Il buon cuore - Anno XII, n. 37 - 13 settembre 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 37 - 13 settembre 1913 Religione

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Dove aleggia lo spirito verdiano


Da BUSSETO a SANT’AGATA


(Continnazione e fine, vedi n. 36).


Gli sforzi verdiani.


Ma il maggior interesse è dato dai molti fascicoli di sfogliazzi che il Verdi ha lasciato in ogni angolo della casa e che ora furon raccolti nel suo gabinetto. Voi lasciate i cartoni dove son raccolte con indicazioni autografe le classiche sinfonie di Beethoven, Haydn, Mozart, ridotte per pianoforte, a 4 mani, e vi ingolfate volentieri in questa preziosa raccolta che vi rivela molti lati poco noti dell’illustre maestro.

La genesi delle ultime opere, specialmente di «Otello» e di «Falstaff», si può seguire in questi schizzi, molte volte frammisti di conti colonici, e di minute di lettere private di affari, stese senza altro sulla carta da musica, vicino alle migliori ispirazioni del suo genio. Non mancano i consigli per gli esecutori, come quello, che ritorna a più riprese, e così dimostra una delle preoccupazioni del maestro, di evitare gli sbalzi bruschi di tempo nei passaggi da un ritmo all’altro, e di sostituirvi graduali transizioni, inavvertibili all’uditore, tranne nei casi in cui ciò sia voluto dalla natura dell’azione. E non mancano i commenti faceti: dopo le danze che il Verdi dovette introdurre nel terzo atto dell’«Otello» per condiscendere al gusto parigino quando quell’opera si diede in Francia per la prima volta il Verdi, evidentemente seccato di aver dovuto piegarsi ad una consuetudine che egli non poteva certo approvare, aggiunse: «Qui ballano i turchi, ballano i cipriotti, ballano tutti per «Omnia secula seculorum!...».

Tra gli sfogliazzi verdiani si trova poi una traduzione del «Dies irae» che evidentemente servì al maestro durante la composizione della Messa, e che dimostra sino a qual punto egli avesse voluto immedesimarsi del testo sacro, trascrivendone a fianco il testo latino e la traduzione; vi è poi una interessante raccolta di lettere dirette al Ghislanzoni che riguarda la genesi del libretto di «Aida», dove ben si vede come il maestro designasse al suo poeta frase per frase il senso delle parole che gli attori avrebbero dovuto pronunciare, e che -potrebbe costituire una buona lezione di arte librettistica, data da un profondo conoscitore del teatro, e degli effetti che si possono ottenere dalle impressioni del pubblico.

Ed, a proposito di «Aida», c’è a S. Agata, o:meglio c’era, perché oggi il prezioso autografo è in mano di Arturo Toscanini, la sinfonia che il maestro aveva premesso à quest’opera, e che poi non credette degna di essere eseguita. La prima parte di essa è stata conservata nell’attuale preludio, ma poi seguiva un lungo sviluppo dei temi principali dell’opera, — di Aida, di Amneris, dei Sacerdoti, della gelosia — i quali si sovrappongono e si intrecciano con una audacia che in quel tempo era forse eccessiva, e che fu forse la causa prima del pentimento del Verdi. Oggi che Wagner e gli altri ci hanno abituati a intrecci anche più complessi, meno incerto sicuramente sarebbe al riguardo il giudizio del publico, mentre ci è grato tuttavia constatare che il genio verdiano, anche per questa via non temette affrontare una via prima poco o nulla battuta.

