Il buon cuore - Anno X, n. 09 - 25 febbraio 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 6 giugno 2022 100% Da definire

Il buon cuore - Anno X, n. 09 - 25 febbraio 1911 Religione

[p. 65 modifica]Educazione ed Istruzione


IL VICARIO APOSTOLICO DELL’ERITREA


Conferenza dell’On. Nava


Dopo la morte di Padre Michele da Carbonara, prefetto apostolico dell’Eritrea, radiosa figura di frate e di patriota, gli interessi religiosi della nostra colonia ridivennero tema di attualità; e furono discussi specialmente nelle alte sfere governative ed ecclesiastiche. Pio X che con tenerissimo amor patrio si interessa dei nostri connazionali emigrati all’estero, si occupava con affettuosa sollecitudine dei molteplici problemi che si riannodano alla vita religiosa eritrea e innalzava quella prefettura al grado di vicariato apostolico, nominando vicario il padre Camillo Carrara da Albino, provinciale dei cappuccini lombardi.

La notizia è stata accolta con giubilo in Milano e in tutta la Lombardia, dove i buoni cappuccini godono tante simpatie. Lo zelo ed il pattriottismo di questi figli di San Francesco sono per l’Italia lieto auspicio di un brillante avvenire dei nostri possedimenti africani.

Padre Camillo, primo vicario apostolico della Eritrea, è un abile e sagace organizzatore e quindi uomo di governo. Egli che da un quinquennio regge con plauso la provincia cappuccina lombarda e che visitatore generale delle missioni Nord del Brasile da lui percorse, colla parola, il consiglio e l’esempio suscitava nuove energie, collegava preziose attività, rendeva più dolce ai confratelli immane lotta contro la ignoranza, la corruzione e la barbarie, nell’Eritrea saprà tener alto il prestigio dell’ordine a cui appartiene, e che conta tante gloriose tradizioni, saprà compiere l’opera iniziata dall’indimenticabile padre Michele da Carbonara.

La cerimonia della consacrazione di S. E. Mons. Camillo Carrara avrà luogo domenica (26), alle ore 9, nel magnifico tempio in Viale Monforte.

Vescovi consacrandi saranno S. Em. il Cardinal Ferrari, mons. Radini Tedeschi vescovo di Bergamo e mons. Tei dell’Ordine dei M. Cappuccini, vescovo di Pesaro, già predicatore apostolico.

Per la fausta occasione si pubblicherà un numero unico.

Martedì (28) nel Salone dei Ciechi, alle ore 15, l’on. Cesare Nava, coll’ intervento del Vicario Apostolico e delle autorità civili, militari ed ecclesiastiche, terrà una conferenza d’occasione.

A compimento di queste notizie, pubblichiamo la seguente circolare diramata dal nobile cav. Carlo Bassi, Presidente Generale dell’Associazione Nazionale per soccorrere i Missionari Italiani.

«Egregio Socio,

«Domenica 26 corrente, alle ore 9, nella Chiesa dei RR. Cappuccini in Viale Monforte 2, avrà luogo la solenne consacrazione episcopale del Rev.mo P. Camillo da Albino, dalla Santità di Papa Pio X eletto Vicario Apostolico dell’Eritrea.

«Martedì 28 corrente, alle ore 15, nel Salone dei Ciechi in Via Vivaio, l’on. Cesare Nava Deputato al Parlamento, commenterà il faustissimo evento. Non mancherà il concorso musicale di quel rinomato Istituto.

«Mentre la elevazione a Vicariato Apostolico della Prefettura Eritrea manifesta e segnala la paterna considerazione del Santo Padre per quella nostra Colonia, il consentito affidamento della Missione ai RR. Cappuccini della Provincia Lombarda, non può a meno di eccitare l’interessamento e lo zelo del Comitato Regionale Lombardo e dei Soci ad esso ascritti. Quindi è che nel segnalare alla S. V. il sacro rito e le onoranze predisposte, io nutro fiducia che ella non mancherà di parteciparvi.

