Il buon cuore - Anno XII, n. 25 - 21 giugno 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 25 - 21 giugno 1913 Religione

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UN CONQUISTATORE Dl ANIME


Claudio Maria Colin


(Continuazione del numero precedente)


IV.


I primi fasci d’appunti erano in francese: più tardi ne imprese la redazione in latino; lavorava nella sua solitudine senza febbre e senza rilassamenti; infatti l’istinto a tenersi occupato così non era tanto un moto deliberato della sua volontà, un trasporto interno quasi irresistibile. Egli era convinto, sentiva, con sicurezza cieca che la società era nel volere di Dio e che avverrebbe senza che lui sapesse nè come nè quando, senza che il suo lavoro dovesse forse servire a qualche cosa. Ma quando la sua gioia tanto a lungo contenuta, prorompeva, egli vi si abbandonava con una fiducia che equivaleva a certezza. E un giorno chiamò suo fratello a parte di queste speranze tormentose e tutti e due insieme decisero di sottomettere alla autorità ecclesiastica un programma di fondazione, di cui Giovan Claudio Maria quasi sbigottito, ancora assalito da mille timori, si riteneva piuttosto lo scritturale che l’inventore.

I primi passi non approdarono a nulla: però i vescovi di Grenoble, Puy, Pignerot incoraggiarono e l’abate Colin inviò un primo messaggio a Pio VII, messaggio che rimase senza risposta; un secondo, tre anni dopo, fu assai più fortunato. Infatti un breve papale del 9 marzo 1822 invitava il giovine vicario a conferire col nunzio di Parigi su questo progetto di fondazione; e circa un anno appresso dopo indugi e lettere, visite, ansie e trepidazioni nascoste il nunzio assentì perchè il manoscritto potesse essere presentato alla approvazione della Santa Sede.

L’onore era così improvviso, così insperato, era tanto superiore alle sue timide speranze che l’abate Colin dovè sentirsi turbato e guardare dubbioso verso questa porta regale che si apriva per lui nel corteo dei fondatori di ordini.

Sì! aveva sperato che un altro sorgesse a fondare la società di Maria e quest’ignoto ora indugiava a venire; ma lui non voleva, non doveva essere che l’annunciatore per rifugiarsi poi subito dopo nel deserto che s’apriva sconfinato dinanzi ai suoi occhi. l. Aveva fede nella voce di Dio che si rivela e ordina, ma gli sarebbe parsa presunzione audace supporre che questa voce risuonasse per lui. Si sentiva come desolato nell’intuire che lo sguardo divino s’era posato su lui quasi per consacrarlo ad un’opera sua. Allora le sue preghiere sospirarono nello sforzo di allontanare una tale insistenza, e con l’anima in angoscia cercava un altro in vece sua, un altro più disposto a dirigere, più ricco di riputazione che assumesse per sè il titolo di iniziatore, lasciando lui nell’ombra col nome già troppo augusto di precursore.

Ricerche sterili: la fuga affannosa dei giorni gli ripeteva chiaramente che Dio esigeva la sua azione, allora’ le sue labbra dissero «si b; prevalendosi sulla volontà che rifuggiva ancora. Era uno smarrimento doloroso dell’animo. L’ora della crisi gli ’strappò lacrime così profonde, così brucianti che egli pianse ogni volta che le ansie di quell’ora gli tornarono in mente. Abbattimenti che lo trascinavano verso il deserto ed entusiasmi che lo esaltavano fin quasi ad accettare il misterioso comando divino... l’illusione di trovare meglio Dio nella solitudine ascetica lo faceva a sua insaputa procedere all’inversa e allontanare dal suo posto d’azione.

