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214 IL BUON CUORE


citava sulle menti delle piccole allieve, che in lei ritrovavano unite la sana scienza alla vera pietà. Queste ed altre doti di Suor Candida, sono sì soavemente e vivacemente descritte nell’opuscolo della nostra insigne autrice, che è vero diletto percorrerne le pagine. Bellissime poi e tanto vere le riflessioni, che la vita della sua compianta maestra ispira alla riconoscente sua allieva. Rifulgono in esse le elette qualità di scrittrice della Cravenna Brigola, che sa sempre portar alta la bandiera del vero, del bello e del buono. Sia lode a lei e alla venerata maestra, che seppe ispirarle così generosi sentimenti».

DALL'ENEIDE

(LIBRO VIII)1


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A l’ombra accolti i duci e il prode Enea
d’alta pianta e il bel Iulo, il cibo tutti
si dánno tosto a preparare e i piatti
di dura biada van recando intorno.
Comincia il pranzo: (tal nei suoi decreti
Giove aveva destinato) e sovra il suolo,
cui Cerere benigna reso avea
di grasse biade fertile e giocondo,
fanno d’agresti pomi un monticello.
Ma poi che i frutti ne le ingorde canne
sparir rapidamente e li costrinse
necessità di cibo inesorata
a dar di morso a la sottil focaccia
e ai contorni del piatto e a rosicchiare
de la mensa di farro i duri lembi,
Ohimè — Iulo esclamò — perfin le mense
noi divoriamo!» apprese il padre Enea
il suon di quella voce che a’ travagli
suoi dava requie e, del celeste avviso
tutto compreso, immobile restò.
E — «Salve — esclamò tosto — o a me da’ fati
terra dovuta, salve, o di mia Troia
fidi penati; la mia casa è questa,
questa è la patria mia, che a me benigno
il genitor avea predetto, quando
gli arcani del futuro, or mi ricorda,
qual sacra eredità mi consegnava.
— “ Quando in ignoti lidi, da tempeste
sbalzato, te la fame fia che stringa,
finite le vivande, a dar di morso
fino a la mense, allor de’ tuoi viaggi
sperar potrai riposo e quivi, o figlio,
edifica tue case». — Ecco la fame,
cui m’accennava: ecco l’estrema prova
che superar conviene... orsù, miei fidi,
al novo sol lasciamo il porto e i luoghi
ove siam giunti ad esplorar andiamo,
e gli abitanti e le citta vicine.
Or purissiffla ambrosia al sommo Giove
dêssi libare e ne le preci il caro
padre Ancliese invocare a noi benigno».
Firenze, ottobre 1886.

Francesco Macry Correale.

UN ANGELO DI PACE


Certo, dal punto di vista dei diritti paterni come erano intesi un secolo fa, la condotta del giovane avvocato Mario Flori era riprovevole. Giunto egli a quel punto della vita in cui il cuore cerca irresistibilmente ove mettere i tesori d’un affetto esuberante e fa un appello insistente per trovare chi risponda con affetto uguale, non solo non consultò nessuno per intrecciare i primi timidi nodi d’amore colla fanciulla che scelse tra mille, ma neppure allora che a quell’anima gemella giurò di farla sua nel più breve termine possibile. E fu solo, si direbbe, alla vigilia delle nozze che se ne aprì coi genitori, il notissimo architetto Eugenio Flori e la contessa Flavia Brunelleschi, là in Milano, nel loro signorile appartamento di Via Falcone. Contrariamente a ciò che aveva temuto, Mario Flori non assistè a nessuno scoppio di ira malfrenata, a scene disgustose; perchè il padre, pure assunta un’impassibilità glaciale e sostenuta, si limitò a dire di credere che in ogni caso gli sposi sarebbero andati a far casa da sè, come è costume generale; poi, che mai li avrebbe veduti in casa sua. Così si separarono padre e figlio.

Indi a un mese avvenivano le nozze, in cui Mario Flori impalmava fra lo stupore e la crudele disillusione di più d’uno, la figlia d’un modesto industriale di provincia, Silvia Albani; superbo tipo di fanciulla, slanciata ed elegante di forme, e di una non comune avvenenza.

Al padre di Mario questo matrimonio riuscì oltremodo scottante, non solo perchè gli strappava dei diritti sul collocamento del figlio che credeva inalienabili e gran parte dell’augusta potestà paterna; ma altresì perchè lo costringeva a rimangiarsi la parola data ad un amico dell’istessa sua tempra, che a sua volta aveva promesso la mano di sua figlia come futura sposa di Mario.

Il giovane avvocato, benchè sapesse di queste odiose trattative e ne fremesse, non agi altrimenti per ribellione o comunque per infliggere a suo padre una lezione. In fatto di matrimonio riconosceva benissimo nei genitori un dovere e un diritto di pronunciarsi, di consigliare, di distogliere o di proporre, ma di imporre no; il matrimonio è un affare individuale, personale, un affare di cuore, e sarebbe enorme che anche nel santuario dell’amore si dovesse introdurre a dettar leggi assolute la volontà d’un estraneo. Ma oltrechè per far trionfare il suo diritto e la scelta che gli comandò un istinto sicuro e una infallibile rivelazione del cuore, non credè di accettare la compagna della vita che gli aveva preparato suo padre per altre considerazioni; la conosceva abbastanza per giudicarla non adatta a sè; fors’anche con parole imprudenti uscitele di bocca in una di quelle ore di facile espansione che spesso capitano nella vita, essa stessa la giovane si compromise, creandosi attorno un’atmosfera di repulsività e antipatia invincibili.

Molto prima che si parlasse di matrimonio nel confronto di Mario, in un salotto di conversazione, tutto uno sfarfallamento di fanciulle da marito e un cinguettìo

  1. Dai Canti dell’adolescenza di prossima pubblicazione, seconda edizione.