Il Presidente Generale

«Carlo Bassi


[p. 66 modifica]

PROPAGANDA FEMMINILE

Non temete che vi parli ancora delle a «suffragettes». Ho giurato a me stesso di non toccar più questo argomento sino al giorno in cui aprendo un giornale inglese, mi avverrà di non trovare alcun cenno che le riguardi. Finchè, dunque, parleranno loro, tacerò io. Vendetta terribile, come vedete, che spaventerà, senza dubbio, le mie amabilissime lettrici, ma che, a rifletterci un pochino, può anche trovare la sua ragione d’essere in una norma elementarissima di buona creanza. Vi permettereste voi, in una conversazione privata di interrompere un discorso corrente per cacciarvi dentro la punta del vostro naso inquisitore? Lo stesso mi sembra, deve seguirsi trattandosi di una conversazione pubblica. Aspettiamo che le signore «suffragettes» si decidano anche solo alla tregua d’un respiro. E allora parleremo noi....

Del resto, ciò che le «suffragettes» vogliono e ciò che fanno vi è già troppo noto perchè io senta proprio ora il bisogno di ripetervelo e voi possiate, in qualche modo aver interesse a sentirvelo raccontar di nuovo. Parliamo piuttosto delle “altre” donne, delle donne in generale, che non hanno, d’altronde, minor ragione d’esser lasciate in disparte, specialmente in questo periodo elettorale che rivela, in modo mirabile, tutte le mirabili doti della loro attività.

Poichè voi sapete come uno dei tratti più caratteristici della vita politica inglese sia appunto questa parte considerevole che vi prendono le donne. Nel caso particolare, trattandosi cioè di elezioni, questa operosità femminile ha poi assunto un nome a sè, un nome che è tutto un programma e che ha una eloquenza tutta speciale per gli inglesi: «canvassing».

Veramente — vedi fortuna delle parole! — questo verbo «canvassing» aveva una volta un significato parte vergognoso e parte equivoco: voleva dire sollecitare e, magari, brigare. Adesso si potrebbe invece tradurlo così: adempiere i propri doveri di cittadini.

Parole e frasi, da oneste diventano disoneste, e viceversa, col mutare dei costumi e il nascere di nuovi soggetti cui sono applicate. Il barone Manno scrisse su questa varia fortuna delle parole un volume dotto insieme e divertente, ma che è stato dimenticato perchè il lettore innocente non ha alcun motivo per immaginare che anche un filologo possa, per mero caso, non essere un seccatore. L’obliato filologo italiano avrebbe dunque scritto un saporoso capitolo sul vocabolo in questione, che un tempo suscitava l’immagine di uno stuolo di postulanti, di clienti, di seccatori e che ora dice il nobile atto del cittadino che sceglie i governanti del suo paese. E questo in Inghilterra, il paese classico dell’elettorato!

Ma in filologia — dicono — un perchè c’è sempre. E se si pensi che in Inghilterra, una elezione è, per tre quarti, opera dell’attività femminile, apparirà chiaro il perchè un vocabolo, che significava sollecitazione e intrigo, sia arrivato ora ad esprimere la funzione elettorale....

Del resto non è a credersi che il «canvassing» sia la cosa più facile e divertente di questo mondo. Tutt’altro. Una delle più grandi dame della società londinese, Mrs Alfred Mond, moglie ad uno dei più eminenti parlamentari, ebbe a dichiarare recentemente in una intervista, che «le principali qualità di una donna che voglia prender parte attiva ai movimento politico debbono essere: fascino, tatto, discrezione e quel savoir faire tutto proprio di una donna ospitale». Il che implica, naturalmente, anche il dono della mnemonica individuale, dell’eloquenza facile e persuasiva, del buon gusto nell’abbigliamento in relazione, benintesa, ai diversi ambienti e alle diverse occasioni. Nel periodo attuale, per esempio, il problema della toilette per una signora che pratichi il «canvassing» a favore della causa liberale, non deve esser certo privo di difficoltà. Essa ha da trovare il modo più acconcio per non urtare la suscettibilità tanto dei vecchi radicali del collegio come delle persone della così detta «classe media» mentre ha pur da tentare di entrar nelle buone grazie delle classi operaie.