Ancora una volta un incidente improvviso lo decise. Una pia dama, che egli incontrò per caso, intuì così mirabilmente il suo stato e con particolari così esatti, che egli si senti quasi rivelato a se stesso [p. 194 modifica]e vincendo le ultime sue soluzioni lo spinse a recarsi dal vescovo di Belley. E il vescovo accordò che suo fratello e due altri preti della diocesi divenissero con lui i primi Maristi e che altre vocazioni potessero iniziare i Fratelli Coadiutori, le Sorelle e il Terzo Ordine di Maria. Giovàn Claudio Maria Colin era decisamente un fondatore! Eppure anche più tardi,tornando a pensare a questa soluzione di tante continue incertezze egli insisteva a dire che solo la Vergine era stata l’anima fondatrice.e che s’era servita di lui solo perchè era il più indegno. Il primo sgomento per lui nella piccola comunità in formazione fu di sentirsi chiamare il signor superiore, tanto era di fastidio la pompa del nome per lui che doveva porsi come primo contro il suo desiderio di dileguare senza ’traccia... Certamente alla fioca luce dell’esperienza umana si potrebbe concludere che un carattere simile non avesse tempra per governare degli uomini. Sembrava infatti che lo impigliassero sensibili contraddizioni e mentre compiva dei passi che dovevano dare un innegabile risalto alla sua persona, lo pungeva lo stimolo acuto di passare inosservato, vicino al bisogno assoluto di espandere e condurre al trionfo una idea che riputava di Dio, dal fondo del Suo cuore sorgeva la risoluzione decisamente recisa di cancellare ogni traccia sua, ogni ómbra della sua persona dalla lotta che questa medesima idea gli aveva fatto intraprendere. Quale destino attendesse la società di Maria o che riuscisse o che fallisse egli doveva soffrire, sempre, sia nella fervorosità del suo zelo, sia nella umiltà timorosa di rimanere offuscata da un trionfo. La carica di fondatore, di superiore, di personaggio in vista sconcertavano tutte le sue aspirazioni; ma a lungo andare la stessa incompatibilità tra il proprio carattere e la natura della sua missione gli dovè sembrare così singolare che finì per vederci un segno di Dio. Georges Goyau.

La dottrina di un filosofo cristiano

Francesco Acri si nasce, non si diventa. Generato in quel lembo della Magna Grecia, ove sbocciò la scuola di Pitagora, egli ha ereditato il seme speculativo ed estetico di un stirpe gloriosa, il quale, intepidito al sole della verità, rigerminò e rimise fiore. Giovinetto respirò le aure vivaci di filosofia e poi, datosi al diritto e prestamente svogliatosene, alla filosofia e alle lettere di nuovo si volse e tutto e per sempre si ridette. E fu filosofo, fu. artista, fu filosofo artista.

