Il buon cuore - Anno X, n. 08 - 18 febbraio 1911/Religione
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Religione
Vangelo della domenica di Sessagesima
Testo del Vangelo.
Il Signore Gesù narrò alle turbe e ai suoi discepoli questa parabola: Ecco che un seminatore andò per seminare. E mentre egli spargeva il seme, cadde parte lungo la strada; e sopraggiunsero gli uccelli dell’aria e lo mangiarono. Parte cadde in luoghi sassosi, ove non aveva molta terra; e subito spuntò fuora, perchè non aveva profondità di terreno; ma levossi il sole, la infuocò: e per non aver radice, seccò. Un’altra parte cadde tra le spine; e crebber le spine e lo soffocarono. Un’altra finalmente cadde sopra una buona terra e fruttificò, dove cento per uno, dove sessanta, dove trenta. E accostatisi i suoi discepoli, gli dissero: Per qual motivo parli tu ad essi per via di parabole? Ed ei rispondendo, disse loro: Perchè a voi è concesso di intendere i misteri del regno dei cieli: ma ad essi ciò non è stato concesso. Imperocchè a chi ha, sarà dato, e sarà nell’abbondanza: ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro per vie di parabole, perché vedendo non vedono, e udendo non odono, nè intendono. E compiesi in essi, la profezia d’Isaia, che dice: Udirete colle vostre orecchie, e non intenderete; e mirerete coi vostri occhi, e non vedrete. Imperocchè questo popolo ha un cuor crasso, ed è duro d’orecchie, ed ha chiusi gli occhi, affinché a sorte non veggano cogli occhi, nè odano colle orecchie, nè comprendano col cuore, onde si convertano, ed io li risani. Ma beati sono i vostri occhi, che vedono, e i vostri orecchi, che odono. Imperocchè vi dico in verità, che molti profeti e molti giusti desiderarono di veder quello che voi vedete, e non lo videro, e di udire quello che voi udite, e non lo udirono. Voi pertanto ascoltate la parabola del seminatore. Chiunque ode la parola del regno e non intende, viene il tristo e rapisce ciò che fu seminato nel suo cuore; questi è colui che ha seminato lungo la via. Colui che ha seminato lungo un terreno sassoso è quegli che ode la parola e subito la riceve con gaudio; non ha poi radice in sè, perchè è temporale. Suscitatasi una tribolazione od una persecuzione per la parola, subito si scandolezza. Colui che ha seminato fra le spine è quegli che accolta la parola, e la sollecitudine di questo secolo e la fallacia delle ricchezze la soffoca e rimane senza frutto. Colui che ha seminato in buon terreno è quegli che ascolta la parola, l’intende, fa frutto e rende dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.
S. MATTEO, cap 13.
Pensieri.
«Ad essi non è stato concesso intendere i misteri del regno de’ Cieli».
È la frase che i discepoli ebbero in risposta da Gesù quando gli chiesero perchè parlava sempre in parabole. Coloro ai quali non è dato d’intendere vedono, odono ciò che tutti odono e vedono e non comprendono, non penetrano la parola udita, il fatto veduto. La cosa è terribile, l’avvenimento solenne: e non è cosa, non è avvenimento da relegar nel passato intorno alla persona di Gesù: è cosa, è fatto che si ripete ne’ secoli, che si riproduce anche intorno a noi, forse, tremiamo, forse anche in noi!
Vedevan la vita vissuta di Cristo i suoi contemporanei, ma mentre alcuni ne resti vano presi, affascinati, altri indifferenti, altri, ancora, per quella manifestazione unica appunto, s’armavano contro di Lui!
L’insensibilità del cuore, la passione, l’interesse chiudevano occhi e orecchi a questi sventurati.... e nel meriggio, restavano avvolti nelle tenebre.
La parola di Cristo li raggiungeva, ma essi ne prendevan fastidio, ne mormoravano, la dicevano empia e bestemmiatrice! Perchè tali esiti contrari da un’unica manifestazione? Perchè questo si converte e l’altro si perverte o dura nell’errore? Perchè?
