Il buon cuore - Anno XII, n. 10 - 8 marzo 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 10 - 8 marzo 1913 Religione

[p. 73 modifica]Educazione ed Istruzione


LE MAGICHE RIEVOCAZIONI DELLA STORIA


Come gli scavi ostiensi rimettono in luce

la vita economica di Roma antica



La Pontificia Accademia Romana di Archeologia bandì un concorso per lo studio migliore sugli scavi di Ostia, che assumono maggiore importanza per i nuovi fondi concessi dal Governo per interessamento del comitato nazionale pro Roma marittima. Prossimamente converranno, anzi, 800 archeologi da tutto il mondo per visitare gli scavi che hanno assunta tanta importanza.

Vincitore del concorso indetto dall’Accademia è stato il prof. L. Paschetto, di cui di recente è stato pubblicato lo studio sugli scavi ostiensi in una sontuosa edizione della stessa Accademia Romana.

Degli scavi e dell’importanza della iniziativa della Pontificia Accademia Romana di Archeologia si occupa nel suo ultimo fascicolo la rassegna Roma marittima in un articolo del suo direttore, avv. Emanuele Forgiane.

«Gli scavi di Ostia — scrive il Forgione — non avevano avuta sinora altra illustrazione se non quella di rare monografie, pregevolissime, tutte, e specialmente quelle del Borsari e del Vaglieri, ma unilaterali e inorganiche, perchè limitate ad una zona o ad una scoverta sola. Mancava l’opera completa, l’opera fondamentale, che, amorosamente illustrando il lavoro compiuto in quello che potremmo dire il primo periodo italico degli scavi, fosse anche una specie di schema ideale cui riferire tutte le monografie già pubblicate sopra i diversi argomenti.

Il bisogno di quest’opera era vivamente sentito dopo che la concessione di nuovi fondi agli scavi, chiesta e ottenuta dal nostro Comitato Nazionale, ha aperto un secondo periodo di maggiore attività e di carattere industriale, a seconda dei suggerimenti che dallo stesso Comitato furono dati al Ministero del Tesoro.

Fu dunque, ottima idea della «Pontificia Accademia Romana di Archeologia» quella di bandire un concorso fra gli studiosi per l’opera migliore sugli scavi già compiuti nel primo periodo: ottima, perchè solo dal mecenatismo intelligente di un’Accademia poteva esser promossa e pubblicata un’opera che, per essere degna dell’argomento, doveva costare fatiche di ricerche e di studi all’autore, risultare di gran mole e richiedere non lievi somme ad essere pubblicata in veste adatta. E bisogna riconoscere che l’Accademia Romana, pur di compiere cosa degna, non ha badato a spese, poichè il volume da essa pubblicato di recente, consta di circa seicento pagine infolio, ed ha sul frontespizio una bella e significatrice composizione dell’autore stesso del libro, il Paschetto, che allo sfondo del mare traversato da una galea romana, ha sovrapposta in primo piano la Vittoria ostiense; è infine nitidamente impresso, corredato di molte tavole ed illustrato da fotografie, piante, disegni delle maggiori opere rinvenute. [p. 74 modifica]Ludovico Paschetto, che ha vinto il concorso indetto dall’Accademia, e che abbiamo il piacere di annoverare fra i soci del nostro COmitato nazionale, ha saputo far opera paziente, organica, completa: non s’è tenuto a poche fonti, ma quasi tutte le ha consultate, così da offrirci con l’opera propria una bibliografia preziosa, diretta e indiretta, della plaga ostiense, della vita che vi fu vissuta e dei problemi che la, riguardano; ed ha saputo far cosa geniale, togliendo al suo volume tutto ciò che di arido e di grave hanno per solito gli studi di archeologia, e invece animandolo di quello che diremmo il sentimento della ricerca, il quale suscita e commuove dalle pietre fantasmi di umanità. Se è vero che Cuvier dallo stinco di un animale antidiluviano riuscisse a ricostruire l’animale, noi preferiremmo l’induzione ardita di lui alla pedanteria arida dell’archeologo di maniera, pur di avere vivol’e completo un fantasma di vita; ma Ludovico Paschetto è stato artista e storico, non lasciando che quello togliesse accuratezza alle ricerche di questo o entrambi negassero armi e tempo alla indagine sottile del critico: è stato dunque archeologo nel nostro miglior senso moderno, e non invano il Vaglieri ha scritto del libro, offrendolo al pubblico degli studiosi che esso era (un po’ suo figliuolo». E perchè solo agli studiosi? L’Accademia Pontificia non è certo un organismo editoriale; ma l’opera merita sia conosciuta dal pubblico, da quanta maggior parte del pubblico sia possibile, perchè a Ostia ed a Roma marittima la popolazione della città e di tanta parte d’Italia è ormai intensamente appassionata, e occorre meglio si appassioni: meglio, cioè con più chiara intelligenza del passato e dell’avvenire, la qual cosa potrà essere agevolata assai proprio dal libro di Ludovico Paschetto. Questi, infatti, nulla togliendo e nulla aggiungendo al valore delle opere che a mano a mano sono venute alla luce, e solo interpretandole ’in relazione fra loro, ci ha data la più ampia e documentata visione dell’emporio commerciale e dell’antica vita marinara dell’Urbe; ci ha detta la poesia e la forza delle origini, ed ha tanto offerto di positivo a chi legge che la fantasia agevolmente ne ricostruisce anche la poesia e la forza dell’avvenire. Ora una tale opera, in edizione commerciale, e magari ridotta da ciò Che sia più propriamente tecnico, dovrebbe correre facilmente per le mani del pubblico, e in diverse lingue, perchè il pubblico di Ostia è cosmopolita, com’è il pubblico di Roma.

