Il buon cuore - Anno XII, n. 30 - 26 luglio 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 30 - 26 luglio 1913 Religione

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LUIGI VEUILLOT


nelle pagine di E. Tavernier


Continuazione del numero precedente.



Non è possibile riassumere la parte dedicata dal Tavernier alla rassegna degli scritti polemici del Veuillot che pubblicati formano una collezione di ben ventidue volumi, a Melanges» sebbene la rassegna, come dicemmo, sia rapida e fatta quasi esclusivamente per dar risalto ai pregi stilistici e ai motivi psicologici che spinsero il polemista a combattere questa o quest’altra causa, a fronteggiare la folla varia dei nemici ch’egli si trovò sul cammino verso il raggiungimento del suo ideale. Il quale raggia su tutta la vasta operosità sua e fonde in una salda unità tutti i diversi e talvolta contradittori atteggiamenti dell’agitatore formidabile di coscienze, e fu di imporre ad una società scettica, satura di spirito volteriano, il rispetto della fede cattolica, di rivendicare alla fede romana il diritto negato dalla Rivoluzione di prender parte autorevole nei nuovi assetti civili che sulle rovine del passato andavano allora determinandosi in Francia e pressochè in tutta Europa e consolidandosi. E poichè un tale ideale si assomma nella rivendicazione della libertà della coscienza religiosa o della Chiesa, che è poi lo stesso, è esatto dire che il Veuillot volle essere e fu costantemente, per quarant’anni, un paladino della libertà vera di fronte a tutte le tirannie laiche, della libertà d’insegnamento, dell’esercizio del culto, delle varie manifestazioni del sentimento religioso. A parte le fallanze umane, gli rimane il merito indiscusso, di avere allora compreso che per raggiungere un tale ideale nei tempi moderni, la miglior arma è quella della stampa quotidiana, e d’averla fatta sua questa arma in tempi nei quali il giornalismo religioso non era ancor nato e contro il quale si scagliarono tosto con veemenza i liberi pensatori, i conservatori liberali, i quali si mostravano disposti a concedere favori alla Chiesa, a patto che mostrasse di non domandarne, nè in nome dell’equità e tanto meno in nome della giustizia e perfino gli stessi cattolici, i quali davano a vedere di preferire la schiavitù religiosa, la guerra blasfema e pertinace, anzichè affidare la causa della libertà e della diffusione del vero ad un foglio, che non sdegnava la piccola e partigiana contesa. Luigi Veuillot alla guerra dei liberi pensatori rispondeva scagliando loro in faccia la sua prosa rovente e motteggiatrice, poco, anzi nulla curandosi se feriva orgogliose divinità popolari; ai conservatori liberali rispondeva domandando per la «grande Madre» non la elemosina ma la parte spettantele di diritto, ai cattolici offrendo lo spettacolo delle conquiste ch’egli otteneva, dell’opinione pubblica prima scettica in fatto di religione poi a poco a poco costretta a sentire e a dover parlare di essa, e l’esempio delle sue virtù personali, che duravano nell’aspra battaglia in mezzo a tante contradizioni.


