Il buon cuore - Anno XII, n. 31 - 2 agosto 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 10 marzo 2022 50% Da definire

Il buon cuore - Anno XII, n. 31 - 2 agosto 1913 Religione

[p. 241 modifica]Educazione ed Istruzione


La sorgente degli uomini savi

(Selma Lagerlöf)



Arcigna e cogli occhi in fossati, la siccità andava errando nell’antico paese di Giuda, fra l’erba ingiallita e i cardi accartocciati. Era d’estate. Il sole ardeva sul dorso dei monti, nè si scorgeva la menoma ombra; un lievissimo zefiro sollevava dal terreno biancastro dense nubi di polvere calcinosa. Nella valle, schierata intorno ai ruscelli disseccati stava la greggia.

La siccità esaminava le provvigioni d’acqua. Giunta agli stagni di Salomone vide, sospirando, racchiusa fra le rive dirupate, una certa quantità di acqua. Essa scese poscia alla rinomata sorgente di David, presso Betlemme ed ivi pure trovò dell’acqua. Quindi si strascicò sulla strada maestra che da Betlemme conduce a Gerusalemme. A mezza via scorse, rasente il margine, la sorgente degli Uomini savi e s’avvide subito che era vicina ad estinguersi. La siccità sedette sull’orlo della sorgente, consistente in una grossa pietra incavata e guardò giù. Il limpido specchio di acqua - che in passato appariva alla superficie era calato notevolmente; il fango e la melma del fondo lo rendevano impuro è torbo.

Quando la sorgente vide delinearsi nel suo specchio il viso abbronzato della siccità emise un gemito angoscioso.

«Vorrei sapere quando morrai», disse la siccità. «nel terreno non puoi trovare vena alcuna che possa vivificarti.

«Di pioggia, lode a Dio, non se ne parla da due, tre mesi».

«Puoi star tranquilla», mormorò la sorgente. Nessuno può aiutarmi. «Occorrerebbe, per lo meno, una fonte dal Paradiso».

«Non voglio lasciarti fino a che tu non sia del tutto estinta», disse la siccità.

Si accorse che la vecchia sorgente era agli estremi volle avere la gioia di vederla morire goccia a goccia.

Tutta lieta si assise presso a lei e godette nel sentirla sospirare. Provò eziandio diletto nel veder giungere viandanti assetati, nel vederli calar la secchia ritrarla con poche goccie d’acqua melmosa.

Passò l’intero giorno: sull’imbrunire la siccità guardò ancora nel fondo della sorgente e vi scorse un altro po’ di acqua.

«Rimango qui tutta la notte», gridò, e aggiunse: «Spicciati. Quando vi sarà luce bastante perchè io possa vederti, sarai certamente finita».

Detto ciò la siccità si rannicchiò presso la fonte, mentre la notte, più paurosa e più tormentosa del giorno, calava sulla terra di Giuda.

Cani e sciacalli mugolavano ininterrottamente, vacche e asini assetati rispondevano loro dalle stalle infuocate. Il venticello che alitava a quando a quando non recava frescura alcuna, era caldo e affannoso come l’alito ansante di un mostro dormente.

Ma le stelle brillavano di splendore propizio e un piccolo, scintillante quarto di luna, diffondeva una bella luce verde-azzurra sulle colline grigie. A quel chiarore la siccità korse una carovana che scendeva dal colle, ai cui piedi giaceva la sorgente degli Uomini savî.

Stando seduta essa osservò quella lunga spedizione e si rallegrò nuovamente pensando che tutti costoro, attratti alla sorgente per estinguere la sete, non potevano trovare nemmeno una goccia d’acqua.

