Il buon cuore - Anno IX, n. 27 - 2 luglio 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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In tema di moralità


Abbiamo pubblicato, con breve commento favorevole, la buona circolare di S. E. l’on. Luzzatti contro la stampa immorale, ed ora pubblichiamo sull’argomento il seguente assennato articolo dettato dalla Perseveranza, che colpisce anche i periodici colpevoli di speculazione quotidiana, basata su turpitudini sminuzzate a seconda degl’istinti e del pervertimento delle folle.

«La circolare dell’on. Presidente del Consiglio per la repressione della pornografia, ha riscosso il plauso di tutti gli onesti ed in particolar modo di coloro che, avendo consacrata la loro vita alla educazione delle giovani generazioni, vedono giorno per giorno resa frustranea la nobilissima e faticosa opera loro dal dilagare della pubblica corruttela, intesa specialmente all’inganno ed alla rovina delle anime infantili.

L’on. Luzzatti ha citato molto opportunamente gli antichi Romani e il Vangelo; più opportunamente ancora ha invitato l’autorità di P. S. ad una rigida applicazione delle leggi vigenti per la tutela della moralità pubblica, e forse all’eminente sociologo — pur non sperimentandola — non è sfuggita una constatazione di fatto di gran rilievo. Questa: che l’immenso affetto alla libertà ci ha legato da gran tempo l’intelletto, tanto che ora a soli pochi articoli del Codice Penale e della Legge di P. S. è affidata la distinzione in fatto di moralità pubblica tra libertà e licenza. Il berretto frigio della formosissima virago accende ognora di entusiasmo l’accademica in eterno anima nostra, e i nostri occhi frattanto perdono di vista il fascio di verghe dei littori romani, che della cara e sacra Libertà resta pur sempre la più efficace salvaguardia.

Dio ne scampi e liberi dall’invocar nuovi provvedimenti e specialmente repressivi, sia pure in materia tanto delicata quanto bistrattata No, no: noi affermiamo semplicemente che le leggi son; ma che, pur troppo, nessuno vi pon mano. Egli è per questo che mentre plaudiamo toto corde alla eloquente invettiva di Luigi Luzzatti, contro i corruttori del pubblico costume, lodiamo ancora una volta la sapienza dell’uomo di Governo, che, per la repressione di un gravissimo abuso, non è ricorso a nuove disposizioni restrittive della libertà, esigendo invece la coscienziosa, energica applicazione delle leggi attuali.

Quanti malanni si eviterebbero, si sarebbero evitati per lo passato in Italia se le leggi che ne governano fossero state scrupolosamente applicate. Basterebbe accennare all’incalcolabile vantaggio morale che ne sarebbe derivato alla coscienza nazionale, la quale sarebbe informata ad un assai più preciso senso del dovere e del diritto, ad un assai più intimo sentimento della responsabilità sociale.

Sta di fatto che per la mancanza di questa rigida disciplina da parte della legge, la nostra coscienza sociale è oggi assai rilassata. Non soltanto esistono i [p. 213 modifica]mercanti di pornografia, esercitanti in piena luce di sole il loro delittuoso commercio; ma la stampa in genere e i giornali in ispecie, che tanta parte sono della educazione moralmente informativa e fattiva del popolo, perdono troppo spesso la coscienza della loro alta nobilissima funzione.

Intanto non è un mistero per nessuno che la risorsa principale di certa stampa, specialmente umoristica, è la pornografia. Pornografia ammanita in tutte le salse: dal pupazzo alla novelletta, dal per finire alla réclame di quarta pagina. È noto in secondo luogo come certi giornaloni, specialmente popolari, ripetano la enorme loro diffusione dal romanzo d’appendice, che le ragioni dell’arte sacrificano costantemente ai mastodontici, lubrici intrecci di morbosissime passioni, al puro e semplice scopo di impressionare, di emozionare il lettore, non importa se all’infuori di ogni umano senso di verità e di ogni naturale verosimiglianza. E finalmente non è possibile non constatare e non deplorare un terzo fatto, che è doloroso sintomo della decadenza dei nostri stessi costumi politici: la lotta, cioè, la polemica, la satira politica, quasi sempre a base di pornografia.