Del «Falstaff» sono molti gli abbozzi dove il maestro fermava l’ispirazione, man mano si affacciava alla mente creatrice: la fuga finale per esempio non fu molto variata nelle sue linee generali, ma subì nei particolari il lavoro paziente della lima così come le parole si mutarono dal primitivo: [p. 290 modifica]«Siamo nati burloni!» nel «L’uom è nato burlone». Riguardo al «Falstaff» è interessante conoscere dai famigliari del maestro quanto egli si occupasse dei tentativi di opera comica italiana. La sera in cui le mascagniane a Maschere» affrontavano il settemplice agone del teatro italiano, il Verdi volle essere continuamente informato dell’andamento dello spettacolo alla a Scala», incuriosito in particolare poi di conoscere come avesse potuto tradursi in note la parte di Tartaglia, perchè — egliosservava — anche chi balbetta parlando, non balbetta più cantando. Del resto il Verdi non ebbe mai troppa fiducia nell’esito finanziario neppure del suo a Falstaff», poichè non lo riteneva adatto ad un istante alla fine della sua lunga carriera, e, già ricco, non aveva cercato di trarne quattrini. verdi e la politica. Da S. Agata tornando a Busseto mi vien mostrato un cimelio assai interessante e cioè la bella lettera che si conserva inquadrata nella sede della Società operaia di mutuo soccorso di Busseto, con la quale il maestro accettava la offertagli presidenza onoraria del sodalizio. Vi appare il fermo senso pratico e retto del maestro, e, trattandosi di un documento poco noto credo valga la pena di riportarla: Sant’Agata i maggio 1865. — Accetto con grato animo l’onore di essere presidente onorario della Società di mutuo soccorso degli operai di Busseto. Queste istituzioni sono santissime quando si mantengano nella integrità dei loro principi. Ammetto la politica in Parlamento, ma abborro la politica di piazza. Amo la libertà, anzi le libertà tutte nella loro più larga estensione, ma detesto tutto ciò che è illegale e fuor di posto. Non dubito punto che questa istituzione saprà mantenersi scevra da ogni idea politica, ed è a questa condizione esplicita che io accetto l’onorevole titolo che mi viene offerto dalla società bussetana. Con sentimento di profonda stima, ecc. D. Del resto il Verdi stesso non potè impedire che a Busseto andassero raccogliendosi in folla le memorie di lui; tutto ancora vi parla della sua semplice vita, della sua frugalità, della modestia delle sue origini. La stamberga delle Roncole dove nacque a Joseph Fortuninus et Franciscus Verdi... ex Carolo», l’organo dove egli mentre si riposava dalla’ fatica del mantice a lui affidato aveva goffamente inciso un V. E. R. D. I. nel legno del parapetto, poi il fossato in cui il ragazzo Verdi cadde una sera tornando da Busseto alle Roncole, e dove sarebbe annegato senza l’intervento fortunato di due donne, poi i campi dove il futuro maestro giocava coi compagni a rincorrersi, poi la strada tra Sant’Agata e la villa dal maestro regalata alla nipote signora Verdi Carrara, che era la meta preferita delle sue passeggiate. Eccò già un complesso di cose che parlano del grande scomparso. Poi ancora quella villa di Sant’Agata che forse molti immaginavano un fastoso palazzo,

e che invece riflette la severità di costumi del maestro, e il suo vivace amore per la vita dei campi. Un pellegrinaggio a Busseto è quindi oggi più che mai interessante per vivere un’ora in quell’ambiente che fu testimonio della sua vita, e che egli, vivo, contese gelosamente allo sguardo profano. E per la stessa ragiorre sono più che opportuni i festeggiamenti che Busseto, con audacia veramente lodevole, ha indetto in onore del suo gran concittadino, oggi che l’onoranza può tributarsi senza che l’austero spirito soffra nella sua sottile suscettibilità. Tralasciando i numeri meno importanti ricordiamo la inaugurazione del monumento nel quale ci si dice che il Secchi abbia ritratto magistralmente l’effigie del maestro, e quella squisita festa musicale che guiderà Arturo Toscanini nel prossimo ottobre dirigendo il a Falstaff Una squisita festa d’arte. Squisita, anzi squisitissima, poichè non si tratterà questa volka soltanto di una esecuzione eccezionale quali son quelle a cui il Toscanini ci ha abituati, né si tratterà soltanto di adunare a Busseto i migliori artisti del teatro italiano, ma il Toscanini, con genialissima iniziativa vuole riportare il capolavoro verdiano in una piccola cornice, quale è quella offerta dal piccolo teatro di Busseto, poichè egli pensa, e non crediamo a torto, che le bellezze del a Falstaff» devano ancor meglio rivelarsi nell’intimità di un piccolo teatro, in confronto delle vastissime scene alle quali esso è stato sin qui riservato. E Busseto si prepara attivamente al grande avvenimento, non solo riformando completamente il teatro — tra l’altro per far posto alla orchestra senza dover ridurre eccessivamente lo spazio destinato agli spettatori della platea si è dovuto abbassare il piano dell’orchestra ed internarlo sotto il palcoscenico formando una specie di golfo mistico — ma predisponendo tutto pei numerosi ospiti che in quel torno visiteranno la patria di Verdi. E queste feste varranno a dimostrare una volta di più che la leggenda di freddezza tra Verdi ed i bussetani non è affatto fondata: che se non vi fu in passato eccesso di espansività ciò dipese sopratutto dal carattere chiuso del maestro, ma che in ogni caso egli non ebbe alcuna avversione per Busseto. Solo volle schivar gli onori che forse in suo pensiero gli sembravan turbare la semplicità della vita che egli amava regnasse almeno là dove il rumore mondano doveva esser ammorzato dalla austera e quieta vita campestre. GUIDO AROSIO.