Erano così numerosi fra bestie e condottieri che avrebbero vuotato la fonte ancorchè fosse stata colma. [p. 242 modifica]Parve alla siccità che qualcosa di strano e di fantastico avvolgesse la carovana notturna. Su di una collina, che sembrava sporgere dall’orizzonte, apparivano primi i cammelli; si sarebbe detto che scendevano dal cielo. Al chiaror della luna parevano più grandi dei cammelli comuni e portavano colla massima facilità i pesi giganteschi di cui erano gravati. Ma diversi dai cammelli reali non erano, la siccità li vedeva nettamente. Essa rilevò altresì che i tre primi quadrupedi erano dromedari dalla pelle grigia e splendente, che avevano ricchi freni, che erano bardati con gualdrappe adorne di frangie e che portavano sul dorso belli e ragguardevoli cavalieri. L’intera carovana si fermò alla sorgente: con triplice e ben distinto movimento i tre dromedari si piegarono al suolo e i loro cavalieri scesero a terra. Il gruppo dei cammelli sostò: avvicinandosi l’un l’altro essi formarono un immensa e meravigliosa mescolanza di colli prominenti, di gibbosità e di innumerevoli bagagli. I tre cavalieri, scesi dai dromedari, andarono incontro alla siccità e la salutarono portando la mano alla fronte e sul petto. Indossavano bianche vesti splendenti e avevano sul capo enormi turbanti, alla cui sommità era infissa una stella che brillava come se fosse stata presa proprio allora dal cielo. Noi veniamo da una terra lontana», disse uno degli stranieri e ti preghiamo a volerci dire se questa è veramente la sorgente degli Uomini savi». Oggi si chiama così, rispose la siccità, ma domani non rimarrà qui più traccia di essa, perchè questa notte morrà». Ciò è evidente dal momento che tu sei qui», ribattè il cavaliere. a Non è forse questa una delle sorgenti sacre e inestinguibili? Donde prende dunque il suo nome?» So che è sacra», disse la siccità, a ma che giova? I tre savi sono in Paradiso». I tre viandanti si guardarono l’un l’altro. u Conosci tu bene la storia della vecchia fonte?» chiesero uniti. Io conosco la storia delle sorgenti, dei fiumi, dei ruscelli e delle fonti tutte», disse altezzosamente la siccità. az Fa dunque il piacere di raccontarcela» pregarono gli stranieri. Sedettero attorno alla vecchia nemica di tutto quel che germoglia e cresce e ascoltarono. La siccità si raschiò la gola, si addossò all’orlo della sorgente, come un novelliere sul seggio, poscia cominciò: a In Gabes, città della Media che giace sull’orlo del deserto, mio preferito rifugio nel passato, vivevano anni or sono tre uomini rinomati per la loro sapienza. Erano poverissimi, cosa questa inusitata’ perchè in Gabes la sapienza è tenuta in grande onore e lautamente ricompensata. Ma quei tre andavano avanti

