Il buon cuore - Anno IX, n. 08 - 19 febbraio 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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LA SOLENNE CONSEGNA

delle insegne di Cavaliere mauriziano

a Mons. GIUSEPPE VILLA

Ieri nella Canonica di Borgo Panigale si è svolta una bella e gentile cerimonia.

Il comandante del VI corpo d’armata e gli ufficiali del 21 lancieri «Mantova» vollero mostrare a Monsignor Giuseppe Villa la loro riconoscenza per la benedizione da lui impartita l’11 novembre allo stendardo del nuovo reggimento e decisero di consegnargli le insegne di cavaliere mauriziano.

Alla cerimonia érano presenti S. E. il generale Incisa di Camerana comandante il 6.º corpo d’armata; il generale Ricci comandante la brigata di cavalleria; il colonello Federzoni comandante il regg. lancieri «Mantova» e numerosa rappresentanza di ufficiali e sott’ufficiali del reggimento stesso.

Il colonello cav. Federzoni, nel consegnare a monsignor Villa la croce, pronunciò questo affettuoso discorso:

«Monsignore!

«Nel portarle i rallegramenti per l’alta onorificenza 61 che S. M. il Re le ha concesso, La preghiamo di accettarne le insegne che S. E. il generale marc. Incisa e noi ufficiali dei Lancieri di Mantova le offriamo con simpatia ed affetto, memori sempre della funzione compiuta l’11 novembre scorso, in cui Ella rese sacro il nostro stendardo e seppe con ispirata parola far vibrare nel cuore di tutti i più elevati sentimenti, dai quali traggon forza gli eserciti, vale a dire: la fede in Dio, l’unione col Sovrano e l’amor di patria.

«Io bevo adunque al sacerdote patriota e faccio voti che la sua preziosa esistenza si conservi per molti anni ancora all’affetto sincero nostro ed a quello dei suoi concittadini che tanto lo prediligono.

«Evviva monsignor Villa!».

Mons. Villa, commosso, rispose ringraziando per la manifestazione di simpatia fattagli dagli egregi ufficiali.

La croce è accompagnata da questa dedica:

«A MONSIGNOR — DOTTOR GIUSEPPE VILLA — ARCIPRETE — DI BORGO PANIGALE — S. E. IL MARCHESE — ALBERTO INCISA — DI CAMERANA — COMANDANTE DEL VI CORPO D’ARMATA — E GLI UFFICIALI — DEI LANCIERI DI MANTOVA — A RICORDO — DELLA BENEDIZIONE — DEL LORO STENDARDO — FEBBRAIO 1910».


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ALL’ISTITUTO GRIMM

Nel grazioso teatrino dell’istituto Grimm in via Conservatorio, le allieve, squisitamente istruite, diedero un trattenimento drammatico-musicale a totale beneficio dell’Opera internazionale cattolica della Protezione della Giovane. L’elegante sala era zeppa di spettatori e specialmente di gentili spettatrici. Il programma si svolse con soddisfazione del pubblico e delle gentili attrici, le quali, nella recitazione, nel canto e in ben riusciti quadri coreografici, ebbero campo di dare bellissimi saggi della squisita istruzione loro impartita.

Si recitò un lavoretto scherzoso in lingua tedesca; quindi si eseguì La belle au bois dormant. Una graziosa bambina recitò con brio un bel monologo, e una signorina declamò un canto del Paradiso. Fu molto ammirata una signorina, distinta violinista. Ai molti applausi e agli elogi che furono tributati alle gentili attrici, si aggiunse qualche commento, per la mancanza nello spettacolo, di una produzione nel dolce nostro idioma. La nota italiana fu però portata dal nostro collaboratore, A. M. Cornelio, il quale, dopo una spiritosa improvvisazione, passando dall’arguzia ad un argomento serio, mise in evidenza, con parola sobria ed efficace, gl’intendimenti dell’Opera cattolica della Protezione della giovane. Riportiamo qui un brano del suo discorso:

«A ben altra voce, non alla mia, dovrebbe essere affidato l’incarico di dire una parola sull’Opera che in questo gentile ambiente, dove tutto parla di sana ed elevata educazione, si pensò sovvenire con sì geniale trattenimento.