È un mistero della sapienza divina! È un segreto di provvidenza, ma che ci sovrasta come una minaccia.... E concesso a noi udire e comprendere la parola divina? Seguiamo noi le chiamate interiori? Siam docili alle voci che ci rivelano la verità?
Apriamo il cuor nostro alla vita spirituale, quando ce ne giungon le vibrazioni più forti; quelle che emanan dai santi, o ci irrigidiamo in un formalismo piccino, in un’arida consuetudine?
Vogliamo cercar di indagare se a noi è o non è concesso intendere i misteri del regno de’ cieli?
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A suoi discepoli, Gesù li assicura, è concessa la comprensione mirabile e, per questo, li chiama beati. Si, beati nonostante ogni cosa terrena a loro avversa, nonostante il martirio che parecchi di essi dureranno! La beatitudine interiore pare sia il segno della comprensione, dunque.
La parola divina è austera e profonda e, a volte, si può credere di possederla, e questa credenza essere un’illusione, e allora? Ma il momento di accertarci del grado della nostra comprensione dei misteri celesti viene, viene per tutti! Dio è il Padre nostro: come ci adagiamo in questa testimonianza di Cristo e come ne siamo beati, sicuri.... mentre tutto va secondo i nostri desideri e le nostre speranze.
Ma quando vien la sventura, il dolore, la separazione, la morte, godiamo ancora, sentiamo ancora, viva, riposante, consolatrice la divina paternità? Se no, penso sia perchè la nostra comprensione del Vangelo era deficiente, era troppo bassa, limitata, perchè noi credevamo capire, ma non capivamo. Se sì, se quando rugge la bufera noi restiam calmi e sicuri e fidenti oh, allora, in questa pace noi abbiamo la testimonianza d’aver inteso i misteri del regno de’ cieli, di pregustarne la beatitudine! Aver inteso i misteri del regno de’ cieli vuol dire giudicare e apprezzare le cose tutte e gli avvenimenti non secondo la natura, ma secondo lo spirito.
Esaminiamo la nostra coscienza e vediamo se siamo fra chi comprende o fra chi, non comprende.
⁂
Il comprendere però è un dono: lo dice chiaro il Vangelo, parlando di cosa concessa e di cosa non concessa.
Noi falseremmo lo spirito evangelico se ci atteggiassimo a una passiva aspettazione di luce o ci rassegnassimo a esserne privi.
Dio, che chiede la confessione della nostra impotenza, l’umile riconoscimento della nostra miseria, non ci dispensa però, anzi domanda lo sforzo nostro personale per disporci ad avere i suoi doni.
Non è una recezione passiva che si deve attuare dal canto nostro ma una ricerca costante, ininterrotta, sincera. Invocando e attendendo, dobbiam lottare per raggiungere, per avere.
Sia degna e pura la nostra vita, sia sincero il nostro desiderio del bene: risponda a verità, a intimo sospiro del cuore, la richiesta di comprendere e accogliere la parola divina e, per ciò, siam vigili e attenti per non lasciarla risonare invano accanto a noi.
Purifichiamo il cuor nostro da ogni pregiudizio, da ogni antipatia, temiamo sempre, per la nostra limitazione, di non comprendere o di non comprendere interamente le parole con cui Dio ci parla.
Noi ci mettiamo nella luce migliore per ammirare un bel quadro e, a un concerto, cerchiamo i posti ove l’audizione è più perfetta; mettiamoci anche nello stato morale richiesto per udire la parola di Dio.
Dio, vedendo la nostra volontà e i nostri sforzi buoni, ci aiuterà, e, quando i suoi santi ci parleranno a nome suo, egli renderà sensibile il nostro cuore e aperta la nostra intelligenza.
«Non ardeva il cuor nostro mentre Egli parlava?» dissero i due discepoli di Emmaus dopo aver riconosciuto Gesù.
Anche a noi il Signore concederà questa commozione divina, quando ci parla con la parola de’ suoi figli migliori, se anche noi, come i due discepoli, avrem tristezza per l’impressione quasi di un abbandono suo e un santo ardore di esser solamente e sempre con Lui!