La popolazione ostiense. Qual’era il pubblico di Ostia; come viveva; quali erano gli organi e le vie di quella rete fitta.di traffici che esso svolgeva sui mari a servizio di Roma! Nei suoi tempi migliori, Ostia dovè contare cinquantamila abitanti all’incirca; e questa popolazione doveva esser parte stabile, parte con residenza temporanea, parte con dimora temporanea, parte con dimora occasionale, come volevano il carattere stesso della città che era la porta e 16 sbocco di Roma sul mare. La popolazione stabile era costituita dagli impiegati e dagli operai delle varie industrie locali e degli organismi del traffico; dagli appaltatori, dai banchieri, dagli industriali stessi che dovevano costituire un’aristocrazia per censo, di primo grado, distinto da quella di operai e mercanti arricchiti. Queste aristocrazie del censo, che si esprimono appunto dagli organismi sociali in cui è intenso il Movimento della produzione e dello scambio, ebbero uomini che portarono la liberalità sino al fasto e beneficarono in ogni modo la cosa pubblica: Gneo Sentio Felice, per esempio, fu prodigo del suo con le corporazioni operaie e Publio Lucilio Gamala convitò parecchie volte la popolazione ostiense o buona parte di essa in cene e banchetti per migliaia di commensali, lastricò strade col suo denaro, sovvenzionò il Municipio per migliaia di sesterzi, eresse e restaurò templi„ completò gl’impianti dei pubblici mercati. Accanto alla popolazione stabile, era quella temporanea, e questa era oostituita dagli armatori di navi, dai mercanti, dagli approvvigionatori che dovevano necessariamente allontanarsi per alcun tempo da Ostia per correre i mari e incettare derrate sui mercati di produzione. E’ noto che Roma cercò di favorire in ogni modo — e sopra tutto mediante esenzioni dagli oneri di Stato — il commercio dei generi che più largamente occorrevano a rifornirla: così che gli approvvigionatori di olio, di vino e di frumento ebbero una preponderanza notevole nella vita economica dell’Urbe e forse anche nella vita politica di essa. V’era infine la popolazione con dimora occasionale; e questa era costituita da operai che immigravano verso Roma in cerca di lavoro, dai viaggiatori che transitavano da e per l’Urbe, dai villeggianti e dai romani stessi che si recavano ad Ostia frequentemente e facilmente, o a piedi o pel Tevere •o in quel rapido veicolo latino che era il cìsio. Questa frequenza dei cittadini di Roma sulla spiaggia ostiense è soprattutto notevole: essa era tale, che la stes [p. 75 modifica]che a Roma accorrevano per fruire delle distribu sa letteratura se ne avvalse Per una figurazione che voleva parer tratta da uno dei casi più frequenti della giornata: Cecilio, Ottavio e Minucio nel dialogo religioso di Ottavio si avviano ad Ostia, ed è sulla spiaggia che discutono i principi della nuova dottrina cristiana.. Notevole, pure, che la spiaggia ostiense era mèta di gite collettive, di «ottobrate», di cui, come pare, la tradizione è antichissima nel

