Il buon cuore - Anno XII, n. 29 - 19 luglio 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 29 - 19 luglio 1913 Religione

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LA VALKIRIA DI FRANCIA


Lucie Faure Goyau



V’è un ritratto di Lucie Félix Faure Gayau, già riprodotto infinite volte, che ora, spenta anzi tempo la forte scrittrice, è ricomparso per imprimere l’ultima volta nel ricordo degli ammiratori la nobile figura della donna eletta: E’ una di quelle rare fotografit che sembra aver fissato, oltre i lineamenti, qualche cosa dello spirito della creatura che vi si è riflessa, come in un pallido specchio fatato che serbi indelebili i contorni delle sue immagini virtuali.

In piedi, presso una balaustra — così la descrive Ernest Tissot, biografo accurato ed ammirato della pensosa scrittrice — questa principessa delle lettere sembra dallo sfondo del suo ritratto guardarvi fissamente con i grandi occhi calmi, fra la ricchezza aracnea de’ fini merletti adornanti un sontuoso abito di corte. Dinanzi a quella gravità si è involontariamente tratti a modificare con la fantasia il quadro ’severo. Quella fronte par debba da un istante all’altro cingersi del casco adorno di bianche ali delle nordiche amazzoni, quelle mani avvezze al comando sembrano fatte per stringere lo scudo e la lancia, e il manto azzurro delle walkirie si direbbe stesse per posarsi sulle trine avvolgenti l’eretta persona. Riflettendo che questa Brunehilde moderna fu per sette anni — finchè suo padre resse la repubblica francese — in relazione frequente con molti sovrani e sovrane d’Europa, non appare strana, se nella vita più modesta che seguì quel fastoso periodo abbia conservato qualche cosa di regale. Ma chiunque abbia avuto la fortuna di parlare con la donna singolare, sa come sotto quella sua apparenza di gravità, si nascondesse la dolcezza rivelatrice di un’anima eccezionalmente buona in cui non v’era posto nè per la vanità, nè per la superbia.


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Senza condividere il noto giudizio, espresso da un grande scrittore di Francia: Se un’idea deve diventar popolare deve nascere in un cervello francese — bisogna convenire che i nostri confratelli, hanno in fatto di scrittori e di pensatori sempre sufficiente ragione di essere orgogliosi. La Francia ci ha dato e ci dà tuttora, è vero, la più abbondante mèsse di opere corrosive, diremo così, del sentimento morale della religione; ma allo stesso scopo ci offre i più fieri campioni della difesa dell’una e dell’altra. Il progresso muliebre ha fatto pullulare sul suolo francese le scrittrici e le poetesse, spregiudicate nell’arte nella vita; e allo stesso tempo ci ha offerto pure rigide, come camei scolpiti nelle gemme, i più meravigliosi esempi di sapienza e di virtù femminile. E quel che più vale ha saputo apprezzare quanto meritavano fra le suasive voci indulgenti alle passioni, alle ebrezze dei sensi, quelle che stimmatizzavano severe le mollezze e le licenze degli odierni costumi.

Così Lucie Félix Faure Goyau può essere apparsa talora troppo unilaterale nelle sue opere; le sue monografie e i suoi volumi possono con qualche ragione essere stati giudicati manchevoli nella parte analitica, ma la sua opera complessiva è stata profondamente compresa ed ammirata.