In genere poi, è prevalso in questi ultimi tempi nella stampa quotidiana una tendenza assolutamente letale al pubblico costume: il minuzioso resoconto dei processi giudiziarii e dei fatti e fattacci di cronaca più scandalosi. Non abbiamo peli sulla lingua: la concorrenza giornalistica, oggi, da molti giornali — non da tutti, fortunatamente — si fa speculando sui più bassi e bestiali istinti del pubblico.

La necessità di notomizzare minutamente un delitto lubrico od un fatto scandaloso a scopo scientifico, è una scusa puerile, un ingenuo pretesto. Prima di tutto perchè il grande giornale tende oggi, più che altro, a divenire il notiziario più ricco e più oggettivo dei fatti del giorno e non già un bollettino scientifico; in secondo luogo perchè ben altri spiriti e ben altre forme occorrono per la trattazione scientifica del fatto e del fenomeno scandaloso, che non sian quelli della maggior parte dei reporters di cronaca e giudiziari.

Leviamo tanto di cappello alle onorevoli eccezioni; ma, in questo caso specialmente, l’eccezione conferma la regola.

Il risultato, checchè si dica il contrario, è la traduzione in moneta spicciola dei più osceni, viziosi e ripugnanti fenomeni degenerativi; è la propaganda di seconda mano alla immoralità e alla turpitudine; è il colpo mortale, inflitto al candore delle anime ingenue; è l’esaltazione delle più nefaste passioni, l’attenuazione delle colpe più infami e delle responsabilità più gravi.

E ci limitiamo alla stampa quotidiana; ma bisognerebbe penetrare nei recessi di certe biblioteche, specialmente popolari, che affermano di aver per iscopo non solo la coltura ma anche la elevazione morale e intellettuale delle classi umili!... Non sarebbe difficile trovare, per esempio; qualche serie molto, assai galante, di porcherie nostrane e forestiere, acquistate con denari di privati oblatori e di enti pubblici, e destinale all’incremento della pubblica cultura!...

Ma di ciò un’altra volta.

Per ora ci limitiamo ad esprimere un voto. Il voto cioè che la stampa quotidiana riacquisti la piena coscienza della sua altissima funzione sociale. Il giornale che vuol essere ognora la genuina ripercussione dell’anima del popolo, deve concorrere, non soltanto negativamente, ma positivamente, alla formazione di quest’anima stessa, prima base, principale e più saldo fondamento del carattere morale di una nazione. Come si tentò già per lo passato, si ritenti ora di bel nuovo la intesa generale onde bandire dalle colonne dei nostri quotidiani ogni benchè minimo incentivo alla immoralità, ogni benchè minimo attentato alla incolumità del pubblico costume.

La storia di tutti i popoli e di tutte le età ammonisce che l’incremento morale e materiale delle nazioni è in ragione diretta della loro sanità e gagliardia morale. Chi alla grandezza della Patria reca quotidianamente il contributo del proprio pensiero, nella continua, incessante interpretazione e formazione dello spirito nazionale, deve ricordarsene».

UNA ROSA DEL SALESIO1


È un lavoro educativo, contrapposto con memore affetto e con profonda saggezza a quella stampa che tende a minare tutto ciò che v’ha di bello e di buono. Con un sentimento di viva gratitudine, la distinta scrittrice Maddalena Cravenna Brigola, segnala ad esemplo come Rosa del Salesio quella eminente educatrice che fu Suor Candida Porro. È una biografia completa e commovente, e può dirsi anche da certi lati un accurato studio storico, ispirato a schietti sentimenti religiosi e patriottici.

Come terza edizione si può dire veramente rinnovata, ampliata e migliorata sotto ogni rapporto. Porta in fronte belle lettere elogiative di S. E. il Cardinale Arcivescovo, di S. E. Mons. Vescovo di Cremona e di altri distinti personaggi.

A compimento di questo cenno, pubblichiamo l’elogio che sul lavoro dell’instancabile signora Maddalena Cravenna scrisse la contessa Sabina di Parravicino Revel.