a stento; l’un d’essi era vecchio oltre misura, il secondo affetto dalla lebbra, Pultimo.era un moro colle labbra enfiate. Gli uomini ritenevano il primo troppo vecchio perchè potesse insegnar loro qualcosa, evitavano il secondo per tema del contagio e non volevano dar ascolto al terzo, perchè supponevano che dall’Etiopia non fosse ancor uscita sapienza alcuna. Nella comune infelicità i tre savi si affratellarono. Durante il giorno chiedevano l’elemosina alla porta dello stesso tempio, la notte dormivano sotto lo stesso tetto. Così facendo abbreviavano, per lo meno, il tempo: riuniti ripensavano e discutevano su tutto quello che scorgevano di straordinario in uomini e cose. Una notte, mentre l’un presso l’altro dormivano al riparo di una tettoia rivestita da rossi papaveri soporiferi, il più vecchio dei tre si• destò, e appena ebbe gettato uno sguardo all’intorno, destò i compagni. Sia benedetta la- miseria che ci costringe a dormire all’aperto» disse loro. a Destatevi e sollevate lo sguardo al cielo». a Ebbene» aggiunse la siccità con voce raddolcita, a era una notte indimenticabile per chi l’ha veduta». L’orizzonte appariva così chiaro che il cielo, generalmente simile ad una solida volta, sembrava profondo e trasparente, pieno di onde come il mare. La luce fluttuava dall’alto al basso e le stelle sembravano scintillare a diverse altezze, alcune in mezzo, altre alla superficie delle onde luminose. I tre uomini videro poscia apparire nel cielo, a grande distanza, una piccola oscurità. Quell’oscurità attraversò lo spazio come una palla e si avvicinò e nell’avvicinarsi cominciò a schiudersi come le rose possa Dio farle appassir tutte — quando sbocciano. Ingrandiva sempre più, il velo cupo dileguava a poco a poco, e la luce raggiava intorno ad esso in quattro,petali. Discese fino a raggiungere la stella più vicina, indi si ferm(’). Gli estremi lembi oscuri si ripiegarono, e, foglia a foglia si spiegò bella e rosea la luce, finchè brillò simile a stella fra le stelle. Quando i tre poveri uomini videro questo compresero, in virtù della loro stessa sapienza, che in quell’ora era nato sulla terra un Re possente, la di cui grandezza doveva soverchiare quella di Ciro e di Alessandro. E dissero fra loro: a Andiamo dai genitori del neonato e diciamo loro quello che abbiamo veduto. Probabilmente ci compenseranno con una borsa, di monete o con un braccialetto d’oro». Afferrati i bastoni da pellegrini si posero in cammino. Attraversarono la città, uscirono dalla porta e rimasero un istante perplessi: immenso innanzi a loro si stendeva il deserto, tanto abborrito dagli uomini. Videro che la stella pur mo’ nata gettava una sottile striscia di luce sulla sabbia del deserto, ed essi procedettero pieni di fiducia guidati da lei. Per tutta la notte camminarono sull’ampio campo sabbioso, parlando, nel loro andare, del re neonato [p. 243 modifica]che avrebbero trovato entro una culla d’oro a trastullarsi con pietre preziose. Accorciarono le ore della notte dicendo fra loro che, quando si sarebbero trovati alla presenza della regina madre e del re padre avrebbero detto che il cielo prometteva al loro figlio forza e potenza, bellezza, felicità e ventura maggiori che a Salomone. S’insuperbirono di essere stati prescelti da Dio a vedere la stella. Dicevano che i genitori del-neonato non potevano compensarli con meno di venti borse d’oro, probabilmente ne avrebbero ricevuto tanto da non dover più sentire i tormenti della miseria. Stavo nel deserto come un leone in agguato», séguitò la siccità, «pronta a precipitarmi su quei viandanti con tutti i tormenti della sete; ma. essi si sottrassero a me, la stella li guidò per tutta la notte, e al mattino, quando cielo s’illuminò e le altre stelle impallidirono, quella.rimase a brillare costantemente sul deserto, fino a che non ebbe condotto i tre viaggiatori in un oasi ove zampillava una sorgente e vi erano palme cariche di datteri. Colà essi rimasero l’intera giornata, e quando, scesa la notte, videro il raggio della stella lambire la sabbia del deserto si rimisero in cammino». Era un bel pellegrinaggio diverso da quello che sogliono fare comunemente gli uomini» soggiunse la siccità. «La stella guidava i tre passeggeri in modo da non far loro soffrire nè fame nè sete. Faceva veder loro gli scardiccioni pungenti, li teneva lontani dai vortici di sabbia, li sottraeva al penetrante calore del sole e agli ardenti temporali del deserto. I tre savi dicevano costantemente l’uno all’altro: «Dio protegge e benedice i suoi messi». Ma a poco a poco mi impadronii di loro», seguitò a narrare la siccità, «e, in breve numero di giorni, i cuori dei tre pellegrini erano divenuti altrettanti deserti, aridi come quello che attraversavano. Sterile orgoglio e inestinguibile cupidigia li dominava. a Noi siamo messi divini», ripetevano i tre savi, il padre del re neonato non ci ricompenserà soverchiamente donandoci una carovana carica d’oro». La stella finalmente li condusse alle rive memorande del Giordano, poscia sulle colline del paese di Giuda. Si fermò quindi sulla piccola città di Betlemme che riluce tra verdi olivi. I tre savi videro castelli, fortilizii, mura e tuttociò che fa parte di una residenza reale, ma non riuscirono a distinguer nettamente nulla. Per ’mala. sorte la stella non li condusse entro la città, ma sostò presso una grotta. La luce penetrando lene attraverso l’apertura fece scorgere ai tre viandanti un bambinello che giaceva addormentato in grembo a sua madre. E benchè i tre savii vedessero che la luce formava un’aureola intorno al capo del neonato, rimasero fuor della grotta. Non andarono dinanzi al piccino a profetizzargli fama e potere reale, ma, volte le spalle,