Félix Faure, è noto, era salito al più alto grado della repubblica, venendo dal popolo: egli aveva da giovinetto lavorato, con il rude grembiule di canovaccio in una conceria di pelli, ma l’umiltà della sua origine gli aveva fatto comprendere forse meglio il valore dell’elevazione spirituale ed intellettuale; quando fu persuaso che la sua Lucia aveva una profonda e sincera inclinazione agli studi, anche i più severi, ne secondò volentieri la rara vocazione, pur chiedendole di astenersi, durante il settennio [p. 226 modifica]la presidenza, da talune pubblicazioni che potevano apparire una treppo palese sfida agli uomini e alle idee dominanti. E la gentile poetessa accettò con mite animo la pri vazione, seguitando a studiare con intensità crescenC e con più fervido amore. Rimasta orfana,, cominciò la serie delle pubblicazioni che furono vihiamente discusse dagli uni, profondamente- ammirate dagli altri: Newman, sa vie ses oeuvres; Les femmes dans l’oeuvre de Dant, Ame payennes et chnes maciernes. La prima di quete opere è un inno di esaltazione, dettato con tenerezza di devota, con ardore di ammiratrice, alla grande anima del grande cardinale; la seconda è una evocazione dí tutte le creature pure, angelicate dal verso di Dante; le peccatrici non trovano luogo nella prosa della Faure, e appena vi compare velata, Francesca da Rim ini; la terza è un acuto confronto, un parane/e, condotto con sottile lavoro di logica fra la filosofia cristiana e quella degli antichi miti. E’ inutilé aggiungere che tutte le pagine sono pervase dall’ardente cattolicismo di questa feconda pensatrite, che il pubblico francese aveva già imparata a conoscere e come poetessa, e come xaccontatrice deliziosa dei suoi viaggi in Italia e in Oriente. Senza dubbio la vocazione naturale di Lucia era per la poesia, ed ella, si orientò più tardi verso la filosofia quasi per compiere un altissimo dovere per la fede che voleva professare e difendere con tutta la forza del suo ingegno, con tutta la luce del suo intelletto. Per essersi unita al Goyau, lo storico mirabile deI cattolicismo in Francia, si accese più vivamente della sua missione, e frenò o meglio per essa deviò volentieri la freschissima vena della poesia, che corre fluida versicolore, palpitando e vibrando pur nella adorna prosa del suo Voyage en Algerie e nelle Promenadesil orentines. I racconti di viaggio della Lucia Faure Goyau rammentano per l’originalità, la freschezza e la cultura che’ appare qua e là senza sforzo e senz’ostentazione, certi Appunti di viaggio di un’altra grande anima di artista, la Brunamonti, che senza dubbio è una sorella spirituale della scrittrice francese ora scomparsa. La stessa attitudine nell’una e nell’altra a dar vita, anima, agli aspetti e alle cose della natura; la stessa disposizione a cercare, trovare ovunque e divotamente adorare la luce divina; la stessa serietà nel concepire e coltivare l’arte, nell’orientarla al più nobile fine. La poetessa umbra aveva di rado e per breve tempo lasciato il molle cerchio dei colli nativi e le sue corse attraverso l’Italia erano state rapidissime: la.sua vita si era svolta nella maggiore semplicità, ella era stata fino alla morte la piccola provinciale di vecchio stampo che nulla può sottrarre alle abitudini asalinghe. Lucia Félíx Faure fu fino a ieri, fino alla sua morte una delle donne più ammirate, più apprezzate di Parigi; il suo accento era stato a volta a volta soave e battagliero, tutti i grandi saloni avevano visto passare la sua imperiale figura, e le folle

