Il buon cuore - Anno XII, n. 32 - 9 agosto 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 32 - 9 agosto 1913 Religione

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UNA PAGINA DEL RINASCIMENTO

Alla Corte di Ludovico il Moro



Il volume del Malaguzzi Valeri sulla Corte di Ludovico il Moro, edito ora dall’Hoepli, ci fa sperare ancora una volta che davvero siamo ormai vicini a vedere in tutta la luce l’attività lombarda nella storia nazionale. Il movimento di studii che si produce è serio e valido: e gli editori milanesi lo sorreggono con felice e generosa audacia.

Lo notavamo anche nell’ultimo articolo, per l’arte moderna, a proposito delle pubblicazioni recenti e di quelle prossime degli Alfieri e Lacroix. Lo notiamo ancora oggi, con viva gioia, per l’arte antica.

Certo i casi dell’arte sforzesca e di quella contemporanea sono diversi: ma hanno condotto finora egualmente all’ignoranza di tutt’e due. Malignità di avversarii e concorrenze bottegaie han fatto per questa quanto per quella una frase retorica.

Voi sapete che la Toscana sola ha avuto il battesimo di «culla dell’arte»: e tutte le altre regioni per quanto siano ancora ricche di monumenti eterni, e per quanto feconda di Creazioni artistiche abbiano avuta la vita antica sono tutte casualmente dimenticate e ignorate.

E non importa se di fronte all’architettura pisana e fiorentina c’è una non meno interessante architettura lombarda: e se di fronte alle corti medicee si possono ricordare non minori magnificenze viscontee e sforzesche. Ma il Magnifico è il Magnifico, e lo Sforza un avventuriero: ma il Sant’Andrea di Vercelli è opera di architetti stranieri; ma Gaudenzio Ferrari s’è educato a Roma sotto Raffaello....

Le leggende stupide e le ignoranze colpevoli se ne vanno però via ad una ad una: e il Marangoni, per quanto sia deputato sindacalista, rivendica con acuto ed energico ragionare nazionalista la schietta italianità del bel Sant’Andrea: e tutti gli studi presenti dell’arte gaudenziana richiudono giustamente nei brevi limiti dell’arte novarese e lombarda, ogni attività del soavissimo nostro cinquecentista. E il Toesca in una superba edizione dell’Hoepli dedica un grosso volume alla pittura e alla miniatura di Lombardia, sicura e nuova dichiarazione di quanto profondamente efficace fu per il rinascimento pittorico l’attività lombarda. E il ’Malaguzzi Valeri documenta ora la magnificenza delle Corti lombarde.

Non c’è bisogno che anche i lombardi costruiscano leggende ingenuamente fantastiche come quella dei maestri comacini. Basta vedere la ricchezza dei documenti che di quest’arte rimangono, per conoscerne la importanza. Se ogni chiesa toscana ha sull’altare una tavola dipinta, ogni chiesa lombarda — sperduta fra le risaie del Novarese o sui monti e nelle valli dell’Ossola e della Sesia e della Brianza o sulle colline dei laghi — ha tutte le pareti frescate da un limpido e vivace quattrocento.

E questa è vita d’arte. Pensate ora alla Corte Ducale: Francesco Sforza ne pone i più saldi fondamenti, e i duchi che gli succedono possono liberare la loro fantasia alle raffinatezze estreme e squisite della gioia dell’arte. La Corte Ducale diviene il centro propulsore di tutta l’attività regionale: i referendarii non fanno più solo rapporti sulle difficoltà politiche o sulle necessità di riparazioni delle rocche, ma riferiscono al Duca i meriti diversi dei pittori provinciali perchè egli possa chiamare a Corte: Bramante deve centuplicare la propria attività per soddisfare la mania edilizia del Moro: Leonardo, avvicinato da tutti nella Corte Ducale, pone su una via nuova tutta la pittura lombarda. Così da Francesco Sforza a Galeazzo Maria, a Ludovico il Moro.