La visione italica negli scrittori francesi Una lettera di Herault e di Jules Bertaut. Pochi giorni sono da queste colonne segnalavamo al pubblico una nuova e geniale pubblicazione di Jules Bertaut il quale con la solerte cura dei rac [p. 291 modifica]coglitori appassionati ha riunito tutte le pagine più notevoli scritte dagli autori francesi in lode dell’Italia o sotto l’influenza della visione italica. Questa nuovissima antologia, secondo il nostro modesto giudizio, poteva dimostrare due cose: l’amore di Jules Bertaut per la patria nostra, — amore che l’ha indotto alla difficile e complessa ricerca, — e la infrequente compenetrazione dello spirito e della vita italiana da parte dei moltissimi che hanno scritto dell’Italia pure con entusiasmo ed ammirazione. Che del resto i francesi nei loro frequenti viaggi in Italia non sempre — vorremmo dire anzi raramente -riuscissero perfetti espositori della vita e dei costumi italiani fu, or non è molto, pubblicamente confessato da un coltissimo con ferenzi;re francese di fronte al più fine e al più folto pubblico intellettuale di Rcma. L’avere noi osato ripetere quel che un francese aveva confessato, e l’avere affermato che il libro del Bertaut segnava e indicava il progresso che i nostri confratelli latini hanno compiuto in questi ultimi anni, specialmente dopo l’esempio dato da Maurice Barrés, nell’arte di riprodurre le sensazioni tratte dai viaggi in Italia, ci ha procurato due cose: una risposta dello stesso Bertaut che aveva visto nell’articolo riguardante il suo libro heureusement defini le bui pursuivi en écrivant cet ouvrage, e una ’viva ed interessante lettera polemica di Mr. Herault, che non possiamo non segnalare ai lettori, sebbene abbia l’accento di una requisitoria contro quanto avevamo modestamente esposto. Comunque il Bertaut e l’Herault si dimostrano perfettamente d’accordo nel confessare con fervore di cui dobbiamo essere loro grati, il grande amore per l’Italia. Vcus pensez, — scrive il Bertaut, — que jà ai été trop heureux de lire, d’analiser et de ferire aimer tant de belles descriptions d’un pays que après la France j’aime le plus au monde. L’Herault dal canto suo confessa d’essere un franfais qui depuis sa plus enthousiaste jeunesse aime à plein coeur l’Italie. Di fronte a questa duplice confessione non si può a meno di compiacersi di averla provocata, pur se l’una sia per esprimere un assentimento a quanto si era affermato, l’altra sia la premessa di un’ardente ed erudita confutazione. Ed è appunto questa confutazione che noi vogliamo riassumere il più largamente possibile, scusandoci presso Mr. Herault se le esigenze di spazio non ci concedono di riprodurla per intero. Queste esigenze del resto già tolsero all’articolo che ha provocato la polemica tutta una parte che avrebbe dimostrato all’Herault essere noi meno lontani, riguardo a taluna opinione, di quel che egli creda. a Se io dicessi — scrive l’Herault — che i francesi i quali hanno proceduto e seguito Barrés, hanno meglio conosciuto, e più amato la Francia che la stessa loro patria, direi qualche cosa cui non mancherebbe, a dimostrarvene una ricca documentazio

