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234 IL BUON CUORE


di ali che segue la menzogna nell’aria, che lo raggiunge, lo combatte, lo ferisce e qualche volta l’uccide anche, che in ogni caso gl’impedisce di regnare senza inquietudine, di prendere piede, di far notte oscura dove si stabilisce... Prima che il degnissimb teologo abbia aperto il suo Witasse e il suo Billuart, l’altro avrà già trionfato in tutti i salotti di lettura. Quando Witasse e Billuart arriveranno, se pur arriveranno, l’altro si prenderà burla di loro. Come se fosse possibile sperare che la gran massa del pubblico debba leggere delle dotte dissertazioni ben piistillate e lardellate di sentenze latine!... Perchè la verità, destinata a sostenere una guerra perpetua, non avrà la sua squadriglia di cavalleggeri, i suoi soldati usi alla scaramuccia e sempre pronti a mettersi in marcia? Ecco l’opera dei laici; essi sono capaci di ciò; dirò di più, essi sono più capaci di tutti gli altri». Egli recò nello svolgimento del suo nobile ministero con l’amore figliale, tenerissimo alla Chiesa un amore entusiasta per il suo paese. Egli può aver errato; cercando l’ottimo può aver impedito che i cattolici ottenessero un bene parziale, ma la sua lotta poggiò alto, alla brama ardente cioè’ di ritornare la sua grande nazione alle migliori e gloriose tradizioni. Come egli sentisse vivo il culto della patria basterebbero a dimostrarlo gli articoli scritti nei trepidi giorni dell’assedio di Parigi, quando il cannone prus: siano rimbombava cupamente per entro le mura della città umiliata. L’impeto lirico tocca il sublime. Seppe altresì imporre e conciliar rispettivamente timore e stima alla sua battaglia mediante *una padronanza di stile da gran signore. Esuberante e pur contegnoso nell’entusiasmo, mistico e leggermente romantico senza svenevolezze nel toccare dei sentimenti, terribile nella ironia senza grossolanità boccaccesca, inesorabile nel demolire e generoso nel vincere, il suo stile piega la lingua francese a tutte le più tenui sfumature del pensiero. Fecondo giornalista non lo fu meno come libellista. Nella a brochure» il polemista ha un più ampio e più tranquillo respiro, mette in mostra maggior cultura e sa a tempo lasciar la dialettica per riposare in una descrizione colorita e seducente. Luigi Veuillot tentò il romanzo, la novella e perfino la poesia e se non tutto è degno della sua fama di giornalista, qualche cosa lo è sicuramente.

La figura del Veuillot prende il suo risalto quasi drammatico dalle fiere dispute alle quali si abbandonò con la foga esuberante che gli era istintiva nei confronti di parecchie delle eminenti personalità cattoliche del suo tempo, di Montalembert principalmente e di mons. Doupanloup. Il dissenso nelle idee e nei metodi della lotta comune per la libertà religiosa era divenuto così profondo che quando nel 1866 mons. Mermillod tentò una conciliazione tra il Veuillot e il Montalembert poco mancò che il dissi dio non si aggravasse fino a diventar scandaloso. Interrogato il Veuillot su quale base poteva attuarsi l’accordo, rispose: «Sì, il momento dell’accordo è sempre opportuno, oggi è divenuto urgente. Oso dire davanti a Dio e dal profondo dell’animo mio d’essere da parte mia prontissimo. Ma come riunirci, chi troverà monsignore il terreno di intesa? Se non ci fossero che difficoltà di carattere personale, sono convinto che da entrambi le parti sarebbero prontamente e facilmente annullate. La malattia lunga e così preoccupante di «uno» dei nostri fratelli, mi mette in vera angoscia, e io provo un vero tormento pensando che egli può morire senza che io abbia potuto stringergli la mano. Io non ho tralasciato nulla di ciò che la discrezione mi permette per farglielo sapere: ignoro s’egli l’abbia saputo». Ed ecco la risposta di Montalembert: «Questa riconciliazione è, secondo me, egualmente impossibile che non desiderabile. Non si tratta qui di perdono di ingiurie. Io spero a questo riguardo di essere in regola, ma si tratta dell’onore, di cui i cattolici contemporanei ’hanno imparato a far poco conto; si tratta poi della causa cattolica, tale almeno quale io l’ho compresa e servita fin qui. Se il Veuillot ritrattasse pubblicamente le ingiurie e le calunnie di cui pubblicamente mi ha fatto l’onore, io non lo riterrei meno come il nemico più temibile della religione che il secolo XIX ha prodotto, ma io potrei e dovrei usare verso di lui i riguardi imposti dalla cortesia alla gente per bene. Voi mi dite, amico mio, che tutti vogliono che cessino le lotte. Ebbene io, ne voglio ancora, e finché avrò respiro ne vorrei. Posso bene subire gli impacci e le difficoltà che le circostanze mi impongono, ma assolvere i traditori e i pazzi che ci hanno condotto dove ora siamo arrivati, mai! Mi si potrà impedire di parlare o di scrivere, ma non dirò e non scriverò mai una parola che non valga una protesta diretta o indiretta contro lo spirito, di cui il Veuillot è la funesta personificazione». Eppure non era sempre stato così: i duè grandi campioni del cattolicismo francese avevano esordito nelle lotte per la libertà di insegnamento e vi avevano perseverato per un decennio in una affettuosa comunanza di ideali, e l’uno aveva nell’altro salutato l’uomo provvidenziale dell’ora. Come il Veuillot esaltava nelle colonne dell’«Univers.» l’eloquenza formidabile e schiettamente cattolica di Montalembert, questi dichiarava di essere sensibile a nessuna lode fuorchè a quella del Veuillot. Il tentativo caldeggiato dal Dupanloup e appoggiato dal Montalembert di trasformare l’a Univers» da organo personale di Veuillot in quello di partito determinò un primo raffreddamento tra i due. Poi venne la legge del 185o e le aspre polemiche che chiarirono nettamente il conflitto delle tendenze nel campo cattolico, la tendenza intransigente personificata dal Veuillot e quella della conciliazione rappresentata dal Montalembert; poi avvenne il distacco brusco del Veuillot dalla politica imperiale e i dissensi degenerarono in vera e propria lotta fraticida con poca edificazione