«Quanto è nobile e commovente vedere riconosciute e lodate dai discepoli le virtù dei propri maestri! È la più bella prova, che gli insegnamenti e gli esempi dati non andarono perduti, ma caddero e germogliarono sul terreno fecondo. Questo è il riflesso che s’affaccia alla mente leggendo le belle e commoventi pagine che l’esimia scrittrice Maddalena Cravenna Brigola ha dedicato alla memoria della sua maestra ed educatrice Suor Candida Porro. Nel monastero delle Salesiane di Soresina, non v’era chi si ribellasse al fascino di Suor Candida, e come osserva la nostra autrice, fu essa sola che seppe vincere la riluttanza e la fierezza della piccola Maddalena. Nè meno profonda era l’influenza che la pia suora [p. 214 modifica] esercitava sulle menti delle piccole allieve, che in lei ritrovavano unite la sana scienza alla vera pietà. Queste ed altre doti di Suor Candida, sono sì soavemente e vivacemente descritte nell’opuscolo della nostra insigne autrice, che è vero diletto percorrerne le pagine. Bellissime poi e tanto vere le riflessioni, che la vita della sua compianta maestra ispira alla riconoscente sua allieva. Rifulgono in esse le elette qualità di scrittrice della Cravenna Brigola, che sa sempre portar alta la bandiera del vero, del bello e del buono. Sia lode a lei e alla venerata maestra, che seppe ispirarle così generosi sentimenti».

DALL'ENEIDE

(LIBRO VIII)2


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A l’ombra accolti i duci e il prode Enea
d’alta pianta e il bel Iulo, il cibo tutti
si dánno tosto a preparare e i piatti
di dura biada van recando intorno.
Comincia il pranzo: (tal nei suoi decreti
Giove aveva destinato) e sovra il suolo,
cui Cerere benigna reso avea
di grasse biade fertile e giocondo,
fanno d’agresti pomi un monticello.
Ma poi che i frutti ne le ingorde canne
sparir rapidamente e li costrinse
necessità di cibo inesorata
a dar di morso a la sottil focaccia
e ai contorni del piatto e a rosicchiare
de la mensa di farro i duri lembi,
Ohimè — Iulo esclamò — perfin le mense
noi divoriamo!» apprese il padre Enea
il suon di quella voce che a’ travagli
suoi dava requie e, del celeste avviso
tutto compreso, immobile restò.
E — «Salve — esclamò tosto — o a me da’ fati
terra dovuta, salve, o di mia Troia
fidi penati; la mia casa è questa,
questa è la patria mia, che a me benigno
il genitor avea predetto, quando
gli arcani del futuro, or mi ricorda,
qual sacra eredità mi consegnava.
— “ Quando in ignoti lidi, da tempeste
sbalzato, te la fame fia che stringa,
finite le vivande, a dar di morso
fino a la mense, allor de’ tuoi viaggi
sperar potrai riposo e quivi, o figlio,
edifica tue case». — Ecco la fame,
cui m’accennava: ecco l’estrema prova
che superar conviene... orsù, miei fidi,
al novo sol lasciamo il porto e i luoghi
ove siam giunti ad esplorar andiamo,
e gli abitanti e le citta vicine.
Or purissiffla ambrosia al sommo Giove
dêssi libare e ne le preci il caro
padre Ancliese invocare a noi benigno».
Firenze, ottobre 1886.

Francesco Macry Correale.


UN ANGELO DI PACE


Certo, dal punto di vista dei diritti paterni come erano intesi un secolo fa, la condotta del giovane avvocato Mario Flori era riprovevole. Giunto egli a quel punto della vita in cui il cuore cerca irresistibilmente ove mettere i tesori d’un affetto esuberante e fa un appello insistente per trovare chi risponda con affetto uguale, non solo non consultò nessuno per intrecciare i primi timidi nodi d’amore colla fanciulla che scelse tra mille, ma neppure allora che a quell’anima gemella giurò di farla sua nel più breve termine possibile. E fu solo, si direbbe, alla vigilia delle nozze che se ne aprì coi genitori, il notissimo architetto Eugenio Flori e la contessa Flavia Brunelleschi, là in Milano, nel loro signorile appartamento di Via Falcone. Contrariamente a ciò che aveva temuto, Mario Flori non assistè a nessuno scoppio di ira malfrenata, a scene disgustose; perchè il padre, pure assunta un’impassibilità glaciale e sostenuta, si limitò a dire di credere che in ogni caso gli sposi sarebbero andati a far casa da sè, come è costume generale; poi, che mai li avrebbe veduti in casa sua. Così si separarono padre e figlio.