«Qui si è voluto divertire e beneficare, manifestando vivo interessamento alla Protezione della Giovane, ed io, a nome della Presidenza, esprimo viva gratitudine alle gentili attrici, nonchè a tutti i convenuti, così armonicamente accomunati in un’azione di carità illuminata.

«Per riuscir breve nel mio dire, ho fermato qui sulla carta i miei pensieri e mi affretto.

«La Protezione della Giovane è un’opera eminentemente umanitaria, ispirata ad alti concetti di carità vera, di pubblica moralità, di religione e patria. Quest’Opera è, quasi direi, un parallelo dell’Opera di assistenza degli emigranti. Frenare l’emigrazione sarebbe follia. Dirigerla, bisogna, come si dirigono le acque dei fiumi tra gli argini. Migliaja di uomini robusti, sospinti dalla miseria, abbandonano i loro paesi nativi, che non offrono nessuna risorsa, nessun commercio, nessuna industria; sottraggono cosi competitori formidabili al povero pane conteso da molte bocche; sfuggono all’aria avvelenata, alla pellagra, e vanno all’estero, dove sono assai apprezzati; vanno in cerca di lavoro ben retribuito, e col lavoro trovano i nostri Missionari che confortano i loro cuori e vi mantengono l’amore alla religione e alla patria, l’affetto alle famiglie che attendono il loro ajuto e il loro ritorno.

«Sacrosanto dovere è quello di assistere i nostri emigrati, e sacrosanto dovere è pur quello di caritatevolmente accogliere e dirigere e assistere le centinaja di giovani inesperte, che pur trovandosi in paesi senza risorse, abbandonano le loro famiglie e si spargono nelle città in cerca di una occupazione. Pericoli d’ogni genere, agguati, tradimenti, attendono sovente alle stazioni ferroviarie o alle porte delle città quelle povere giovani, le quali, talvolta, non avendo informazioni e ricapiti sicuri, o non avendo alcuna idea netta del loro avvenire, si affidano ciecamente al primo incontro.... No, non accennerò qui alle conseguenze dolorose di certi inganni, di ct rte cadute facili, ma irrimediabili. Dite voi, o pietose visitatrici degli ospedali; dite voi, o pietose madri che alle carceri eserc tate un’angelica missione, quali drammi si nascondano talvolta in certe vittime oscure, affidate alla vostra carità materna!

«Una voce autorevole, quella dell’egregio prof. Rodolfo Bettazzi, in un altro distinto ambiente di educazione — l’Istituto Bognetti Boselli — ha fatto sentire il dovere della donna nel soccorso e nell’assistenza delle giovani pericolanti. Vi sono — egli disse — signore animate da sollecitudine altruistica, e vi sono signore pur buone, ma limitate nell’azione all’ambiente famigliare. Il cristianesimo ha fatto della donna schiava una sorella. La donna pia è e deve essere l’angelo della casa, sì, ma il suo cuore deve espandersi e interessarsi agl’infelici, perchè così vuole la suprema legge della fratellanza e dell’amore. Il tenersi lontani da ogni miseria nuoce alla vita famigliare, la quale sente invece i benefici effetti di certe visioni affliggenti, di certi raffronti, tanto più nell’ora del dolore.

«L’Opera cattolica internazionale della Protezione della Giovane — senza intransigenze, senza esclusivismi, riconoscendo anche il bene che altri possono fare con diversi obbiettivi — apre il cuore e le braccia e le porte alla fanciulla selvaggia come alla pallida fanciulla europea. Istituita nelle principali città, è approvata da tutti i poteri, da tutte le autorità, da tutte le anime oneste. Sua Santità Pio X l’ha benedetta e ribenedetta; Sua Maestà la Regina Elena, colla sua inesauribile benevolenza, l’ha accolta sotto il suo augusto patrocinio.

«Debbo dire di più? I vostri cuori gentili comprendano il mio pensiero e col loro intuito suppliscano alle mie lacune.

«Signore e signori, finisco con una frase sola: Se voi proteggerete le figlie del popolo, Dio proteggerà le figlie vostre e le renderà felici».

A questa chiusa corrispose anche l’esito finanziario del trattenimento, che fruttò alla Protezione della Giovane una somma non indifferente.