È vero che il compito riesce facilitato dal fatto che molti dei problemi — pratici — su cui le elezioni s’imperniano — la questione finanziaria, il benessere della comunità, i rispettivi meriti del Free Trade o del Protezionismo — hanno, per comune consenso, una particolare accessibilità allo spirito e all’interesse femminili; così, che, ad esempio, la donna che si schieri a favore del a buon mercato a dei viveri, degli indumenti e degli altri elementi di prima necessità, si trova già circondata da un’atmosfera di simpatia fra quelle classi operaie dove si rechi a portare il verbo del partito che ha concesso al popolo le «pensioni per la vecchiaia».

Tuttavia, ripeto, a malgrado di qualche comico incidente e di qualche sprazzo di genialità, che rivela, a volte, con un gesto solo, tutta la profonda intuizione d’un popolo, le attrattive del «canvassing» femminile non sono, generalmente, seducenti.

Il percorrere, in certi giorni, palmo a palmo, certe vie sudicie e anguste sotto la pioggia o il vento in mezzo al fango o alla neve, bussando a ogni porta nella speranza, spesso vana, di un’accoglienza benevola, tramuta sovente anche il più vivo entusiasmo in un senso faticoso di scoraggiamento morale. Si sente troppo bene, in fondo, che non si ha diritto di invadere le case di tutti questi ignoti che hanno, ciascuno le proprie cure, le loro proprie occupazioni cui attendere e che non sono poi da considerarsi scortesie soverchie certi rifiuti, certe accoglienze gelide, certi inviti a «badare ai fatti nostri».

Pure le donne inglesi che praticano il «canvassing» offrono una prova mirabile di pertinacia e di volontà: difficilmente voi le troverete, anche dopo le prove più ardue, scoraggiate o disilluse; qualunque sia la causa che sostengono, la loro fede non tituba, non piega, non s’indebolisce; anche sconfitte, non cedono.

Il fondo pratico della loro natura le salvaguarda, del resto, dall’abbandonarsi a sostener cause troppo in contrasto con l’interesse generale, che è, in fondo, il [p. 67 modifica]loro stesso interesse. Le ultime elezioni municipali, ad, esempio, che hanno spazzato via tutte le fisime di coloro che s’illudevano di ammorbare di socialismo anche l’Inghilterra, sono dovute, in massima parte, alle donne di Londra. Onore a loro! Esse hanno dato prova di tenacia, di attività, di pazienza che un uomo può attingere soltanto nel caso in cui il suo cervello alberghi in qualche angolo il piccolo demone d’una mania. Ogni elettore è stato preso d’assalto; ogni casa è stata cinta d’assedio di queste amazzoni moderne. Quando l’elettore mostravasi restio, ritornavano cinque o sei volte per convincerlo: quando si lasciava conquistare al primo incontro, ritornavano egualmente per persuaderlo a influire sul suo domestico, sul garzone del lattaio, sul portiere, sul padrone di casa, sul tabaccaio dirimpetto.

Nell’ultima settimana tutti i salotti si sono chiusi come salotti, ma sono rimasti aperti dall’alba alla notte succursali di comitati elettorali. Quale argomento per la malignità satirica di un Bernard Shaw! Persino nei music-halls, le dive e le divette si facevano sostituire dalle primarie e dalle sottocomprimarie e partivano verso i punti estremi della città in un’automobile carica di opuscoli e di manifesti.

Si sono visti fatti memorabili. Un gruppo di mogli d’avvocati, invase da un sovrumano spirito di sacrifizio, ha deliberato che ciascuna che ne facesse parte dovesse devolvere alla buona causa il venti per cento della somma fissata per il rinnovamento di stagione della toilette.