si erano inchinate sotto la chiarità dei suoi grandi occhi pensosi; eppure le due creature sembrano talora essersi scambievolmente, fraternamente confidate lo stesso dolce segreto, ed essersi profondamente comprese. Esse somigliano talora un poco, ho detto, nelle loro rispettive note di viaggio e senza dubbio nei Discorsi d’arte della Brunamonti v’è più volte accennata, talora sbozzata appena, ma con tocchi vigorosi, la stessa tesi che anima il libro: Ames Payennes ed Ames modernes; e v’ha pure qualche tocco comune — il riscontro naturalmente è affatto fortuito — fra le Chansons simplettes e i primi canti della pensosa Alinda, benchè tanto più classica della consorella francese. Soltanto la nostra poetessa cedette più a lungo al fascino del ritmo, e il verso è — noto — è una specie di cerchio isolatore che divide il cantore dalle grandi masse, perchè moltissimi anche fra gli eruditi, i colti, i così detti intellettuali sono schivi o noncuranti della poesia. Lucia per giungere più lontano rinunziò spesso agli inviti della Musa. Ma forse vi sarebbe tornata; e d’altra parte in uno dei suoi ultimissimi lavori già mostrava di cedere agli antichi richiami. La studiosa scrittrice di saggi filosofici rimpiangeva la morte delle fate, le leggendarie eroine dalle ampie chiome costellate d’oro, gli abiti tessuti di veli di nubi, che vanno ogni dì più allontanandosi dai bimbi ormai troppo precoci per cedere al lusinghevole inganno delle leggende. Eppure quali tesori d’immaginazione venivano accumulati nelle menti infantili da quelle visioni di sogno, e quanto sovente con le fiabe s’addormentavano i piccoli dolori dei piccoli cuori e si facevano dimenticare un poco le privazioni ai poverelli, che non hanno altro tesoro che i grandi occhi dalle pupille color ’di cielo cercanti ancora e sempre ansiosamente il cielo. • Nel poetico epicedio riviveva la canora anima di Lucia che ancora bambina pregava Dio di dare un cuore alla sua bambola per poterla amare; e che vedeva ombre vaganti di vita in seno alla notte, fra le siepi de’ fiori, sullo specchio delle acque stagnanti. Per la scala delle profonde emozioni che agitavano la.giovinet’anima sorrisa da un grande sogno di amore, da un grande fuoco di fede, era ascesa a Dio; e da quell’altezza suprema ella ridiscendeva alle umili cose, tutta radiosa della pura lupe attinta lassù. Quella luce or si distende e s’avvolge sul resupino capo della morta poetessa. Teresita Guazzaroni.

LUIGI VEUILLOT nelle pagine di e. Tavernier Ricorrendo il centenario della nascita di Luigi Veuillot, Eugenio Tavernier che del Veuillot fu uno degli ultimi e più fidati discepoli, rievoca affettuo [p. 227 modifica]samente la figura del maestro (i) tracciandone un profilo, il quale, sebbene abbia una leggera movenza apologetica, non può però dispiacere a chi avesse del Veuillot o meglio dell’opera sua un giudizio opposto. Evidentemente egli non ebbe in animo di rifare la biografia del focoso giornalista, perchè dopo la a Vita» scritta dal fratello Eugenio Veuillot — completa e diligente — sarebbe stato inutile; anzi alla a Vita» egli rimanda volontieri ogni volta che occorrono al suo assunto gli elementi biografici. Nemmeno — così almeno sembra — ha inteso sottoporre a nuovo esame l’opera polemica del giornalista, per darne ùn giudizio complessivo, sereno e più prossimo al vero, egualmente lontano dalla facile esaltazione cne dalla partigiana demolizione; il Tavernier, pur essendo autentico continuatore del Veuillot, avendo egli perseverato a collaborare nell’a Univers» fino a ieri, deve essersi reso conto, che volendo fare della storia degna di tal nome, occorre valersi di criteri. un po’ diversi da quelli che regolano purtroppo le nostre simpatie di parte, che, anzi, tanto più sicuramente si arriva a formulare giudizi storicamente veritieri, quanto più si sappia tener fede esclusivamente ai principi eterni della morale e spogliarsi più ch’è possibile delle individuali simpatie. D’altra parte per un uomo come il Veuillot, che durò in un combattimento di ’parte per quasi mezzo secolo e prese arditamente posizione nello svolgersi successivo dei molti avvenimenti storici, politici, religiosi, letterari della sua patria, l’esame obiettivo dell’opera sua e. cosa nè facile, nè di poca mole. Perciò il Tavernier molto lodevolmente non vi si è lasciato tentare, accontentandosi di un profilo, nel tracciare il quale egli più che di ragionare a fondo sull’opera e sulla sua efficacia, cura ’cli indicarne gli impulsi interiori; più che discutere la sostanza delle polemiche e i metodi seguiti, preferisce dar risalto ai pregi stilistici degli scritti; più che entrare nel merito delle controversie che divisero il Veuillot e i suoi amici da altri eminenti correligionari, egli s’indugia a contemplare l’animo dell’uomo nelle ore della lotta fraterna. Insomma il Tavernier ha tentate uno schizzo psicologico del maestro e un breve saggio puramente letterario intorno all’opera di lui; e, circoscritta tra questi confini, la sua rievocazione ha indiscutibilmente il merito non soltanto di non provocare le animosità di convincimenti contrari, ma di conciliare alla memoria dí Luigi Veuillot l’ammirazione unanime. Poichè oggi ogni uomo onesto deve rendere a Luigi Veuillot, quella giustizia che gli fu negata da troppi finchè visse, riconoscere cioè ch’egli fu un vero cavaliere dell’ideale nel senso più nobile della parola, che servì alla causa del suo apostolato con fede intensa e indomita, che non piegò mai a considerazioni umane, che se può essere lecito dissentire da lui in parecchi dei suoi atteggiamenti e nella