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Degno di essere riletto è uno spunto di articolo nel quale egli risponde ad un ecclesiastico che aveva voluto dimostrare essere il giornale cattolico un pericolo alla integrità delle dottrine di fede. «Nel secondo anno del regno di Dario, il profeta Zaccaria, avendo levato gli occhi, vide un «volume volante», lungo venti braccia ’e largo dieci, e seppe dall’angelo che quel volume era la maledizione che si sarebbe sparsa su tutta la terra, perchè ogni uomo di rapina e di menzogna sarebbe giudicato secondo quanto era scritto in quel volume... Io ho sempre in testa il volume volante, il buon pensiero munito di unghie e [p. 234 modifica]di ali che segue la menzogna nell’aria, che lo raggiunge, lo combatte, lo ferisce e qualche volta l’uccide anche, che in ogni caso gl’impedisce di regnare senza inquietudine, di prendere piede, di far notte oscura dove si stabilisce... Prima che il degnissimb teologo abbia aperto il suo Witasse e il suo Billuart, l’altro avrà già trionfato in tutti i salotti di lettura. Quando Witasse e Billuart arriveranno, se pur arriveranno, l’altro si prenderà burla di loro. Come se fosse possibile sperare che la gran massa del pubblico debba leggere delle dotte dissertazioni ben piistillate e lardellate di sentenze latine!... Perchè la verità, destinata a sostenere una guerra perpetua, non avrà la sua squadriglia di cavalleggeri, i suoi soldati usi alla scaramuccia e sempre pronti a mettersi in marcia? Ecco l’opera dei laici; essi sono capaci di ciò; dirò di più, essi sono più capaci di tutti gli altri». Egli recò nello svolgimento del suo nobile ministero con l’amore figliale, tenerissimo alla Chiesa un amore entusiasta per il suo paese. Egli può aver errato; cercando l’ottimo può aver impedito che i cattolici ottenessero un bene parziale, ma la sua lotta poggiò alto, alla brama ardente cioè’ di ritornare la sua grande nazione alle migliori e gloriose tradizioni. Come egli sentisse vivo il culto della patria basterebbero a dimostrarlo gli articoli scritti nei trepidi giorni dell’assedio di Parigi, quando il cannone prus: siano rimbombava cupamente per entro le mura della città umiliata. L’impeto lirico tocca il sublime. Seppe altresì imporre e conciliar rispettivamente timore e stima alla sua battaglia mediante *una padronanza di stile da gran signore. Esuberante e pur contegnoso nell’entusiasmo, mistico e leggermente romantico senza svenevolezze nel toccare dei sentimenti, terribile nella ironia senza grossolanità boccaccesca, inesorabile nel demolire e generoso nel vincere, il suo stile piega la lingua francese a tutte le più tenui sfumature del pensiero. Fecondo giornalista non lo fu meno come libellista. Nella a brochure» il polemista ha un più ampio e più tranquillo respiro, mette in mostra maggior cultura e sa a tempo lasciar la dialettica per riposare in una descrizione colorita e seducente. Luigi Veuillot tentò il romanzo, la novella e perfino la poesia e se non tutto è degno della sua fama di giornalista, qualche cosa lo è sicuramente.

