tannenholz und Fichtennadel» (Legno d’abete e aghi di pini), gli «Schriften des Waldschulmeisters», «Ernest und Heiter» (Serio e faceto), «Als ich noch der Waldbauernbut war» e via di seguito, volumi e volumi, per quasi un mezzo secolo, attestanti in gran parte, sino agli ultimi, una fantasia inesauribile, un equilibrio mirabile di spontaneità e di studio, un ascendere progressivo, verso la perfezione. Irto segger medesimo, che amando molto nei suoi libri di confessarsi ha reso si può dire superflua ogni fatica di biografo (chi voglia leggerà tuttavia con profitto il lavoro del francese A. Bulliod «P. R., sa vie et son oeuvre», di cui è uscita testè la traduzione tedesca presso l’editore Staackmann di Lipsia), ha accennato una volta al suo.redo artistico. «Lo sforzo d’uno scrittore — si disse — deve consistere innanzi tutto nel dimenticare la lingua imparata a scuola e la forma ’scialba dei giornali per veder di estrinsecare in uno stile proprio il proprio pensiero: La semplice descrizione della realtà deve riuscire efficace. Una descrizione di questo genere è preferita oggi da chi legge a una sovraccarica di frasi poetiche ma trite. L’essenziale, del resto, è che le cose da descriversi si vedano davvero, e che nel descrivere si badi a dar risalto solo a ciò che è caratteristico e a rimaner più oggettivi che sia possibile. Naturalmente ciò non s’addice ad ogni caso, ma la regola nondimeno è questa D.

A che opera attende adesso il poeta settuagenario? Agli amici che così l’interrogano egli risponde sorridendo: «Volete sapere che cosa fo? Leggo Rosegger. Per quattro anni non mi occuperò che di Rosegger D. Allude il vecchio alla nuova edizione di tutti i suoi libri. Edizione in quattro serie di dieci’ torni ciascuna a buon prezzo. Della prima serie son già venuti fuori il primo e il secondo tomo: una raccolta di novelle e glia Schriften des Waldschulmeisters D. Di questi l’editore Staackmann, nel giorno del compleanno, gli ha mandato in dono mille copie affinchè ne avesse da distribuire a poveri e a malati, a orf anelli e ad operai. S’immagini se il dono poteva essere più indovinato. E’ risaputo, infatti, che lo straordinario attaccamento di Peter Rosegger per la sua terra e per il popolo di cui è figlio non si è limitato a manifestarsi a parole. Egli non si è contentato di essere il celebratore della Stiria, il lustro e il vanto di lei, ma ha voluto esserne anche il benefattore nel più largo e nobile senso. Con l’iniziativa e l’esempio ha procurato un fondo di tre milioni al e Deutscher Schulverein» austriaco, necessario a svolgere una energica azione di difesa della nazionalità nella minacciata regione; ha concorso alla edificazione o alla ricostruzione di chiese; ha istituito nel nativo comune di Alpl una a Waldschule» (scuola in cui s’insegna il píù possibile all’aria aperta, se non sono male informato) provvedendo a tutto l’occorrente, pensando perfino al ve stito dei piccoli alunni, non guardando, insomma, a spesa pur di farne un modello ideale. - Quando l’anno passato intese che si voleva apporre una lapide alla casa di Mariagriin dove avevo sug, gellato coll’Auzengruber il noto vincolo, Peter Rosegger insorse protestando che non desiderava quel ricordo vano. Ma a questi omaggi io accetto di gran cuore!» ha risposto egli al borgomastro di Vienna allorchè questi due settimane fa gli annunziò la nuova cospicua elargizione per il a Deutscher Schulverein D. E, per finire, quando la mattina del 3’ luglio scorso, guidate dal loro maestro, le scolarette della «Waldschule» di Alpl entrarono cantando come sciame di rondini nel giardino della villetta di Krieglach dove il vecchio poeta ritorna fedele ad ogni primavera, egli non,riuscì a trattenersi e uscì loro incontro piangendo per la commozione. Poi si sedette. Le bimbe gli fecero corona ed una di esse, avanzandosi timida, gli presentò sei paia di calzettini lavoro suo e delle compagne, pegno comune della più sincera gratitudine e gli disse in dialetto a Come dobbiamo noi esprimerti í nostri auguri pel settantesimo copleanno, o gran benefattore! Abbiamo pensato di offrirti, simbolo del nostro affetto e della nostra gratitudine, sei paia di calzettini lavorati da noi. Noi cominciamo a sentire.dai piedi il tuo amore, così caldo che ci giunse al cuore. Perciò vogliamo che esso rifaccia la strada peicorsa, che dai nostri cuori ritorni caldo ai tuoi piedi D. Giuseppe Sacconi.