(I) EUGENE TAVERNIER, LOULf Vtlli/kg (L’homrne - le lutteur - L’écrivain) Paris, Plon-Nourrit, 1913.

scelta dei metodi da lui adottati per condurre la sua aspra battaglia, la purezza cristallina de’ suoi ’intenti, è fuori d’ogni dubbio. Così, è d’uopo riconoscere che nel difficile arringò della letteratura estemporanea e più particolarmente del giornalismo militante egli fu facile principe, un maestro di lingua e di stile incomparabile, rivelandovi doti di intelletto e di cuore squisitissime, tanto che ancor oggi la sua prosa conserva una freschezza e un robusto vigore che la fanno piacere e ancora commuove.

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Il Veuillot aveva varcato già la sessantina quando il Tavernier lo conobbe e gli divenne segretario, incaricato particolarmente di scrivere gli articoli sotto dettatura per l’a Univers»; di quegli anni che furono il tramonto del fiero lottatore egli fa una sobria e affettuosa descrizione intrecciandola a ricordi personali, sullo sfondo de’ quali vien delineandosi la figura austera e pur serena del maestro, il quale tenta opporre al lento declinare delle forze fisiche l’antica gagliardia dello spirito, pur rimanendo fedele alle sue abitudini di lavoro e pronto a vibrare in uno scatto impetuoso come ne’ bei tempi della gioventù, s’indugia però a quando a quando nel rimpianto nostalgico del passato, e va man mano accentuando nei suoi colloqui famigliari e nelle sue corrispondenze epistolari la nota mistica come per una vaga intuizione della fine prossima. In un secondo capitolo della formazione il Tavernier rifà in Succinto la storia della formazione spirituale e letteraria del Veuillot. Rifacendosi di preferenza, come dicemmo, da quanto il fratello Eugenio scrisse nella a Vita» e da quello che il Veuillct stesso lasciò scritto in alcuni libri di racconti, nei quali sotto la veste ora di questo o di quel personaggio volle raffigurarsi, ’egli rievoca le sue origini popolane e quisi zingaresche, descrive le vicissitudini poco liete della sua giovinezza meditativa, egualmente combattuta da un amore singolare per lo studio insoddisfatto ed instancabile e da una povertà ostinata e quasi umiliante; richiama i primi tentativi giornalistici sulle colonne del a Figaro», poi la col laborazione più abbondante e già da parecchi appre2 zata su diversi giornali liberali-conservatori di pro vincia e finalmente di Parigi. Il viaggio a Roma col l’amico 011ivier di fresco convertito dal libero pensiero al cattolicismo, determina un mutamento spirituale profondo nell’animo del Veuillot, una vera e propria conversione al cattolicismo e con la conversione il desiderio ardente dell’apostolato in quell’ar ringo, a cui per genio innato egli si sentiva portato e nel quale aveva già dato prove di saper riuscire. (Continua).

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