La figura del Veuillot prende il suo risalto quasi drammatico dalle fiere dispute alle quali si abbandonò con la foga esuberante che gli era istintiva nei confronti di parecchie delle eminenti personalità cattoliche del suo tempo, di Montalembert principalmente e di mons. Doupanloup. Il dissenso nelle idee e nei metodi della lotta comune per la libertà religiosa era divenuto così profondo che quando nel 1866 mons. Mermillod tentò una conciliazione tra il Veuillot e il Montalembert poco mancò che il dissi dio non si aggravasse fino a diventar scandaloso. Interrogato il Veuillot su quale base poteva attuarsi l’accordo, rispose: «Sì, il momento dell’accordo è sempre opportuno, oggi è divenuto urgente. Oso dire davanti a Dio e dal profondo dell’animo mio d’essere da parte mia prontissimo. Ma come riunirci, chi troverà monsignore il terreno di intesa? Se non ci fossero che difficoltà di carattere personale, sono convinto che da entrambi le parti sarebbero prontamente e facilmente annullate. La malattia lunga e così preoccupante di «uno» dei nostri fratelli, mi mette in vera angoscia, e io provo un vero tormento pensando che egli può morire senza che io abbia potuto stringergli la mano. Io non ho tralasciato nulla di ciò che la discrezione mi permette per farglielo sapere: ignoro s’egli l’abbia saputo». Ed ecco la risposta di Montalembert: «Questa riconciliazione è, secondo me, egualmente impossibile che non desiderabile. Non si tratta qui di perdono di ingiurie. Io spero a questo riguardo di essere in regola, ma si tratta dell’onore, di cui i cattolici contemporanei ’hanno imparato a far poco conto; si tratta poi della causa cattolica, tale almeno quale io l’ho compresa e servita fin qui. Se il Veuillot ritrattasse pubblicamente le ingiurie e le calunnie di cui pubblicamente mi ha fatto l’onore, io non lo riterrei meno come il nemico più temibile della religione che il secolo XIX ha prodotto, ma io potrei e dovrei usare verso di lui i riguardi imposti dalla cortesia alla gente per bene. Voi mi dite, amico mio, che tutti vogliono che cessino le lotte. Ebbene io, ne voglio ancora, e finché avrò respiro ne vorrei. Posso bene subire gli impacci e le difficoltà che le circostanze mi impongono, ma assolvere i traditori e i pazzi che ci hanno condotto dove ora siamo arrivati, mai! Mi si potrà impedire di parlare o di scrivere, ma non dirò e non scriverò mai una parola che non valga una protesta diretta o indiretta contro lo spirito, di cui il Veuillot è la funesta personificazione». Eppure non era sempre stato così: i duè grandi campioni del cattolicismo francese avevano esordito nelle lotte per la libertà di insegnamento e vi avevano perseverato per un decennio in una affettuosa comunanza di ideali, e l’uno aveva nell’altro salutato l’uomo provvidenziale dell’ora. Come il Veuillot esaltava nelle colonne dell’«Univers.» l’eloquenza formidabile e schiettamente cattolica di Montalembert, questi dichiarava di essere sensibile a nessuna lode fuorchè a quella del Veuillot. Il tentativo caldeggiato dal Dupanloup e appoggiato dal Montalembert di trasformare l’a Univers» da organo personale di Veuillot in quello di partito determinò un primo raffreddamento tra i due. Poi venne la legge del 185o e le aspre polemiche che chiarirono nettamente il conflitto delle tendenze nel campo cattolico, la tendenza intransigente personificata dal Veuillot e quella della conciliazione rappresentata dal Montalembert; poi avvenne il distacco brusco del Veuillot dalla politica imperiale e i dissensi degenerarono in vera e propria lotta fraticida con poca edificazione [p. 235 modifica]dei cattolici e con molta soddisfazione dei liberi pensatori.. Tutto ciò non impedì al Veuillot di scrivere da Roma dove si trovava per il Concilio Vaticano: «Si è appresa ieri sera la morte di Montalembert. Con quanto dolore e con quanto stupore! Non so se vi sia un vescovo, un prete in Roma che non abbia stamane offerto il santo sacrificio per questo grande servitore della Chiesa, caduto in un momento di ombre funeste. Silenzio. Quanto è crudele la condizione in cui la sua inimicizia ci ha posto privandoci della consolazione di lodarlo come egli ha tanto meritato! Ma questa necessità non ci vieta nè il rispetto, nè la buona ricordanza, nè la preghiera, nè la speranza; noi gli renderemo testimonianza un giorno come egli ora rende testimonianza per noi». Si potrà depldrore che due uomini di grande e imparaggiabile valore abbiano trascinato i cattolici del loro paese in’un dissidio esiziale di cui forse rimangono tuttora gli echi dolorosi; ma la storia è lì e discutere è inutile. Del resto contemplando le due figure da vicino, in un qualche modo si riesce a presiiadersi che tra loro la crisi doveva presto o tardi fatalmente accadere, perchè diversa, anzi contradditoria era la rispettiva concezione del compito a cui sono chiamati i cattolici militanti e dei metodi di lotta che devono seguire. Il Veuillot fu l’esemplare perfetto di coloro dei nostri che dalla bellezza della idea sono tratti a nascondersi le piccole realtà della vita sociale, che anelando alle conquiste integrali non soffrono indugi e non indulgono a debolezze umane; il Montalembert invece fu di coloro che non scordano le finalità supreme sebbene abbiano un occhio alla vita reale, non affrettano le grosse conquiste, ma si propongono di raggiungerle procedendo per gradi con metodo, che indulgono alle debolezze delle folle per sanarle, che non sdegnano parziali concessioni purchè la sostanza dell’ideale sia assicurata. L’uno, giornalista e perciò scusato in parte del dovere di usare cautela e moderazione, potè credere che avesse nessun valore tutto ciò che sebbene strappato al nemicó non fosse il trionfo dell’ideale; l’altro, uomo di più matura ponderazione, parlamentare autorevole e uomo di governo, vagheggiò un sistema di conciliazione ideale in cui tutti gli onesti e i liberi potessero darsi la mano, per la grandezza della patria e per il risveglio dello spirito cristiano. NOEMI.