zioni gratuite, e il costume stesso di Roma, che provvedeva a queste distribuzioni con grande larghezza iìer non turbare d’interni moti plebei l’ampliare della sua politica imperiale: si consideri che ai primi tempi di Cesare il numero di affamati che Roma nutriva con le distribuzioni gratuite instaurate da Clodio giungeva a trecentoventia-nila persone! Altro servizio pubblico era quello della posta fra Roma, Ostia e gli altri paesi del Mediterraneo: da Roma a Ostia correvano navi veloci pel fiume o velocissimi cisii per la via Ostiense; da Ostia agli altri porti, de 1Mediterraneo correvano apposite navi, che

popolo di Roma. Come vivevano gli ostiensi? Come vivevano gli ostiensi? Gran parte della giornata era dedicata ai negozi, cioè agli affari in genere. Ma v’erano ore pel raccoglimento religioso; per.ludi; per il pettegolezzo, al quale servitano i luoghi di ritrovo e specialmente le terme marittime; per i divertimenti e le feste. In alcune di queste paganità, quale intendiamo nel senso più comune della parola, cioè nel senso meno esatto, doveva spiegare tutti ì suoi fastigi e consentire tutte le licenie: ma tali feste erano rare, e accadevano per solito una volta all’anno, in maggio, allorchè primavera quasi imponeva darsi «con indulgenza ai godimenti». Divertimenti più comuni e più moderati erano quelli che si celebravano con carattere corporativo, di cui troviamo ancor viva la tradizione nel popolo romano di oggi c’era, per esempio, una Società di amici costituita col solo scopo di festeggiare in comune il natalizio di ciascuno dei membri. Sapete come quegli accorti ostiensi provvedevano alle spese dei festeggiamenti? Con gl’interessi del fondo sociale costituito per una volta tanto! Ove si prendano in esame gli statuti di numerosi «circoli di divertimento», aggregati alle diverse osterie suburbane della Roma di oggi, c’è da scommettere che i popolani nostri non siano giunti a tal punto di previdenza e di accorgimento, al quale erano giunti gli ostiensi di or sono venti secoli circa. Il Paschetto ci descrive anche i servizi pubblici di onere statale, che si svolgevano nell’antica Ostia, e che erano principalmente due: uno per la difesa militare e l’altro pel rifornimento di Roma. La difesa era affidata a soldati di terra e di mare, vigili e classiarii, e di questi specialmente sono tracce nelle caserme, poichè, come ogni milite che si rispetti ’,non lasciavano passare avvenimento d’interesse collettivo o individuale senza scalfirne le pareti con date e impressioni. L’annona, cioè il rifornimento dell’Urbe, non aveva minore importanza della difesa militare: si consideri l’enorme consumo ordinario della città, l’addensamento continuo di popolazioni affamate,

erano sempre pronte nel porto per addurre nelle provincie e nelle colonie i dispacci del governo. (Continua).

CARLO ROMUSSI Il Buon Cuore, che ha parlato tante volte di Romussi vivo, non può tacerne del tutto ora che è morto. E’ morto non nel modo che noi, credenti, avrem: mo desiderato e augurato, ma alcune dichiarazioni inaspettate fatte nel suo testamento hanno fatto sopra di noi una impressione di sollievo e quasi di speranza.