Il Malaguzzi Valeri studia la Corte di Lodovico il Moro: il momento, cioè, di Bramante e di Leonardo. [p. 250 modifica]E ci introduce tra magnificenze lussuose e squisite. Ma non isola il momento più grandioso del ducato sforzesco, sibbene ce lo mostra in tutta l’integrità della storia, preparato da una vita vibrante di arte amata e di feconda attività pratica. Ha tentato una sintesi di documenti grafici ed iconografici, a piena rappresentazione dei fasti di quest’antica vita, e vi è riuscito. Studioso certo il più dotto di quest’arte lombarda, e interprete libero e disinvolto che non si lascia mai sovrapporre dal cumulo enorme di schede che possiede, egli ci è davvero la miglior guida tra le bellezze di questa Corte. Anni di ricerche d’archivio non mai ostentate, anni di studii e analisi critiche hanno preparato questa opera che resterà capitale oltre che per la conoscenza della vita lombarda, per lo studio del nostro rinascimento. E l’editore ha concorso allo studioso con tutta generosità. Prima che una speculazione libraria, ha Voluto compiere un modello d’arte tipografica, e ha voluto rendere un omaggio a Milano perchè ne è ospite affezionato da più di quarant’anni. Son quasi ottocento pagine: sono mille illustrazioni e quaranta tavole fuori testo delle quali parecchie in tricromia e in eliotipia. E questo non è che il primo volume!

Guida dottissima, ma piacevole ed arguta, in questo primo volume il conte Malaguzzi Valeri ci conduce ben addentro nella vita di quello scorcio del quattrocento. Ci presenta le due figure sovrane — Lodovico il Moro e Beatrice d’Este — e ci dice tutto di loro. Perchè Lodovico era detto il Moro: e, se non anche chi ne fu la nutrice perchè gli archivi non han risposto alla domanda, il nome almeno di chi ne custodì i passi bambino: e le sue malattie: e gli studii e le passeggiate e le cacce: e le guerre e la politica. E ce ne mostra i ritratti a decine, da quadri e da affreschi, da miniatura e da medaglioni. Conosciuti i padroni di casa, si entra a visitarne gli appartamenti. Forse il Castello, quale appare dai documenti, può non somigliare in tutto quello che Milano vede ora per troppa gran parte ricostruito. Non importa: i documenti possono aiutare ad altre più vivaci fantasie. Cominciate a vedere la folla degli addetti all’amministrazione e’al servizio della Corte Ducale: cancellieri, segretari, dame di Corte, domestici, stallieri, mozzi, uomini d’arme. E a uno a uno conoscete anche tutti questi: e il nome dei loro abiti, e la provenienza delle loro stoffe, e il valore e la fabbrica delle loro armi, e la ricercatezza preziosa dei loro gioielli. Poi entrate negli appartamenti, arredati col fasto più lussuoso, che fa dimenticare d’essere in una fortezza: e le tavole intagliate, e le sedie, e i drappi, e i letti e tutti gli oggetti d’uso consueto vi si mostrano nella loro bellezza. Non v’è industria, non vi sono macchine. Ogni utensile più modesto ha dovuto uscire dal lavoro personale d’un operaio che