D. O.




EGIDIO GAVAZZI


A 63 anni, mentre il suo aspetto era lontano da ogni manifestazione di vecchiaja, mentre il suo spirito era libero, sereno, agile come nei bei tempi della giovinezza, si spense dolcemente il comm. ing. Egidio Gavazzi, che fu e sarà rimpianto da tutti, come da tutti era amato in vita.

Gavazzi è un nome che ha splendide tradizioni nelle industrie, nei commerci, nelle intraprese pubbliche e private, nel campo dell’arte e negli altri rami dello scibile umano, come nelle opere di patrio lustro, di culto e di beneficenza.

Di queste tradizioni tu sempre degno il caro Uomo che ora piangiamo perduto. Coll’unione di lui al fratello comm. ing. Pio, si ebbe presto una mirabile, armonica fusione di due intelligenze superiori, di energie e attitudini non comuni, che dovevano dare un grande slancio all’industria tessile della seta e onorare il nome dei Gavazzi anche nelle Americhe.

Rimontiamo all’epoca in cui l’industria dei due fratelli Egidio e Pio era nel suo pieno rigoglio e tendeva a sempre più estendersi, e ricordiamo con quanta e quale soddisfazione il rimpianto Re Umberto visitasse il loro più cospicuo stabilimento in Desio. Quel giorno fu una vera festa del lavoro, nella quale, colla cordialità dell’amato Sovrano, si accomunarono i sentimenti dei due cospicui animatori dell’industria fiorente e di migliaja di umili e affezionati operai.

Da allora in poi la importante azienda andò sempre [p. 63 modifica]più ingrandendosi coll’impianto di stabilimenti anche in Melzo e in Cernusco Merate; sicchè i due forti lavoratori ebbero alle loro dipendenze una innumerevole famiglia di operai, i quali, guidati dall’esempio, assecondati con equanimità nelle ragionevoli aspirazioni, sovvenuti anche in ordine morale, mostrarono col loro contegno rispettoso quanto possa sulle masse la buona influenza di cuori miranti a nobili obbiettivi.

Il nostro rimpianto Egidio Gavazzi non limitò però la sua azione all’industria prediletta, e, non negando il suo ajuto a chi lo richiedeva, profuse in molte opere pubbliche e private i tesori della sua mente e del suo cuore. Così egli, insignito di distinte onorificenze, fu modesto sempre e fu per 28 anni senza interruzione sindaco amatissimo di Desio, dove, colla famiglia, esercitò una missione veramente benefica. — Egli tenne anche per 20 anni l’ufficio di Consigliere provinciale, e nell’alto consesso, colla sua praticità, la sua schiettezza e la sua rettitudine, si guadagnò l’estimazione affettuosa dei colleghi e l’amore degli elettori sempre fedeli. — Presidente della Società delle tramvie elettriche briantee della Società F. Zari, Vicepresidente della Società per la conservazione del legno e distilleria catrame, Consigliere della Società Bancaria e del Tecnomasio Italiano, il comm. Egidio Gavazzi giungeva dovunque con vigore giovanile.

Una grande fortuna per il nostro egregio amico fu quella venutagli dalla Provvidenza, quando, laureatosi ingegnere, s’incontrò colla soave e intellettuale creatura che doveva essere la gioja della sua vita e l’eletta coadjutrice in tante opere d’illuminata beneficenza e di sana solida educazione. La nobile Giuseppina Biella — la figlia dell’integerrimo magistrato di cara memoria — era colei che doveva addolcire la vita del lavoratore e renderla ancor più confortata con una bella corona di nove figli tutti cresciuti in armonia all’ammirabile coppia dei genitori.

Era nell’ambiente famigliare che bisognava conoscere il comm. Egidio Gavazzi. Carattere adamantino, aveva del diamante le faccette risplendenti. Così nella cosa pubblica egli portava la nota serena e ottimista, che ispirava fiducia, e in famiglia, accordando larga e cordiale ospitalità in città come in campagna, col perenne sorriso dell’uomo buono, tranquillo e sicuro, appariva, pur nei momenti difficili, non col cipiglio del padre autoritario, bensì coll’espressione del fratello maggiore de’ suoi figlioli. Ma quale rispetto per l’autorità paterna in quei figlioli laureati, ammogliati e divenuti a loro volta padri di numerosa prole!