Quanto alla Peeress, hanno perseverato nella loro tradizione, che è d’invadere i quartieri più infetti della capitale, dalla sinistra Whitechapel alla viscida Battersea, e colà hanno sbaciucchiato i marmocchi più mocciosi e hanno discusso energicamente con le più aruffate mènadi del mercato e del cortile, appellandole «milady». Tutte queste signore — duchesse, attrici o borghesi — sono di solito le donne più rigorose del mondo in fatto di protocollo e di etichetta: se non avete avuto l’onore di esser stato presentato, non vi consiglierei di rivolger loro la parola nè anche per avvisarle che un fiammifero acceso è caduto su la loro gonna. Ma in tempo di elezioni, le vedete bussare con serena insistenza alla porta di casa vostra ed entrare con l’aria del fratello di latte che non ha bisogno di essere annunziato. Forse, alla terza volta che la domestica avrà ripetuto che siete a letto, sforzeranno senz’altro, l’uscio della vostra camera da letto.

È una vera e propria ossessione: l’ossessione bionda. Questo ardore femminile per le cose della politica farà sorridere i lettori italiani! Ma i lettori italiani avranno torto. Essi vorranno trasportar la scena nel nostro paese ed imaginar le nostre care signore, che sovente (siamo galanti) non hanno esercitato l’intelletto che alle conferenze dantesche e sui romanzi d’appendice, imaginarle, dico, in giro per la città a spargere il verbo della nostra politica che è incomprensibile anche a coloro che ci vivon sopra, tanto è oscuro retorico e vano. Bisogna invece raffigurarsi che sia la politica inglese e chi sia la donna inglese. La politica inglese è — non lo ripeteremo mai abbastanza — accessibile a qualunque cervello ben costrutto anche se non è stato martoriato alle discipline di nessuna scuola. E la donna inglese non è, di solito, nè un manichino da modista nè un manichino intellettuale: è moglie, madre, figlia, sorella di uomini che intendono tutto ciò che è serio, pratico, utile, positivo; e però nulla che sia positivo, utile, pratico, serio le è straniero.

Le campagne elettorali inglesi si basano sempre — e sopratutto — su di un fondo pratico di interessi. Ora anche una donna, che non abbia proprio il cervello d’un colibri, può benissimo comprendere che cosa sia sperpero e che cosa sia risparmio, e può bene propugnare una buona amministrazione contro una cattiva. Una donna può essere un ottimo commerciante, ma è sempre un pessimo filosofo ed è quasi impossibile che acquisti la nozione del diritto.

Ora, siccome in Italia la politica è soprattutto materia giuridica e filosofica, è logico che la gente sennata rida di quelli che vogliono far votare le nostre signore. Ma non c’è proprio di che ridere se si tratta di far votare le signore inglesi. Qual meraviglia, infatti si può ostentare di fronte all’aspirazione di coloro che, pur senza diritto di voto, già si dimostran arbitre delle campagne elettorali e, in attesa di maturare il proprio, danno intanto così gran parte del loro tempo, della loro intelligenza, delle loro forze all’ingrato compito di educare e di dirigere il voto degli altri?

Rodolfo Rampoldi.