Artista e filosofo Artista lui credettero il Carducci, che lo predilesse caramente fra i suoi dotti colleghi, e il Pascoli, che per lui ebbe riverenza di secolare e pietà di figlio. Filoso egli è per acume d’ingegno, per trasparenza e forza di pensiero fra i più notabili della età nostra, e fra i viventi forse quello nel quale il genio speculativo italiano più nitido rifulge nella sua espressiva e caratteristica originalità. Non ha messo a stampa voluminose opere: e le poche non ha condotto a termine. Il suo volgarizzamento di Platone, incompiuto sfortunatamente, non è lavoro di critica nè di erudizione, perchè non è corredato di note e di proemi, ma è lavoro di arte, opera di vita, dove l’antica divina bellezza, quasi specchiantesi in terso cristallo, si mostra e risorride morbida e fresca. In tutti i suoi scritti è un’inalterabile eguaglianza, un’arte senza vapori e senza fumi, serena, gioconda, spontanea, efficace, perchè le sue aspirazioni egli deriva dalle pure sorgenti dell’affetto, dal cuore acceso di fede e di bontà. Tutto è pittoresco, dove ei narra o discute, tutto è in azione: lo storico.e il dialettico sparisce; ciascun personaggio è in iscena; è una conversazione viva, animata, rapida; e l’animo di chi legge è commosso da tanta naturalezza e verità. Ma i suoi scritti così seducenti per lo stile elegante e forbito, Sanno per il savio un’altra attrattiva intima, irresistibile, quella d’una morale sempre buona e sempre onesta. I suoi elogi funebri sono meste armonie che compongono l’animo a sublime quiete, facendolo meditatore della morte e delle speranze d’una vita futura. Nei suoi pubblici discorsi la sua parola è, vivificata dall’amore dell’Italia e dell’uman genere, della religione degli avi e dello spirito di Cristo. In qualunque occasione egli consacra la sua eloquenza a dipingere le bellezze della verità e della saviezza, la soddisfazione che dànno i sentimenti onesfi e il rapimento dei cuori religiosi che amano Dio e ne sono amati. Negli scritti polemici non ubbidisce a ira o a sdegno, schivo di contendere con le grida, contende con le ragioni condite di umore scherzoso e di piacevole ironia; difende con vigore dottrine trascurate che, a suo giudizio, non devono essere trascurate; combatte, dialettico senza sofismi, dottrine venute in voga, mostrandone le manchevolezze per un processo tutto interno: prende di mira specialmente gli hegeliani e i positivisti, che a lui, spiritualista, pajon tutti materiali ad un modo. Il suo proprio sistema l’Acri non l’ha svolto in un’opera compiuta ed organica,; lo ha appena delineato in un abbozzo. 11 suo sistema La novità in filosofia, secondo lui, è la assunzione a ufficio primario di concetti ch’erano messi in uffici secondari. Il criterio di ogni principio è l’esame della sua virtù ad attrarre e ad assimilare. Perchè il criterio sia generativo del sistema, bisogna che [p. 195 modifica]non sia universalissimo ed astratto, ma specialissimo e pieno. E la critica è efficace se fondasi sul medesimo cridar giudizio. Non c’è idee semplici: le idee che il volgo crede più semplici sono più avviluppate. Ogni idea è composta, poichè nell’unità s’asconde la pluralità. Non si possono assegnare i limiti della virtù d’una idea, perchè essi sono mobili e si muovono per cagione della virtù ripensativa. Le idee sono tutte comunicanti fra loro: e il porre in vista cotali comunicazioni è appunto ufficio della scienza. Non c’è quiete nelle idee e tutte si abbelliscono con mutui raggi. L’incentrarsi e lo scentrarsi degli elementi di una idea viene dal moto della mente, la quale è in continuo fare e le idee sono in continuo divenire. Le idee appajon molte e diverse, non perchè differiscano nella sostanza, essendo tutte quasi costellate dei medesimi elementi, ma per la giacitura e disposizione di essi elementi medesimi. Il moto della mente da un’idea ad un’altra non che una disposizione nuova che essa fa degli elementi della prima, e ciò che sembra un passare è un rifigurare che fa la mente, un rifare. Un ordinalnento di tutte le idee è un sistema; a nzi un sistema di sistemi, dacchè un’idea è già un sistema; e la mente come degli elementi di un’idea forma nuove idee, così delle medesime idee può formar nuovi sistemi. Ogni mutazione che avviene dentro un’idea è inizip d’una mutazione del sistema filosofico. C’è nelle idee una scintillazione simile a quelle- delle ’stelle,’ la’ quale è’ cagione di ripensamento: ripensare è porre a mano a mano nel centro gli elementi sparsi nella sfera ideale. Il ripensamento perfetto è il sistema filosofico, e ad esso si contrappone il nominalismo, ch’è nel vedere tutta l’efficacia dell’idea costretta dentro il nome suo. Gli uomini si accordano nella nomiziane; ma la concordia è apparente, poichè dura finchè l’idea è incarcerata nel segno, e immantinenti che se ne libera, la discordia comincia. I due estremi fra cui la mente s’impola sono l’idea vista come termine, e l’idea vista come relazione. A chi non ha facoltà speculativa l’idea pare fissa: ma essa muovesi di continuo, per virtù della mente. Come più velocemente l’idea termine si apre in relazioni, così più facce prende e sua potenza dimostra. L’idea come termine e l’idea aperta sono due membri di una equazione, dei quali il primo è incognito e il secondo è il valore suo. Gli uomini si intendono pigliando le idee come termini chiusi e fermi, ma quando le aprono e le fanno muovere, non s’intendono più. La prima potenza spiegata dall’intelletto è quella di nominare le cose; il nominare è inizio di sapere; la scienza perfetta è nominazione perfetta. La copia dei nomi che si dànno all’idea, è proporzionata alla copia dell’ingegno. Un’idea per sè non è chiara, e un’altra per sè neanche; ma fra loro messe in relazione, l’una si schiara di quello che prima era scurità dell’altra. Ciascuna idea ritrova sè nelle altre, e