Indi a un mese avvenivano le nozze, in cui Mario Flori impalmava fra lo stupore e la crudele disillusione di più d’uno, la figlia d’un modesto industriale di provincia, Silvia Albani; superbo tipo di fanciulla, slanciata ed elegante di forme, e di una non comune avvenenza.

Al padre di Mario questo matrimonio riuscì oltremodo scottante, non solo perchè gli strappava dei diritti sul collocamento del figlio che credeva inalienabili e gran parte dell’augusta potestà paterna; ma altresì perchè lo costringeva a rimangiarsi la parola data ad un amico dell’istessa sua tempra, che a sua volta aveva promesso la mano di sua figlia come futura sposa di Mario.

Il giovane avvocato, benchè sapesse di queste odiose trattative e ne fremesse, non agi altrimenti per ribellione o comunque per infliggere a suo padre una lezione. In fatto di matrimonio riconosceva benissimo nei genitori un dovere e un diritto di pronunciarsi, di consigliare, di distogliere o di proporre, ma di imporre no; il matrimonio è un affare individuale, personale, un affare di cuore, e sarebbe enorme che anche nel santuario dell’amore si dovesse introdurre a dettar leggi assolute la volontà d’un estraneo. Ma oltrechè per far trionfare il suo diritto e la scelta che gli comandò un istinto sicuro e una infallibile rivelazione del cuore, non credè di accettare la compagna della vita che gli aveva preparato suo padre per altre considerazioni; la conosceva abbastanza per giudicarla non adatta a sè; fors’anche con parole imprudenti uscitele di bocca in una di quelle ore di facile espansione che spesso capitano nella vita, essa stessa la giovane si compromise, creandosi attorno un’atmosfera di repulsività e antipatia invincibili.

Molto prima che si parlasse di matrimonio nel confronto di Mario, in un salotto di conversazione, tutto uno sfarfallamento di fanciulle da marito e un cinguettìo [p. 215 modifica] esasperante all’estremo di tutte quelle voci femminili, si discorreva animatamente sul tema prediletto, facendo una rassegna accurata dei probabili sposi.

Gettato là fra altri anche il nome dell’avvocatino Mario Flori, mentre nessuna trovò da ridirci, lei sola, la sposina mancata, si permise di fare delle eccezioni; e che per conto suo non lo avrebbe desiderato con soverchio calore; e che già, uno che bazzica spesso per Chiese, deve essere un povero di spirito, privo di sentimentalità, di romanticismo, un marito insipido. E altre volte, sbottonandosi sull’argomento della vita coniugale, non mancò di esporre ripetutamente le sue personali teorie d’un’arditezza per lo meno sconcertante; che avrebbe abolito qualunque controllo del marito sulle sue letture, sulla corrispondenza, sulle amicizie, sulla condotta religiosa, sui divertimenti; per lei il matrimonio essere una società avente un minimo di obblighi e un massimo di libertà, essere in certo senso un’emancipazione in confronto allo stato di figlia di famiglia; e, dopo tutto, uno stato in cui si deve cogliere piaceri, fiori, gioie, lasciando i volgari doveri, la prosa agli imbecilli; sè essere avida di cose nuove, di emozioni forti, acri, di casi stravaganti, di vita eccentrica.

Mario Flori, d’una serietà a tutta prova, profondamente religioso e praticante, e positivo e pratico quanto ce ne stava, e con una bona dose di senso di dignità e d’amor proprio anche, non poteva, non doveva legare i suoi destini con una fanciulla simile, e la sua risoluzione fu pronta a tradurla in pratica anche in contrasto coi bei piani di suo padre e col rischio della collera e della vendetta di lui.

La mamma per quanto ambiziosa e fiera, in fondo era molto buona; più, aveva un debole per Mario, tanto da prenderne le difese più d’una volta, tanto da preferirlo anche alla figlia Carola che pure era l’angelo della casa. E la contessa Flavia Brunelleschi si rassegnò presto e perdonò e si rimise subito in rapporto col figlio mediante lettere, o a mezzo di Carola, e qualche volta passando lei stessa all’abitazione degli sposini che non era molto lontano dalla sua.

