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IL BUON CUORE 291


coglitori appassionati ha riunito tutte le pagine più notevoli scritte dagli autori francesi in lode dell’Italia o sotto l’influenza della visione italica. Questa nuovissima antologia, secondo il nostro modesto giudizio, poteva dimostrare due cose: l’amore di Jules Bertaut per la patria nostra, — amore che l’ha indotto alla difficile e complessa ricerca, — e la infrequente compenetrazione dello spirito e della vita italiana da parte dei moltissimi che hanno scritto dell’Italia pure con entusiasmo ed ammirazione. Che del resto i francesi nei loro frequenti viaggi in Italia non sempre — vorremmo dire anzi raramente -riuscissero perfetti espositori della vita e dei costumi italiani fu, or non è molto, pubblicamente confessato da un coltissimo con ferenzi;re francese di fronte al più fine e al più folto pubblico intellettuale di Rcma. L’avere noi osato ripetere quel che un francese aveva confessato, e l’avere affermato che il libro del Bertaut segnava e indicava il progresso che i nostri confratelli latini hanno compiuto in questi ultimi anni, specialmente dopo l’esempio dato da Maurice Barrés, nell’arte di riprodurre le sensazioni tratte dai viaggi in Italia, ci ha procurato due cose: una risposta dello stesso Bertaut che aveva visto nell’articolo riguardante il suo libro heureusement defini le bui pursuivi en écrivant cet ouvrage, e una ’viva ed interessante lettera polemica di Mr. Herault, che non possiamo non segnalare ai lettori, sebbene abbia l’accento di una requisitoria contro quanto avevamo modestamente esposto. Comunque il Bertaut e l’Herault si dimostrano perfettamente d’accordo nel confessare con fervore di cui dobbiamo essere loro grati, il grande amore per l’Italia. Vcus pensez, — scrive il Bertaut, — que jà ai été trop heureux de lire, d’analiser et de ferire aimer tant de belles descriptions d’un pays que après la France j’aime le plus au monde. L’Herault dal canto suo confessa d’essere un franfais qui depuis sa plus enthousiaste jeunesse aime à plein coeur l’Italie. Di fronte a questa duplice confessione non si può a meno di compiacersi di averla provocata, pur se l’una sia per esprimere un assentimento a quanto si era affermato, l’altra sia la premessa di un’ardente ed erudita confutazione. Ed è appunto questa confutazione che noi vogliamo riassumere il più largamente possibile, scusandoci presso Mr. Herault se le esigenze di spazio non ci concedono di riprodurla per intero. Queste esigenze del resto già tolsero all’articolo che ha provocato la polemica tutta una parte che avrebbe dimostrato all’Herault essere noi meno lontani, riguardo a taluna opinione, di quel che egli creda. a Se io dicessi — scrive l’Herault — che i francesi i quali hanno proceduto e seguito Barrés, hanno meglio conosciuto, e più amato la Francia che la stessa loro patria, direi qualche cosa cui non mancherebbe, a dimostrarvene una ricca documentazio

ne. Se io vi dicessi che durante tutto il secolo XIX fu di moda di viaggiare a preferenza in Italia e di serbare per questo paese tutta l’ammirazione ed il lirismo, io direi cosa non priva di certa esattezza. a Fra i nostri maestri -- continua l’Herault, che è un fervente scrittore ’cattolico — non ve n’ha quasi alcuno che non abbia espresso il suo entusiasmo per la vostra terra incantatrice; e per le vostre arti non mai celebrate abbastanza. Non erano i Rabelais e i Michelet che potevano comprendere la vita italiana. Mancano ad essi per giungere a tanto la fede e l’ideale che ha irradiato di luce tutta la bellezza italica. Lo stesso Maurice Barrés — continua l’Herault — non ne ha l’adeguata comprensione, perchè non vi sono in lui la luce e l’amore che discoprono i veri orizzonti dell’arte e del genio d’Italia. E come mai si può mostrare d’ignorare le grandi anime francesi — così numerose che si può affermare sian tutta la Francia — che hanno trasalito fino nelle intime fibre passando le Alpi? Come non ricordare l’amore passionato dei nostri grandi scrittori, quali Lacordaire, Montalambert, Lamennais, De Falloux? Se si ricorda Barbier e Bellay, come non parlare ai Ozanam, di Veouillot, di Audin, autore del Siècle, de Leon X, di Pasteur, di Brunetière, di Bourget; tutti autori che hanno parlato dell’Italia, ciascund dal suo punto di vista, ma che tutti hanno amata? E Gebhart de l’Accademie franfaise non basterebbe da solo a dimostrare l’influenza degli studi, fatti sulla terra del cattolicismo, e l’importanza che a questi studi viene riconosciuta in Francia? a Noi — conclude l’ardente rivendicatore dell’amore dei francesi per le glorie artistiche e cattoliche italiane — noi amiamo la patria vostra e il vostro cielo, le sue arti e i suoi Pontefici immortali...» Come dicevamo poc’anzi, siamo ben lieti di questa iterata dichiarazione che è così evidentemente sincera. Solamente rammentiamo all’Herault che l’articolo che attingeva appunto ispirazione e documentazione dal libro del Bertaut, hon contestava l’amore di molti scrittori francesi all’Italia, specialmente quan: do l’amore per la nostra terra s’identifica con l’amore della religione; non negava la ricchezza poetica cui si erano abbeverate le grandi anime, non poteva mettere in dubbio, se non negando assolutamente ai francesi — il che sarebbe stata una ben strana follia — l’intellettualità necessaria, il merito di essersi in-’ teressati alla terra dei Pontefici, degli imperatori e dei martiri. Non questo si voleva o si poteva affernare. Si è che molte volte gli scrittori grandi e i minori si son lasciati prendere soltanto dalle suggestioni evocatrici, ed hanno dimenticato o conosciuto male la vita, i costumi, le abitudini, le inclinazioni di nostra gente. E sovente, specie quando si è trattato di poeti, le immagini fantasiose allacciate dal filo storico delle tristi e gloriose vicende. d’Italia, hanno bastato a sciogliere la vena del lirismo di cui