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IL BUON CUORE 235


dei cattolici e con molta soddisfazione dei liberi pensatori.. Tutto ciò non impedì al Veuillot di scrivere da Roma dove si trovava per il Concilio Vaticano: «Si è appresa ieri sera la morte di Montalembert. Con quanto dolore e con quanto stupore! Non so se vi sia un vescovo, un prete in Roma che non abbia stamane offerto il santo sacrificio per questo grande servitore della Chiesa, caduto in un momento di ombre funeste. Silenzio. Quanto è crudele la condizione in cui la sua inimicizia ci ha posto privandoci della consolazione di lodarlo come egli ha tanto meritato! Ma questa necessità non ci vieta nè il rispetto, nè la buona ricordanza, nè la preghiera, nè la speranza; noi gli renderemo testimonianza un giorno come egli ora rende testimonianza per noi». Si potrà depldrore che due uomini di grande e imparaggiabile valore abbiano trascinato i cattolici del loro paese in’un dissidio esiziale di cui forse rimangono tuttora gli echi dolorosi; ma la storia è lì e discutere è inutile. Del resto contemplando le due figure da vicino, in un qualche modo si riesce a presiiadersi che tra loro la crisi doveva presto o tardi fatalmente accadere, perchè diversa, anzi contradditoria era la rispettiva concezione del compito a cui sono chiamati i cattolici militanti e dei metodi di lotta che devono seguire. Il Veuillot fu l’esemplare perfetto di coloro dei nostri che dalla bellezza della idea sono tratti a nascondersi le piccole realtà della vita sociale, che anelando alle conquiste integrali non soffrono indugi e non indulgono a debolezze umane; il Montalembert invece fu di coloro che non scordano le finalità supreme sebbene abbiano un occhio alla vita reale, non affrettano le grosse conquiste, ma si propongono di raggiungerle procedendo per gradi con metodo, che indulgono alle debolezze delle folle per sanarle, che non sdegnano parziali concessioni purchè la sostanza dell’ideale sia assicurata. L’uno, giornalista e perciò scusato in parte del dovere di usare cautela e moderazione, potè credere che avesse nessun valore tutto ciò che sebbene strappato al nemicó non fosse il trionfo dell’ideale; l’altro, uomo di più matura ponderazione, parlamentare autorevole e uomo di governo, vagheggiò un sistema di conciliazione ideale in cui tutti gli onesti e i liberi potessero darsi la mano, per la grandezza della patria e per il risveglio dello spirito cristiano. NOEMI.


Religione


Vangelo della domenica 11a dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

In quel tempo disse il Signore Gesù questa parabola per taluni i quali confidavano in se stessi, riputandosi giusti e disprezzavano gli altri: due uomini salirono al’tempio a fare orazione: uno Fariseo, e

l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava in piedi e dentro di sè pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, ed anche come questo Pubblicano: digiuno due volte alla sPttimna: pago la decima di tutto quel che io posseggo. Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva neppur alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto dicendo. Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza dell’altro: imperocchè chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato. S. LUCA, cap. 11.

Pensieri. L’aver l’Evangelista - forse in quest’unico caso notato a chi indirizzava Gesù colla parabola la sua istruzione ci suggerisce una opportuna riflessione. Era.nvi allora «alcuni» che per essere osservatori della legge - legale giustizia - si credevano giusti, quindi non bisognosi d’alcuno ed anche di Dio stes- si svolge parimenti al g;orno d’oggi. Tutt’altro che raro e infrequente è il caso doloroso di chi per avere in vita compito opere buone, senza curare lo spirito con cui furono fatte, si sente troppo sicuro di so. Il fatto contemporaneo a Cristo è da lui notato essere nel favore di Dio e dimentica l’avviso del Savio che avvisa l’uomo d’essere sempre incerto se egli sia presso il Signore degno d’ira e d’amore. Non è infrequente il caso di chi pone solo la propria giustificazione nel valore delle proprie opere, ignorando o dimenticando la parte migliore che tocca alla grazia divina: e da questa esagerata confidenza in se stessi è logico nasca ed origini quel disprezzo fatto di una ipocrita compassione «per gli altri» per la gran massa dei peccatori che, o reputano già dannati in perdizione ed irredemibili o per lo meni esseri di una considerazione e prezzo minore. La lezione della parabola di Cristo è a questo caso assai appropriata e salutare.

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Studiamo le due figure. Il fariseo sceglie un posto speciale, per cui facilmente si possa scorgere: Ringrazia Dio a parole: subito dopo si attribuisce il merito e la gloria delle sue opere. Fa il paragone - odioso sempre - cogli altri uomini, che trova tutti spregevoli e peccatori all’infuori di se: visto l’umile pubblicano, passa al particolre e nel confronto con lui - enumerando l’assenza del’adulterio, del possesso violento dei beni altrui, e della frode - attribuisce a quel misero questi orribili delitti. Bugiardo! Cristo accusava i farisei di estorsione, di ingiustizia e dei vizi più luridi... Quanto e mai vero che nel giudicare noi stessi ci... inganniamo volentieri!... La sua cicalata non era la preghiera umile e pia, era l’espressione della sua personalità! In suo confronto vediamo il pubblicno, il tipo del peccatore del mondano, di colui che vive lontano da Dio.