Romussi morto, ci parve migliore di Romussi vivo. In due circostanze princialmente il Buon Cuore ebbe parole roventi contro il Romussi: in una circostanza politica e in una circostanza religiosa. La politica riguarda il Monumento a Napoleone III, non messo nel luogo d’onore voluto dal debito di ’riconoscenza, dalla deliberazione del Consiglio comunale, dal voto dei più grandi personaggi italiani; la religiosa riguarda la campagna anticlericale sostenuta e alimentata dal Secolo nel processo del Sacerdote Riva, prendendo occasione di un discusso fatto individuale, per organizzare una guerra spietata contro la religione e il clero, che ebbe una dolorosa ripercussione in tutto il paese. La nostra condanna contro il Romussi fu così aperta, ch’egli incontrandoci un giorno sotto i portici dell’Istituto Pedagogico Forense, mostrandoci a dito fra •i molti convenuti, disse in tono scherzevole: ecco il maggior nemico che io ho in Milano. Nemico delle sue idee, sì, risposi; di lei, no. E ci stringemmo la mano. [p. 76 modifica]E la nostra convinzione è sempre stata, ed è ancora al presente, che l’opera del Romussi nel giornale Il Secolo, sia stata enormemente perniciosa. In questa disposizione d’animo si può ben credere che impressione favorevole ci facessero alcune parole del suo testamento., Credo in Dio, egli comincia: quanti di quelli del suo partito avrebbero il coraggio di una, professione così esplicita’ di fede in Dio, fatta in modo così spontaneo, reciso, solenne? Che il Romussi non fosse ateo potevamo supporlo: ma in un momento in cui molti ostentano di esserlo, in un momento in cui il nome di Dio’ si vuol proscrivere dai libri e dalla scuola, confessiamo che quella frase così netta: Credo in Dio! ci ha fatto una ben grata impressione. Non sarà il Dio, colla formola precisa e completa del Catechismo, ma è l’affermazione dell’esistenza di Dio, e questa affermazione fondamentale quante altre importanti affermazioni suppone e contiene! E un’altra affermazione viene fatta: la fede nell’immortalità dell’anima. Ammette la possibilità che possa essere stata un’illusione, ma benedice quell’illusione ’che ha formata la forza e la speranza della sua vita. Non è la vita eterna affermata, ma è la vita eterna sperata. E quando dopo morte avrà trovato che questa vita futura è una realtà, non si può dire che sia stata per lui una realtà anche nella vita presente? Non ha voluto che i preti lo accompagnassero alla tomba: ha però soggiunto subito che ciò faceva non per disprezzo dei Sacerdoti, dei quali molti conobbe degni di stima e di rispetto. L’avere poi acconsentito che Sua Eminenza gli facesse visita mentre era aggravato, vincendo il rispetto.umano dei giudizi sfavorevoli che molti de’ suoi compagni di partito potevano sollevare, è anche questa una disposizione d’animo e un atto altamente commendevoli. La ragione che adduce di non volere preti perchè cercatore di verità non vuole accettare nessuna religione rivelata, è un pregiudizio pur troppo comune ad altri; difficile a sostenersi quando si dica sem2 plicemente: e se la religione rivelata fosse la verità? non sareste obbligati ad accettarla per la ragione da voi stessi addotta per respingerla? Con queste osservazioni noi ci guardiamo bene dal tirar la conseguenza che Romussi sia morto colla fede vera e completa: però non si va al molino senza infarinarsi. Questi frequenti contatti dell’anima sua con molti punti della fede, col lavoro segreto e misterioso della grazia di Dio sulle anime, ci aprono degli spiragli a vedere orizzonti non totalmente oscuri,

Una ragione indiretta di speranza la troviamo che in un altro fatto. Rornussi era molto amante delle tradizioni storiche religiose di Milano. Anche nei momenti nei quali il Secolo aveva una intonazione apertamente irreligiosa, in occasione di qualche festa religiosa tradizionale, si vedevano comparire articoli in capo alla cronaca, inspirati a un senso così aperto di religione, da edificare e da commuovere. Erano articoli di Romussi. Questa fede che appariva, non si può dire: era nello scritto perchè un po’ era anche nel cuore? Per molti anni fu nel numero degli amministratori del Duomo: del Duomo egli era entusiasta. Il Duomo è opera eminentemente storica e artistica, ma è anche opera simultaneamente religiosa, e quanto religiosa! Sulla più alta aguglia del Duomo troneggia la Statua della Madonna: è delitto il pensare che la Madonna, madre di misericordia, vedendo chi era tanto amante del decoro della sua casa e della casa di suo Figlio, dicesse al Figlio una di quelle paiole che sa dire, chi è salutata la supplice onnipotente? L. VITALI.