s’abbuia se quelle s’abbuiano, e disparisce se quelle dispariscono, e se quelle risurgono ed essa risurge, e se quelle mandano fulgore ed essa rifulge. Se una idea è quella ch’è per il lume o per il moto che riceve dalle altre un’idea presa al tutto come termine non è intelligibile.. Se un termine si lascia intendere, è perchè ad esso viene come un vaporoso bagliore da idee lontane e nascoste. Ciò che in sè non riceve nè composizione nè divisione è meglio chiamare intelligibile; esso non è idea, ma ben attitudine a diventare idea. Gli intelligibili sono le idee come nudi termini, e le idee sono questi termini vestiti di relazione. Gli elementi dell’idea Fra la natura degli intelligibili e quella dei nomi c’è differenza, perchè l’intelligibile non significa lavorio alcuno mentale in atto, laddove il nome significa un lavorio mentale, ancorchè menomissimo. Una certa somiglianza è fra gli intelligibili e le radici di una lingua, essendo queste gli elementi primi in cui si scompongono le parole, e quelli essendo gli elementi primi in cui si scompongono le idee. In ogni idea c’è tre generi di elementi: il!antasma, la mente e il medio, sicchè l’idea può definirsi l’effetto di due fattori finiti congiunti da un fa:-..,re infinito. Il fantasma o mondo corporale opera su l’intelletto, e questo risponde a quello con atte suo proprio, che è l’intellezione, e da questo abbattimento delle loro possanze viene in luce l’idea Pzu-e che il fantasma non possa generare l’idea, il simile un dissimile: ma sparisce la difficoltà, se si pene mente alla natura del fantasma. Ogni cosa se e, ha una ragione per la quale è; anche ciò che ha corporale parvenza può e deve obbedire alla ragione; e la ragione nostra trovando in esso un vestigio di quella, vi ritrova in qualche modo un vestigio di sè medesima. Il fantasma è poi numero temporale, o spaziale ossia figura, la quale alla fantasia può parere palpabile, colorata, sonora, saporosa, odorifera, in virtù dei sensi che le somministrano i semi delle dette qualità. Il fantasma è rispetto alla sensazione ciò che esso medesimo è rispetto all’idea: la sensazione è sciolta, dissipata, quasi fuga di punti; il fantasma per contrario è in questi stessi punti, ma raccolti, congregati, ordinati, ridotti a unità di forma. Il fantasma non è una impressione nell’anima fatta dal sènso, ma è atto trasfigurativo che esce dall’anima e posa nel senso: è forma che impronta di sè il senso, quasi materia. In ogni idea è un fantasma sbiadito e colorito, vivo o mortificato, dimezzato o intero, ed anche in quelle idee che pajono astrattissime. In vero, tutto ciò che è astratto nelle lingue, prima fu concreto. I filosofi artisti si dilettano delle immagini e se ne giovano; perchè la idea, informata nell’immagine, si fa parvente, e sí muove e muove. Il fantasma è cagione di medesimezza e diversità nei pensieri degli uomini; difatti il moto nella sua indeterminatezza è l’eguale inizio dei [p. 196 modifica]fantasmi, e altresì eguale è il processo, onde quelli si determinano e si definiscono: diverse sono al contrario le figure, e variabile è il colore che queste ricevono dai sensi. Lo spirito è virtù trasfigurativa ed è trasfigurabile esso medesimo in quello che trasfigura; come persona che, in quel che converte la indocile materia in opera d’arte, converte sè in artista. E se fatto trasfi-• gurativo paragoniamo a una veste, ne viene che prima l’anima vesce l’impressione in sensazione, poi la sensazione in immagine, e poi l’immagine in concetto, e poi in giudizio, in