ha lavorato con affetto, che vi ha lasciato un segno di vita, che gli ha dato un senso d’arte. Alari da camino, ferri da cialde, lavamani, candelieri, mortai, rinfrescatoi da vino, imbuti, bronzine, culle, stipi, forzieri intagliati e dipinti, cento e cento cose che avvivano le stanze, vi passano dinanzi con le più diligenti e curiose spiegazioni, con le più ricche e copiose illustrazioni. E poi la vita di chi abita-quelle stanze: e quando gli ospiti si vestono, e quando sono alla mensa: e le loro cerimonie e le loro feste, e i loro giuochi. Danze; musici, cantori: e tornei: e buf foni: e mascherate di carnevale: e consultazioni d’astrologi... Non basterebbe che vi copiassi il sommario dei capitoli, per mostrarvi tutta la suggestione di questa vita che così pienamente rivive in queste pa• gine. Un altro capitolo parla della vita privata dei sudditi. Ancora si entra nelle loro case: ancora se ne conoscono gli arredi e i costumi. Ma non è un inventario della casa Bagatti Valsecchi che si fa questo libro e come le enumerazioni che mi sono sfuggite potrebbero far temere. C’è, sì, tutta la raccolta preziosa del nobile Bagatti Valsecchi, e ce ne sono altre: ma stanno ad ambientare una vita che davvero rivive. Son tolti da musei e son riprodotti letti e tavoli: ma in quei letti si dorme, a quei tavoli si siede. Vi son miniature, vi son disegni anonimi, vi sono sfondi di quadri che anche con una maggiore immediatezza ci introducono fra quelle passioni e fra quelle occupazioni. Lo sfondo d’un quadro del Borgognone vi mostra tutta una via d’una città lombarda con le case e la chiesa, e con la gente che vi passeggia. Da una Annunciazione del Solari conoscete una camera signorile: da una miniatura della Biblioteca torinese, una camera borghese: da una pittura della Pinacoteca di Brera sapete invece com’era la camera povera. Altre miniature e altri quadri vi mostrano il Tribunale e le torture e la forca: e i giuochi dei saltimbanchi, e i giuochi dei ragazzi: e il mercato dei commestibili: e la visita d’un medico: e le corse degli asini e quelle dei cavalli: e i ragazzi che si gettano le palle di neve! Altri inventarii, faccio dunque: ma non più d’oggetti: sono di momenti di quella vita, rappresentata nella copia più ricca delle sue più intime espressioni. Anche, questi momenti di vita si integrano poi in ben più larghe considerazioni: non solo degli alberghi, e delle cucine, e della posta, e delle feste, e dei mestieri si occupa il volume, ma dell’altezza della coltura intellettuale, della forza del senso morale, del valore della giustizia e della osservanza delle leggi, della larghezza della beneficenza pubblica e dell’intensità delle industrie e dei commerci e dell’agricoltura. Si finisce la lettura di questo libro con una conoscenza di quel quattrocento che forse supera quello che abbiamo della vita di oggi. Ma ancora c’è un capitolo. Si esce di città, per andare nei castelli di campagna: non quelli costruiti per sole necessità militari, ma quelli che furono abituali residenze ducali al tempo delle cacce. Sono i [p. 251 modifica]castelli di Pavia, di Abbiategrasso, di Vigevano, di Galliate, di Cusago, di Binascp, di Pandino, di Bereguardo, di Lardirago; e son anche altri minori. Anche questi per documenti nuovi d’archivio e per riproduzioni ricchissime di fotografie, ’conosciamo ad uno ad uno: nella loro bellezza architettonica e nella freschezza dei giardini: nella gioia delle feste di maggio, nella spensieratezza gioconda della vita di corte, nella passione delle cacce agitate. E questo primo volume, dice il Malaguzzi Valeri, non è che la cornice del secondo: è la rappresentazione di quella vita privata e pubblica per la -quale e nella quale si svolse l’arte sovrana di Leonardo e di Bramante. Il secondo volume parlerà appunto dell’arte lombarda ai tempi di Lodovico il Moro, e sappiamo che nei capitoli sull’architettura militare, su Leonardo e su Bramante specialmente vi saranno per tutti gli studiosi delle sorprese e delle novità interessantissime. Né certo l’Hoepli darà minor cura a questo secondo volume che uscirà forse a fin d’anno, e che compirà l’opera più importante di consultazione piacevole e sicura sull’antica arte e sull’antica vita lombarda. Raffaello Giolli.

Letteratura coloniale I migiurtini - Una civiltà bambina - Strani casi Canti di guerra - L’opera dell’Italia

La Somalia del nord entrò nella politica espansionista italiana nell’anno 1889. Essa era allora indipendente e governata da due sultani, quello dei migiurtini, Osman Mahmud, residente ad Alula, e quello di Obbia, Jusut Alì. Con i trattati conclusi ad Alula e ad Obbia, fra il console italiano Filonardi e i due sovrani indigeni, tutto il territorio passò sotto la protezione nostra; ma per un lungo tempo regnò sul nuovo acqiiisto coloniale l’indifferenza più grande, dovuta certo all’influsso delle cattive notizie eritree ed ai rovesci militari del 1896. L’attenzione del pubblico si ridestò soltanto quando le gesta del famoso sayed (sedicente discendente del Profeta) Mohamed ben Abdullah, cui gli inglesi derisero col nomignolo di Mulla o Mad-Mulla (prete o prete-pazzo), fecero trepidare ancora una vola l’Europa e specialmente la Gran. Bretagna, memori della campagna del Mahdì nel Sudan e del supplizio di Gordon Pascià. E il sedicente Profeta dette molto filo da torcere all’Inghilterra, fino a che, per l’intromissione dell’Italia, non venne conclusa dal nostro regio console Pestalozza la pace di Illig del 5 marzo 1905. Come al solito, fummo noi che pagammo il nemico