ne. Se io vi dicessi che durante tutto il secolo XIX fu di moda di viaggiare a preferenza in Italia e di serbare per questo paese tutta l’ammirazione ed il lirismo, io direi cosa non priva di certa esattezza. a Fra i nostri maestri -- continua l’Herault, che è un fervente scrittore ’cattolico — non ve n’ha quasi alcuno che non abbia espresso il suo entusiasmo per la vostra terra incantatrice; e per le vostre arti non mai celebrate abbastanza. Non erano i Rabelais e i Michelet che potevano comprendere la vita italiana. Mancano ad essi per giungere a tanto la fede e l’ideale che ha irradiato di luce tutta la bellezza italica. Lo stesso Maurice Barrés — continua l’Herault — non ne ha l’adeguata comprensione, perchè non vi sono in lui la luce e l’amore che discoprono i veri orizzonti dell’arte e del genio d’Italia. E come mai si può mostrare d’ignorare le grandi anime francesi — così numerose che si può affermare sian tutta la Francia — che hanno trasalito fino nelle intime fibre passando le Alpi? Come non ricordare l’amore passionato dei nostri grandi scrittori, quali Lacordaire, Montalambert, Lamennais, De Falloux? Se si ricorda Barbier e Bellay, come non parlare ai Ozanam, di Veouillot, di Audin, autore del Siècle, de Leon X, di Pasteur, di Brunetière, di Bourget; tutti autori che hanno parlato dell’Italia, ciascund dal suo punto di vista, ma che tutti hanno amata? E Gebhart de l’Accademie franfaise non basterebbe da solo a dimostrare l’influenza degli studi, fatti sulla terra del cattolicismo, e l’importanza che a questi studi viene riconosciuta in Francia? a Noi — conclude l’ardente rivendicatore dell’amore dei francesi per le glorie artistiche e cattoliche italiane — noi amiamo la patria vostra e il vostro cielo, le sue arti e i suoi Pontefici immortali...» Come dicevamo poc’anzi, siamo ben lieti di questa iterata dichiarazione che è così evidentemente sincera. Solamente rammentiamo all’Herault che l’articolo che attingeva appunto ispirazione e documentazione dal libro del Bertaut, hon contestava l’amore di molti scrittori francesi all’Italia, specialmente quan: do l’amore per la nostra terra s’identifica con l’amore della religione; non negava la ricchezza poetica cui si erano abbeverate le grandi anime, non poteva mettere in dubbio, se non negando assolutamente ai francesi — il che sarebbe stata una ben strana follia — l’intellettualità necessaria, il merito di essersi in-’ teressati alla terra dei Pontefici, degli imperatori e dei martiri. Non questo si voleva o si poteva affernare. Si è che molte volte gli scrittori grandi e i minori si son lasciati prendere soltanto dalle suggestioni evocatrici, ed hanno dimenticato o conosciuto male la vita, i costumi, le abitudini, le inclinazioni di nostra gente. E sovente, specie quando si è trattato di poeti, le immagini fantasiose allacciate dal filo storico delle tristi e gloriose vicende. d’Italia, hanno bastato a sciogliere la vena del lirismo di cui [p. 292 modifica]si sono appagati autori e lettori. Ciascuno ha guardato le nostre contrade, secondo il suo punto di vista, è vero, ma di questa visione o ’unilaterale o personale, quanti non si sono serviti per giudicare l’Italia? Gli scrittori più fervidamente cattolici — e di ciò fu fatto cenno alludendo a Chateaubriand — appunto per il loro sentimento ed amare la patria nostra, ma il libro del Bertaut, il quale li cita quasi tutti, può persuaderci che sono tuttavia molti e molti coloro che hanno parlato, che hanno amato magari a modo loro la patria nostra, e che tuttavia non sono stati nè esatti nè fedeli nel ritrarre e porre in rilievo, i caratteri psicologici del nostro popolo; e troppo spesso, ne convenga l’Herault il quale ci accusa di esserci lasciati trasportare da un senso di ostilità, suscitato dall’attuale momento politico, troppo spesso i francesi hanno messo un po’ di politica nel loro giudizio! E poichè — purtroppo! — gli artisti più popolari hanno spesso maggiore influenza sull’opinione pubblica che non i grandi pensatori e gli studiosi di filosofia, i Lamartine, i De Musset, gli Stendhal, concorrono più di molti altri autori più esatti o più profondi a foggiare di fronte alla grande maggioranza dei lettori francesi un’Italia magari interessante, coreografica e poeticissima, che non è tuttavia l’Italia vera. Le cose vanno mutando, sono anzi mutate, e il libro del Bertaut, come le lettere dell’Herault sono per noi, non solo una eloquente e generosa affermazione di fratellanza, ma anche una promessa di una sempre maggiore comunione intellettuale sotto gli auspici della religione dell’arte, dell’amore di patria..E di questo noi siamo i primi a gioire. TERESITA GUAZZARONI.