Ma l’architetto Eugenio Flori non era uomo da dimenticare, da perdonare, almeno così facilmente e così presto. Il presunto affronto era stato ricevuto senza escandescenze e scoppi di sdegno; ma appunto per quel contegno senza sfoghi clamorosi, si dovette constatare di maggior durata il cruccio, più calcolato e freddo il mutismo, più ostinata la volontà nel negare il perdono, nel fare la pace. Certo non mancarono dei passi nel senso di disarmare una bona volta quel cuore così gonfio di rancore. La contessa si azzardò più volte di entrare in argomento benchè sempre pregata a non insistere; e Carola, valendosi d’una impunità tutta sua, quante volte con una libertà biricchina non aggredì suo padre, e investendolo con tutta l’arte di un vero assalto, non fu lì lì per far capitolare l’ostinata fortezza!

Mario dal canto suo non lasciò passare nessuna occasione per implorare senza compromettere la sua dignità il perdono del padre. E fu solo quando proprio più nulla restava a sperare che, con dolore sempre, si rassegnò al suo castigo. Tuttavia la perdita era in parte

compensata oltre ogni speranza dalle soddisfazioni che trovava nella nuova casa.

Ogni giorno che passava, scopriva nuovi lati di raffinatezza, nuove forme di bontà, nuovi tesori di squisita gentilezza nella sposa sua; e si convinceva sempre più che il loro era stato un matrimonio di anime. Chiuse le sue giornate di immane lavoro allo studio che aveva in comune con altri due colleghi, oppresso dalla fatica sostenuta nel Foro, e non poco anche dallo spettacolo incessante di conflitti, di passioni, scene di brutalità, di volgarità, di brutture, di vergogne, che la sua professione gli gettava necessariamente sott’occhio, era bello per lui metter piede nel suo bel quartierino, così lindo e civettuolo e tutto un profumo di pace e di purezza, tutto gaio di luce festosa, pieno di inviti e di seduzione, dove lo spirito si tuffava come in un bagno ristoratore e ritemprava le spossate energie. A mezzodì era fissata la colazione, e il pranzo alle venti; e durante i pasti, ma specialmente dopo pranzo, la conversazione fluiva spontanea, abbondante, piena di confidente abbandono, briosa, appassionata, interessantissima, su mille cose di arte, di letteratura, della cronaca della giornata, di religione, di memorie degli anni trascorsi ciascuno nella propria casa o nei rispettivi collegi.

Silvia Albani, malgrado la non elevatissima condizione sociale da cui veniva, non era però una figlia del popolo; per tempo era stata messa in educazione in un Collegio diretto da Suore, forse il più aristocratico di Milano, dove si distinse sempre per la sua passione allo studio e alle belle arti, con una riuscita non comune. E restituitasi nella casa paterna verso i suoi diciotto anni compiuti, si tenne sempre al corrente di tutto il movimento letterario ed artistico, sia colla lettura di periodici e giornali di tal genere, sia visitando pinacoteche, assistendo a conferenze o mettendosi in relazione con persone note per la loro profonda coltura.

D’una memoria eccezionale, d’un gusto senza confronto, e affascinante parlatrice per natura, si può immaginare come dovesse intrattenere la conversazione con Mario Flori esso pure istruitissimo in questi rami del sapere. Il quale ad arte provocava discussioni animate perchè l’animo suo potesse cullarsi dilettuosamente, con una spirituale voluttà in quei regni fantasiosi della poesia e del genio dell’arte, che Silvia magistralmente rievocava, dipingendoli coi più smaglianti colori.

Alla domenica c’erano parecchie visite da fare o ricevere. Talvolta veniva la contessa Flavia, sempre regolarmente al ritorno dalla Messa veniva Carola a portare o prendere notizie. Questa fanciulla col suo apparire portava in casa una nota di gioia e di sorriso di più; sempre vivace, di bon umore, lepida, irraggiava la bella luce delle sue pupille scintillanti e del suo volto luminoso e sorridente, e diffondeva un brio indiavolato ovunque. Era la sua felice natura che rendevala così doppiamente preziosa e nella casa paterna e dovunque mettesse piede.

(Continua).



La NONNA è un capolavoro di una freschezza di una originalità assoluta.



  1. Una Rosa del Salesio, ossia Suor Candida Porro, Milano, G. Palma, Via Lupetta, 12.
  2. Dai Canti dell’adolescenza di prossima pubblicazione, seconda edizione.