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226 IL BUON CUORE


la presidenza, da talune pubblicazioni che potevano apparire una treppo palese sfida agli uomini e alle idee dominanti. E la gentile poetessa accettò con mite animo la pri vazione, seguitando a studiare con intensità crescenC e con più fervido amore. Rimasta orfana,, cominciò la serie delle pubblicazioni che furono vihiamente discusse dagli uni, profondamente- ammirate dagli altri: Newman, sa vie ses oeuvres; Les femmes dans l’oeuvre de Dant, Ame payennes et chnes maciernes. La prima di quete opere è un inno di esaltazione, dettato con tenerezza di devota, con ardore di ammiratrice, alla grande anima del grande cardinale; la seconda è una evocazione dí tutte le creature pure, angelicate dal verso di Dante; le peccatrici non trovano luogo nella prosa della Faure, e appena vi compare velata, Francesca da Rim ini; la terza è un acuto confronto, un parane/e, condotto con sottile lavoro di logica fra la filosofia cristiana e quella degli antichi miti. E’ inutilé aggiungere che tutte le pagine sono pervase dall’ardente cattolicismo di questa feconda pensatrite, che il pubblico francese aveva già imparata a conoscere e come poetessa, e come xaccontatrice deliziosa dei suoi viaggi in Italia e in Oriente. Senza dubbio la vocazione naturale di Lucia era per la poesia, ed ella, si orientò più tardi verso la filosofia quasi per compiere un altissimo dovere per la fede che voleva professare e difendere con tutta la forza del suo ingegno, con tutta la luce del suo intelletto. Per essersi unita al Goyau, lo storico mirabile deI cattolicismo in Francia, si accese più vivamente della sua missione, e frenò o meglio per essa deviò volentieri la freschissima vena della poesia, che corre fluida versicolore, palpitando e vibrando pur nella adorna prosa del suo Voyage en Algerie e nelle Promenadesil orentines. I racconti di viaggio della Lucia Faure Goyau rammentano per l’originalità, la freschezza e la cultura che’ appare qua e là senza sforzo e senz’ostentazione, certi Appunti di viaggio di un’altra grande anima di artista, la Brunamonti, che senza dubbio è una sorella spirituale della scrittrice francese ora scomparsa. La stessa attitudine nell’una e nell’altra a dar vita, anima, agli aspetti e alle cose della natura; la stessa disposizione a cercare, trovare ovunque e divotamente adorare la luce divina; la stessa serietà nel concepire e coltivare l’arte, nell’orientarla al più nobile fine. La poetessa umbra aveva di rado e per breve tempo lasciato il molle cerchio dei colli nativi e le sue corse attraverso l’Italia erano state rapidissime: la.sua vita si era svolta nella maggiore semplicità, ella era stata fino alla morte la piccola provinciale di vecchio stampo che nulla può sottrarre alle abitudini asalinghe. Lucia Félíx Faure fu fino a ieri, fino alla sua morte una delle donne più ammirate, più apprezzate di Parigi; il suo accento era stato a volta a volta soave e battagliero, tutti i grandi saloni avevano visto passare la sua imperiale figura, e le folle

si erano inchinate sotto la chiarità dei suoi grandi occhi pensosi; eppure le due creature sembrano talora essersi scambievolmente, fraternamente confidate lo stesso dolce segreto, ed essersi profondamente comprese. Esse somigliano talora un poco, ho detto, nelle loro rispettive note di viaggio e senza dubbio nei Discorsi d’arte della Brunamonti v’è più volte accennata, talora sbozzata appena, ma con tocchi vigorosi, la stessa tesi che anima il libro: Ames Payennes ed Ames modernes; e v’ha pure qualche tocco comune — il riscontro naturalmente è affatto fortuito — fra le Chansons simplettes e i primi canti della pensosa Alinda, benchè tanto più classica della consorella francese. Soltanto la nostra poetessa cedette più a lungo al fascino del ritmo, e il verso è — noto — è una specie di cerchio isolatore che divide il cantore dalle grandi masse, perchè moltissimi anche fra gli eruditi, i colti, i così detti intellettuali sono schivi o noncuranti della poesia. Lucia per giungere più lontano rinunziò spesso agli inviti della Musa. Ma forse vi sarebbe tornata; e d’altra parte in uno dei suoi ultimissimi lavori già mostrava di cedere agli antichi richiami. La studiosa scrittrice di saggi filosofici rimpiangeva la morte delle fate, le leggendarie eroine dalle ampie chiome costellate d’oro, gli abiti tessuti di veli di nubi, che vanno ogni dì più allontanandosi dai bimbi ormai troppo precoci per cedere al lusinghevole inganno delle leggende. Eppure quali tesori d’immaginazione venivano accumulati nelle menti infantili da quelle visioni di sogno, e quanto sovente con le fiabe s’addormentavano i piccoli dolori dei piccoli cuori e si facevano dimenticare un poco le privazioni ai poverelli, che non hanno altro tesoro che i grandi occhi dalle pupille color ’di cielo cercanti ancora e sempre ansiosamente il cielo. • Nel poetico epicedio riviveva la canora anima di Lucia che ancora bambina pregava Dio di dare un cuore alla sua bambola per poterla amare; e che vedeva ombre vaganti di vita in seno alla notte, fra le siepi de’ fiori, sullo specchio delle acque stagnanti. Per la scala delle profonde emozioni che agitavano la.giovinet’anima sorrisa da un grande sogno di amore, da un grande fuoco di fede, era ascesa a Dio; e da quell’altezza suprema ella ridiscendeva alle umili cose, tutta radiosa della pura lupe attinta lassù. Quella luce or si distende e s’avvolge sul resupino capo della morta poetessa. Teresita Guazzaroni.

LUIGI VEUILLOT nelle pagine di e. Tavernier Ricorrendo il centenario della nascita di Luigi Veuillot, Eugenio Tavernier che del Veuillot fu uno degli ultimi e più fidati discepoli, rievoca affettuo