Perchè la signora Laura non andò al Veglione

La giovane, bionda signora, si era soffermata nel cortile, per accarezzare il bimbo rachitico della portinaia, aveva salito le scale, di corsa, ed al: «Buon giorno, signorina» dettole dal vecchio domestico (nella casa paterna le persone di servizio la chiamavano ancora tutte signorina) aveva risposto con un lieto saluto cordiale, aggiungendo: «La mamma è fuori, lo so: vado dalla nonna». «Donna Clara è nel suo studietto» ed il domestico, conoscendo le abitudini semplici della signora Laura, l’aveva lasciata, senza precederla attraverso i salotti e senza annunciarla. «Buon giorno, nonnetta: vengo con un sacco di novità! «E di piccole maldicenze spiritose, eh?» a aveva risposto una voce maschile, dalla intonazione dolcissima, malgrado la lieve sfumatura canzonatoria. «Oh, Don Pietro! lei qui a quest’ora? Che miracolo!» «Piccina» aveva risposto Donna Clara, dopo aver reso alla nipote preferita un grosso bacio «quando c’è di mezzo qualche miseria straordinaria, Don Pietro si ricorda dei vecchi amici». «Posso aiutare anch’io?» «No: per stavolta abbiamo già combinato tutto fra di noi. Piuttosto raccontaci le tue famose novità.» «Incomincio dalla più stupefacente, anche a costo di scandolezzare Don Pietro.... Domani sera vado al Veglione della Scala: sono [p. 68 modifica]riuscita a far cambiare di parere quel caro orsacchiotto di mio marito! Prima di dare la risposta definitiva alla mia cognatina — è lei che mi ha indotta in tentazione — ho voluto venire da te, nonnetta bella!» «E sei proprio tu, Laura, che desideri di andare al Veglione?» «Sì, proprio io, Don Pietro. Che male c’è?» e la voce musicale era, adesso, guastata da una inflessione insolita,.... un non so che fra l’aggressivo ed il ribelle. «Ecco, di male, proprio di gran male, non ci sarebbe nulla; ma è un desiderio così strano in te, mia figliola.» «O che non c’è stato mai, lei, al Veglione?» E il fresco visino capriccioso si era rivolto al vecchio prete, con una piccola aria di sfida.» «Veramente, non ho esperienza personale in proposito; ma, viceversa, conosco te da un pezzo: e sono sicurissimo che non ti divertirai.» Donna Clara, molto indulgente, molto prudente, trovava, dentro di sè, che Don Pietro mancava, per lo meno, di tatto: e, per evitare una schermaglietta ad armi corte (era così battagliera, così gelosa della propria indipendenza, la sua piccina!) si mise a parlare, con disinvoltura voluta del più e del meno: ma la giovane sposa era diventata nervosa e non rispondeva più a tono: anzi si alzò di scatto, e prese bruscamente congedo, un po’ in collera con Don Pietro, che s’era permesso di darle un consiglio non richiesto: ecco, un consiglio, nel senso stretto della parola non si poteva dire: ....era qualcosa di peggio, forse.... Gran mania hanno certuni di ficcare il naso nelle faccende altrui! Dopo tutto, che cosa importava a lei, il parere di Don Pietro? Niente. Tanto è vero che il: «Da mia cognata» detto al cocchiere, mentre saliva in carrozza, aveva un suono insolitamente duro ed imperioso; come se, questa, fosse la risposta pratica alla osservazione di poco prima.

La giornata era bellissima: la signora Laura abbassò un vetro, e si mise a guardare, macchinalmente, nelle vie: alcune maschere, rumorose e grottesche, sulle quali aveva posato gli occhi, l’avevano disgustata per la loro volgarità; subito, e senza volerlo, corse col pensiero alla festa cui intendeva intervenire l’indomani: ed ebbe come il vago presentimento di volgarità, infinitamente più sguaiate, che l’avrebbero forse ferita alla Scala, dopo cena. Che importava? Non sarebbe scesa in Platea: sarebbe rimasta, quieta e tranquilla, nel suo palco, ad osservare.

La carrozza, adesso, passava da San...., la chiesa ove, abitualmente, faceva la sua visita giornaliera la signora Laura, quando andava dalla cognata. Il cocchiere si fermò, come di consueto; sebbene la signora, quel giorno non pensasse proprio alla chiesa. Entrò, molto annoiata, molto distratta, assai meravigliata di trovare tanta gente e, sull’altare — fra una gloria di lumi — esposta l’Ostia Santa: domandò allo scaccino, che le aveva portato le sedie, che festa si celebrasse; e si sentì rispondere che si trattava di un Triduo di riparazione per gli ultimi giorni di carnevale, e che, a momenti, ci sarebbe stata la predica.... Come poi, la signora Laura, si fosse decisa a rimanere, non lo avrebbe potuto ridire neppure lei stessa!

