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250 IL BUON CUORE


E ci introduce tra magnificenze lussuose e squisite. Ma non isola il momento più grandioso del ducato sforzesco, sibbene ce lo mostra in tutta l’integrità della storia, preparato da una vita vibrante di arte amata e di feconda attività pratica. Ha tentato una sintesi di documenti grafici ed iconografici, a piena rappresentazione dei fasti di quest’antica vita, e vi è riuscito. Studioso certo il più dotto di quest’arte lombarda, e interprete libero e disinvolto che non si lascia mai sovrapporre dal cumulo enorme di schede che possiede, egli ci è davvero la miglior guida tra le bellezze di questa Corte. Anni di ricerche d’archivio non mai ostentate, anni di studii e analisi critiche hanno preparato questa opera che resterà capitale oltre che per la conoscenza della vita lombarda, per lo studio del nostro rinascimento. E l’editore ha concorso allo studioso con tutta generosità. Prima che una speculazione libraria, ha Voluto compiere un modello d’arte tipografica, e ha voluto rendere un omaggio a Milano perchè ne è ospite affezionato da più di quarant’anni. Son quasi ottocento pagine: sono mille illustrazioni e quaranta tavole fuori testo delle quali parecchie in tricromia e in eliotipia. E questo non è che il primo volume!

Guida dottissima, ma piacevole ed arguta, in questo primo volume il conte Malaguzzi Valeri ci conduce ben addentro nella vita di quello scorcio del quattrocento. Ci presenta le due figure sovrane — Lodovico il Moro e Beatrice d’Este — e ci dice tutto di loro. Perchè Lodovico era detto il Moro: e, se non anche chi ne fu la nutrice perchè gli archivi non han risposto alla domanda, il nome almeno di chi ne custodì i passi bambino: e le sue malattie: e gli studii e le passeggiate e le cacce: e le guerre e la politica. E ce ne mostra i ritratti a decine, da quadri e da affreschi, da miniatura e da medaglioni. Conosciuti i padroni di casa, si entra a visitarne gli appartamenti. Forse il Castello, quale appare dai documenti, può non somigliare in tutto quello che Milano vede ora per troppa gran parte ricostruito. Non importa: i documenti possono aiutare ad altre più vivaci fantasie. Cominciate a vedere la folla degli addetti all’amministrazione e’al servizio della Corte Ducale: cancellieri, segretari, dame di Corte, domestici, stallieri, mozzi, uomini d’arme. E a uno a uno conoscete anche tutti questi: e il nome dei loro abiti, e la provenienza delle loro stoffe, e il valore e la fabbrica delle loro armi, e la ricercatezza preziosa dei loro gioielli. Poi entrate negli appartamenti, arredati col fasto più lussuoso, che fa dimenticare d’essere in una fortezza: e le tavole intagliate, e le sedie, e i drappi, e i letti e tutti gli oggetti d’uso consueto vi si mostrano nella loro bellezza. Non v’è industria, non vi sono macchine. Ogni utensile più modesto ha dovuto uscire dal lavoro personale d’un operaio che

ha lavorato con affetto, che vi ha lasciato un segno di vita, che gli ha dato un senso d’arte. Alari da camino, ferri da cialde, lavamani, candelieri, mortai, rinfrescatoi da vino, imbuti, bronzine, culle, stipi, forzieri intagliati e dipinti, cento e cento cose che avvivano le stanze, vi passano dinanzi con le più diligenti e curiose spiegazioni, con le più ricche e copiose illustrazioni. E poi la vita di chi abita-quelle stanze: e quando gli ospiti si vestono, e quando sono alla mensa: e le loro cerimonie e le loro feste, e i loro giuochi. Danze; musici, cantori: e tornei: e buf foni: e mascherate di carnevale: e consultazioni d’astrologi... Non basterebbe che vi copiassi il sommario dei capitoli, per mostrarvi tutta la suggestione di questa vita che così pienamente rivive in queste pa• gine. Un altro capitolo parla della vita privata dei sudditi. Ancora si entra nelle loro case: ancora se ne conoscono gli arredi e i costumi. Ma non è un inventario della casa Bagatti Valsecchi che si fa questo libro e come le enumerazioni che mi sono sfuggite potrebbero far temere. C’è, sì, tutta la raccolta preziosa del nobile Bagatti Valsecchi, e ce ne sono altre: ma stanno ad ambientare una vita che davvero rivive. Son tolti da musei e son riprodotti letti e tavoli: ma in quei letti si dorme, a quei tavoli si siede. Vi son miniature, vi son disegni anonimi, vi sono sfondi di quadri che anche con una maggiore immediatezza ci introducono fra quelle passioni e fra quelle occupazioni. Lo sfondo d’un quadro del Borgognone vi mostra tutta una via d’una città lombarda con le case e la chiesa, e con la gente che vi passeggia. Da una Annunciazione del Solari conoscete una camera signorile: da una miniatura della Biblioteca torinese, una camera borghese: da una pittura della Pinacoteca di Brera sapete invece com’era la camera povera. Altre miniature e altri quadri vi mostrano il Tribunale e le torture e la forca: e i giuochi dei saltimbanchi, e i giuochi dei ragazzi: e il mercato dei commestibili: e la visita d’un medico: e le corse degli asini e quelle dei cavalli: e i ragazzi che si gettano le palle di neve! Altri inventarii, faccio dunque: ma non più d’oggetti: sono di momenti di quella vita, rappresentata nella copia più ricca delle sue più intime espressioni. Anche, questi momenti di vita si integrano poi in ben più larghe considerazioni: non solo degli alberghi, e delle cucine, e della posta, e delle feste, e dei mestieri si occupa il volume, ma dell’altezza della coltura intellettuale, della forza del senso morale, del valore della giustizia e della osservanza delle leggi, della larghezza della beneficenza pubblica e dell’intensità delle industrie e dei commerci e dell’agricoltura. Si finisce la lettura di questo libro con una conoscenza di quel quattrocento che forse supera quello che abbiamo della vita di oggi. Ma ancora c’è un capitolo. Si esce di città, per andare nei castelli di campagna: non quelli costruiti per sole necessità militari, ma quelli che furono abituali residenze ducali al tempo delle cacce. Sono i