comune; e il facinoroso ribelle venne elevato da noi alla dignità di Sultano di un territorio detto del Nogal, che venne costituito politicamente, senza riguardo ai confinanti sultanati somali, con le regioni meridionali del regno di Osman Mahmud e quelle settentrionali di Iusut Ali. Una simile procedura avrebbe potuto inficiare gravemente il nostro prestigio sulla costa dell’Oceano; ma la sorte ci protesse dalle recriminazioni che avrebbero, con giusta valutazione dei fatti, potuto elevare contro di noi i defraudati sultani. Dal 5 marzo 1905 dunque la Somalia del nord è restata divisa in tre sultanati. Nel migiurtinie ad Obbia il nostro ascendente politico e la nostra azione civilizzatrice si sono potuti, se non rapidamente, gradualmente svolgere; nel Nogàl, invece il mal volere di Mohammed ben Abdullah ha frustrato ogni nostra iniziata attività. Il ribelle di una volta si è insediato sul trono da noi offertogli, ma non ha mai inteso far ossequio ai doveri che gli derivano dalla nostra protezione. Il sultanato dei migiurtini si estende lungo la costa meridionale del golfo di Aden, dal villaggio di Bender Ziada, posto al confine della Somalia inglese, fino al capo Guardafui, e lungo l’Oceano indiano, dal capo Guardafui a Ras Beduin. Il paese non è oggi certamente ricco; poveri villaggi ne costituiscono i centri abitati di maggior importanza, e la capitale Alula è decaduta da quando le famiglie più trafficanti si sono trasferite a Bender Caffim, cittadina di 2000 persone, con 12 moschee, 75 case in muratura, otto Varese (piccoli castelli merlati) e 600 capanne, che somigliano a quelle dei butteri della campagna romana e ai cosa detti procoi. Il Sultano Osman Mahmud risiedeva a Bender, ma si è portato da qualche tempo a Bargal, ove sono tutte le sue mogli, i suoi beni prticolari e i suoi figli. Altri centri di una certa importanza sono Hafun e Bender Bela. Il primo di questi due possiede una magnifica rada, che potrebbe diventare, con un porto moderno, lo sbocco sull’Oceano indiano della ferrovia del sud-Etiopia, proseguimento della Gibuti-Harrar riallacciata alla valle del Nilo. La costa del sultanato dei migiurtini è prevalentemente rocciosa; un ciglione, che si eleva ad una certa altezza verso il capo Guardafui, lo segue fino a Ras Ali Bash-Kil. Da Ras Alì verso il sud la spiaggia è sabbiosa e solo dopo Hafun ricompare il ciglione roccioso- per una altezza di circa 70 metri. Sull’interno del paese si hanno scarse notizie. Si ritiene che l’acqua vi scarseggi alla superficie, ma che non manchino corsi sotterranei. La popolazione vi esercita la pastorizia, ed infatti, durante la stagione delle pioggie, molte mandrie convengono alla costa. Il potere regale vi è rappresentato dai piccoli presidi di ascari disposti ai pozzi e alle tappe delle carovefiere. Il valore del traffico dell’intero sultanato ascende a circa 4 milioni di lire nostre, e consiste nella esportazione di incenso, gomma, pelli, resine, carne e pinne di pesce disseccate, penne di struzzo, mirra, stuoie [p. 252 modifica]Pagina:Il buon cuore - Anno XII, n. 32 - 9 agosto 1913.pdf/4 [p. 253 modifica]capi-paese col Sultano e con le nostre autorità, presente il regio console di Aden, commissario per la Somalia settentrionale, la situazione politica è molto migliorata. Questo miglioramento è dimostrato da vari fatti, primo fra i quali quello del riconoscimento nel nostro commissario del diritto di rendere giustizia nelle controversie amministrative tra fachide, cabile, villaggio e viallaggio, notabili e Sultane"). La visita fatta a bordo del regio sambuco armato a Daino» dal Sultano. Osman Mahmud, che.si era promesso di non porre mai piede su tolda di nave italiana, ha portato, come conseguenza pacifica, la ricognizione del tenente di vascello Maccaroni verso l’interno del paese. Questa ricognizione ha confermato le buone intenzioni che si diceva avessero a nostro riguardo le popolazioni nomadi, dedite alla coltura saltuaria dei campi e all’allevamento del bestiame. Infine il ricevimento solenne e la fantasia, che hanno avuto luogo a BargaF, per ordine del Sultano, in occasione della visita fattavi dal governatore De Martino nel suo viaggio di ritorno in patria, ha suggellato l’occupazione, per così dire morale del territorio, cui dovrà seguire la penetrazione economica. Non sarà opera di anni, ma di qualche decennio, quella che l’Italia dovrà compiere per condurre nell’ambito del viver civile il Sultanato, che sarà bene far scomparire come protettorato per dar luogo ad una vera e propria colonia, nella quale tutte le funzioni politiche, amministrative e giudiziarie saranno sotto l’immediata vigilanza delle nostre autorità. Il primo passo da compiere è pertanto quello che riguarda l’invio di residenti italiani nei centri più popolosi, residenti che dovranno anche avere un presidio di ascari ed essere insediati nella forma più solenne. T. M. VARINI.