raziocinio, in scienza, che è la più chiara veste, che essa dà al mondo. E quando l’anima ha rivestito il mondo di questa veste nuziale,.allora se lo sposa e l’ama cioè lo vuole, perchè perfetto volere segue al perfetto sapere. L’idea è intellezione e mente: e sodalizio di elementi unificati dalla mente nostra, come il mondo è sodalizio di ’elementi unificati dalla mente di Dio. Lo spirito, ricevendo la impressione, la trasforma, e poi ritrasforma quel che è già trasformato; e quanto più ritrasforma, più difformasi dal mondo esteriore, e l’essenza sua fa manifesta. I positivisti non hanno ragione di dire allo spirito: la virtù del tuo sigillo finisce qui; se sigilli più, l’opera tua è vana. Il mondo che si squaderna davanti a noi non è reale, ma fantastico: e noi continuamente ci moviamo in esso e guardiamo in esso, e per nessuna guisa vi si può profondare dentro la vista e trapassare in quello che è reale. Per la sensazione il mondo di fuori pre internarsi entro noi; e internato che si è per la fantasia pare tragittarsi di nuovo fuori. Ma io non posso percepire il corpo reale in sè, perchè tra quello e me c’è molti medi; e però quella che si chiama percezione del corpo è meglio chiamare percezione del fantasma. Ma il fantasma può essere che risponda alla cosa reale? Ora per affermare che la figura fantastica risponda a quella che è veramente, dovrei comparare, e non si fa comparazione con un solo termine. Inoltre, la stessa esperienza dice che il mondo che crediamo vedere è mondo fantastiCo. Ma non perchè siamo, viviamo, e ci muoviamo in un mondo fantastico, si deve dubitare se c’è o no un mondo esterno. Il mondo fantastico è in noi e ha per causa noi, ma noi non siamo causa unica, perchè quello ci si presenta e ci si nasconde con ordine, secondo che si pongono certe condizioni e si tolgono uniformemente. La natura corporale si continua nella natura spirituale; dall’una all’altra è un salire e scendere, la morte rompe la continuità; il mondo muore allo spirito, polche spogliasi delle parvenze che da lo spirito. La virtù di conoscere è infinita, perchè non può segnarsi un termine a nessuno dei tre elementi, l’assoluto, il fantasma e la mente, che si trovano in ogni concetto. La mente ideifica gli elementi intelli gibili, e dopo ideificatili li rideifica con più lavorio, ma non possiede in sè la ragione del suo ideificare; nè gli intelligibili hanno in sè la ragione che dà alla mente la virtù di ideificare e alle nascoste cose la

virtù di essere intellette e ideificate, e chiamasi intuizione la connessione della mente con l’assoluta ragione. La quale è innominabile, o, se si voglia dire in altra forma il nome suo è in ogni nome. Ora la chiarezza alla ragione o al principio non viene da nomi finiti in cui si scioglie, nè esce a noi cotanto lume dal suo interno che si possa fare senza nomi finito che le facciano da specchi. La mente, ad ogni atto e ad ogni forma sottopone l’altro, per legge; all’altro come elemento la mente può giungere per analogia e per indiretto, ma all’altro come principio essa va senza ambagi, dirittamente. E per qual ragione domanda dell’altro che è principio? Perciò che vede sè come faciente e come fatta, e vede il fantasma altresì come faciente sopra lei e come fatto da lei; e dimanda il fatto come possa fre; cioè uscire possa dal contrario suo, e le conviene rispondere che c’è un fare schietto, che rende ragione del fare stesso del fatto. Questo fare schietto e perfetto, definito in sè infinitamente è l’atto creativo in sè, è Dio. (Continua).