senza dar menomo segno della loro presenza, si allontanarono risalendo la collina. Siamo forse venuti a cercare gente umile e povera al par di noi?» dissero fra loro. «Ci ha forse Iddio condotti qui a celiare e predire onori al figlio di un pastore? A che altro’ mai potrà giungere questo bimbo se non proteggere il gregge in questa valle?» La siccità tacque e fece ai suoi uditori un cenno di assentimento col capo. Parve volesse dire: a Non parlo bene? C’è qualcosa di più arido della sabbia del deserto; ma nulla è tanto sterile quanto il cuore umano». Dopo breve cammino i tre savii si accorsero di essersi smarriti per non aver seguito la via indicata dalla stella», seguitò a dire la siccità, a alzarono gli occhi al cielo per ritrovar con la stella la retta strada. Ma la stella che dalla terra d’Ordine li aveva se, guai’ fino allora era scomparsa». I tre stranieri s’inchinarono sollecitamente, i loro volti esprimevano profondo dolore. a Quel che avvenne», riprese a dire l’oratrice, a è, secondo il modo di giudicare degli uomini, è alquanto comico. Sta il fatto che appena i tre viandanti non videro più la stella compresero di aver peccato contro Dio. Accadde loro», seguitò a dire rabbrividendo la siccità, «duello che avviene al terreno nell’autunno quando comincia la stagione delle pioggie. Essi tremavano dallo spavento come la terra dinanzi al baleno e al tuono, la loro coscienza si ridestava e l’uunità germogliava come erba verde nei loro cuori. Per tre giorni e per tre notti andarono in cerca del fanciullo che. dovevano adorare. Ma la stella non apparve ed essi si smarrirono vieppiù, con grave amarezza e grande sconforto. Nella terza notte giunsero a questa sorgente per dissetarsi. Iddio frattanto aveva perdonato loro si chè quando si chinarono sull’acqua videro riflessa nel fondo la stella che li aveva guidati dal paese d’Oriente. Al tempo stesso la videro brillare nella volta celeste, essa li guidò nuovamente alla grotta di Betlemme. Prostrati dinanzi al fanciullo i tre savi dissero: Noi ti portiamo coppe d’oro ripiene di profumi di aromi preziosi. Tu diverrai il più possente di tutti i re che vissero e che vivranno dalla creazione alla fine del mondo». Il fanciullo posò la mano sulle loro teste curvate largendo loro un dono assai più grande di quelli che avrebbero potuto ricevere da im re. Perchè il vecchio mendicante ringiovanì, il lebbroso risanò e il moro si trasformò in un uomo bianco e bello. Si dice eziandio che avevano acquistato grande maestà tantochè, partiti di lì furono eletti re in tre domini diversi». La siccità tacque e i tre stranieri l’encomiarono. Hai narrato bene» le dissero. -a Rimaniamo sol-. tanto meravigliati che i tre savi non abbiano fatto nulla per la sorgente che fece veder loro la stella. Come possono aver dimenticato sì gran benefizio?» [p. 244 modifica]«Non deve forse questa sorgente vivere in perpetuo», aggiunse il secondo forestiere, «per ricordare agli uomini che la felicità che scompare dalle vette dell’orgoglio si ritrova nei recessi dell’umiltà?» «Son dunque i trapassi peggiori dei viventi?» disse il terzo. Si estingue forse la gratitudine in coloro che vivono in Paradiso?» Mentre così parlavano la siccità si drizzò rapidamente. Aveva riconosciuto gli stranieri, aveva ravvisato i pellegrini. Fuggì come un indemoniata per non vedere i tre uomini che, chiamati i loro servi e i loro cammelli carichi di recipienti, contenenti acqua attinta in Paradiso, colmarono con essa la povera sorgente moribonda. Samarita.