Venne troppo presto la bufera a schiantare il tronco d’un albero così rigoglioso! Una malattia che sembrava presentarsi con mite decorso; poi un improvviso aggravarsi.... E qui vedemmo gli ajuti e i conforti della fede animatrice di tutta la famiglia. L’infermo si associò con animo tranquillo, dal suo letto di morte, alle preghiere dei parenti e degli amici. Non dissimulò, no, la speranza di potersi accostar presto all’Altare, come sempre aveva fatto a regolari intervalli; si riconciliò con Dio e in Lui spirò la sua anima leale, lasciando tutti come trasognati, sbalorditi dall’inattesa e quasi improvvisa dipartita.

Ricorderemo sempre l’egregio amico ne’ suoi momenti più belli, quando, colla sua stretta di mano, colla sua parola gentile e arguta, colla sua sollecitudine, si mostrava pronto a distogliersi da ogni preoccupazione per posare il pensiero su soggetti che riteneva meritevoli del suo affettuoso interessamento.

A lui il nostro saluto; ai cari superstiti in lacrime le nostre sentite condoglianze.

Angelo Maria Cornelio.




I funerali del rimpianto defunto riuscirono imponenti pel gran numero di rappresentanze e per il grande concorso della cittadinanza milanese e degli abitanti dei paesi in cui il Gavazzi esercitò la sua azione illuminata benefica.

La famiglia lasciò libero campo ad ogni manifestazione. Così si videro quindici vetture precedere il feretro con una quarantina di splendide corone di fiori freschi, e una quantità di rappresentanze con bandiere stendardi di svariate istituzioni, società operaje, società d’industrie seriche; opere pie, patronati scolastici, asili e confraternite religiose della città e della campagna.

Reggevano i cordoni l’on. Carmine, presidente del Consiglio Provinciale, il comm. Manusardi, presidente della Deputazione Provinciale, l’avv. Mojana, assessore comunale di Milano, il cav. Scotti, assessore delegato del Comune di Desio, il cav. avv. Emprin, in rappresentanza del Prefetto, e l’avv. Sampietro, parente del defunto.

La Deputazione provinciale era rappresentata anche dal comm. avv. Lovati e dal rag. Sperati, e il Comune di Milano dagli assessori avv. Agrati, ing. Tarlarini e cav. Gallone.

Notammo pure il senatore Pirelli, il senatore Mangili, gli onorevoli Taverna, Campi, Degli Occhi, Crespi, ecc.

Al cimitero monumentale i meriti del defunto furono rqessi in bella luce dall’on. Carmine, dal dott. Pansini, dal cav. Emprin, che portò il saluto del Governo, dal cav. Cattaneo, rappresentante la società delle industrie tessili, dall’avv. Sampietro. In fine, il genero, conte dott. Giuseppe Barbiano di Belgiojoso, con accento commosso, pronunciò poche ma sentite parole di ringraziamento.

La salma fu trasportata a Desio, dove si rinnovarono funerali che riuscirono un commovente plebiscito di amore e di riconoscenza.

Al cimitero pronunciò per primo nobili parole il deputato del Collegio, on. conte Taverna. L’assessore Scotti elogiò poi il Gavazzi per la sua opera nella carica di sindaco, segnalandolo alla gratitudine della popolazione di Desio, che unanime era accorsa a tributare reverente omaggio al caro defunto. Commovente riuscì il discorso del cav. Enrico Cattaneo, direttore generale da quarant’anni degli stabilimenti impiantati dai fratelli Egidio e Pio Gavazzi. Parlarono in seguito col linguaggio del cuore due operai di Desio e di Melzo. Un maestro mise in evidenza le benemerenze del defunto nel campo dell’istruzione, e un rappresentante della Congregazione di Carità illustrò la figura dell’esimio benefattore.

Diverranno presto caduchi i fiori che accompagnarono come in trionfo la salma di Egidio Gavazzi, e cesserà l’eco degli elogi che meritamente gli vennero tributati; ma viva e profonda rimarrà sempre la memoria dell’uomo che fu raro esempio di grandi virtù.