Il tempio — uno dei più noti e dei più frequentati della città — colla sua penombra mistica, incominciava ad esercitare l’ufficio di calmante, sopra i sentimenti, un pochino eccitati, della giovane signora, di solito assai poco mondana per natura: l’anima sua, cristiana nel profondo, era obbligata, ora, a riflettere su quel riparazione, dettole, con indifferenza, dall’inserviente della chiesa.... Ed era ancora raccolta nell’intima meditazione, che si andava gradatamente trasformando in un inconscio e tacito aspirare verso il prendere una risoluzione degna dell’ora e del luogo, quando fu scossa dalla voce del predicatore. L’istintivo senso musicale della signora Laura, rimase quasi offeso, a tutta prima, dal suono un po’ nasale, spesso stridulo che le perveniva dal pulpito; ma, in seguito, le fu impossibile non sentirsi come trascinata da parole, che non erano le solite condite di rettorica stantia, delle quali abusano, troppo spesso, certi oratori, specie nelle predicazioni di circostanza. Era un’anima unita a Dio, che di Dio e del suo amore parlava degnamente, quasi volesse trasfondere negli uditori i tesori di una esperienza interiore, la quale diventava luce, calore e vita: mai, mai, la giovane donna aveva udito prima parlare in tal modo del Mistero Eucaristico!.... E ora, come un monito ed un incoraggiamento, sentiva annunciare: «In questi ultimi giorni di Carnevale, non i cristiani ferventi ma molti cristiani, dimenticano Dio, la finalità della vita e sè stessi....» e le pareva che l’osservazione fosse rivolta a lei, proprio a lei individualmente. E, infatti, che razza di cristiana era stata finora, malgrado i suoi periodici atti di culto e i Sacramenti ricevuti? Quando mai aveva pensato che «fare la Comunione vuol dire andare a morire con Cristo?» A che cosa era morta, lei? A quale soddisfazione, sia pure fra le più lecite, aveva saputo rinunciare, per amore? E la voce, dall’alto, ammoniva ancora: «È una grande umiliazione, dimenticare la dignità umana, lasciare che predomini la parte di noi che dovrebbe ubbidire!... E quanti, in quest’epoca di dissipazione, si permettono ciò che, in altri tempi, provocherebbe il loro disgusto, colla scusa, tanto fallace, quanto comodissima, del semel in anno licet insanire!.... Per attestare, dunque, che non siamo del mondo, per reagire contro la seduzione dei sensi e delle cose esteriori, andiamo a Gesù, pane dei forti: andiamo a Lui, che ha il segreto di attrarre a sè i cuori, a Lui che ha parole di vita, ieri, oggi, e nei secoli!...»

Andiamo a Lui! — Come poteva l’anima, lealissima, della signora Laura, pensare ad una prossima Comunione, colla mente ancora ingombra dalle futili preoccupazioni del Veglione, della cena, del domino da scegliere per la circostanza?!... E, nell’ora solenne del rendiconto finale, a che le avrebbe giovato sapere precisamente ciò che si faccia ad un Veglione?

Il tempo scorreva rapido, senza che la bella, elegante signora inginocchiata se ne rendesse conto, così come accade sempre nelle ore decisive della vita: era troppo assorta in pensieri ed in dubbiezze, che dovevano assomigliare assai da vicino ad un’ardente preghiera, o, meglio, ad un grido supremo che l’anima emettesse, davanti al suo Dio, implorando forza ed aiuto.

[p. 69 modifica]— E, quando uscì dalla Chiesa, rasserenata e decisa, pensava con cuore leggiero, alla grata sorpresa che avrebbe procurato al marito, confidandogli la spontanea rinuncia al famosissimo Veglione, pregustava la serata buona che avrebbe, invece, passato co’ suoi cari.... si andava apparecchiando alla Comunione del giorno dopo (voleva riparare un po’ anche lei ora!) e che intendeva ricevere con sinceri propositi di rinnovamento interiore.

Ma, c’era un grosso guaio!... Come avrebbe arguta. mente sorriso, Don Pietro! E se avesse, per di più, attribuito alle proprie parole, alla propria influenza la risoluzione finale?... Povera Laura, che naufragio umiliante pel suo orgoglio di donna! Manco male che, rientrando nella sua dolce casa ridente, aveva già concluso: «Ebbene dirò a Don Pietro, proprio per la prima cosa: Sa? Lei aveva ragione. Al veglione, per quest’anno, non ci vado: anzi.... forse.... forse.... non ci andrò mai più!»

Spes.