Il buon cuore - Anno IX, n. 08 - 19 febbraio 1910/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno IX, n. 08 - 19 febbraio 1910 Religione

[p. 57 modifica]Beneficenza


UNA DONNA BENEFICA

PP
rima di lasciare questa città, volli visitare ancora qualcosa che non fosse un monumento, che non avesse una storia nel passato, che mi parlasse invece di ciò che è oggi Firenze, rispetto al suo popolo, e mi recai in via Vittorio Emanuele, fuori porta, all’istituto Luisa Andrè. Molti de’ lettori, quelli che si occupano di cronache benefiche, avranno presente questo nome di Straniera, nome tanto caro ai fiorentini che hanno cuore. Uscendo da quell’istituto di pace-serena-soavissima e rifacendo a piedi la strada in una notte stellata e tiepida, sentii nel cuore una dolcezza senza nome, che oggi non so, non posso esprimere se non scialbamente e che in quell’ora silente mi dava una sensazione melanconicamente gratissima. Chi fu Luisa Andrè?

Una donna.

Ed a me pare che in questo solo nome, inteso nel senso più puro, più intimo, più affettuoso si possa tutto compendiare l’opera grandiosa di Luisa Andrè. Fu una donna e sentì di essere donna, nè desiderò una folle indipendenza, ma fu indipendente, nè desiderò una impossibile equiparazione, ma fu non solo pari, ma superiore. Aveva nell’animo tesori di dolcezza e non li tenne celati, ma li estrinsecò, ma ne fece partecipi tutti coloro che la dolcezza non avevano provata mai.

Le sue energie non comuni spese in un continuo eroico sacrificio, in una dedizione intera, spontanea, e morì dopo questo sacrificio, dopo questa dedizione, di un male che non perdona, lasciando dietro a sè un vuoto, un rimpianto, non imposto dall’ipocrisia delle convenienze, ma dalla sincerità del cordoglio. Io oggi, scrivendo di lei che non ho conosciuto, che da due anni è morta, della quale non ho visto che il ritratto, compio un’opera doverosa e sento tutta la soddisfazione intima, ineffabile di compierla.

Rivedo quei volti di uomini, di donne, di ragazzi, di fanciulle che seduti alla mensa ospitale mangiavano in quell’ora serotina, dopo il lavoro della giornata e che guardavano a me come ad un estraneo, sì, ma senza diffidenza, senza presunzione.

La dolcezza, la pace, la calma avevano finalmente sedate le lotte intime, tempestive, e quel sorriso che vedevo sui loro volti, quel saluto breve, rispettoso a un tempo e fiducioso mi dicevano chiaro che quei reprobi, quegli scacciati si erano rappacificati col mondo; intorno a loro non vedevano più dei nemici pronti a respingerli, a ricacciarli giù se tentavano di sollevarsi più in alto, non vedevano gli uomini di una razza superiore, o che si crede tale, che condanna per sempre quelli che i giudici hanno condannato provvisoriamente; ma dei fratelli, degli uguali, degli alleati autorevoli, che li prendevano a cuore, che si occupavano di loro con disinteresse palese e con sacrificio nascosto, significatissimo. Sui loro volti non più i segni della prigione sofferta, dalla quale forse erano usciti da poco; non più il ghigno, lo scherno, la bestemmia, ma la parola calma, assennata, fiduciosa; la gioia inenarrabile di chi lavora, e vede moralmente rinumerato il suo lavoro, di chi con la paga riceve ogni giorno la lode, il consiglio. Tutto quanto prova un nostro operaio e che tante volte fu negato e ancora si nega ai liberati dal carcere.

La “morte civile”, lo scherno, la vergogna che gravitano, che urgono su tutta un’esistenza spezzandola, soffocandola, schiacciandola: un marchio che già da lungo tempo è scomparso, ma che la prevenzione diffidente riscontra ancora, sempre. E su loro, aleggiante come uno spirito buono, la figura della fondatrice, della mamma come l’avevano chiamata gli altri che li avevano preceduti in quel luogo di carità, come alcuni di loro stessi l’avevano chiamata, gli altri che li avevano [p. 58 modifica]preceduti in quel luogo di carità, come alcuni di loro stessi l’avevano chiamata, questa donna bionda, dagli occhi dolci, dalla voce carezzevole, che sapientemente usava tutte le gradazioni, tutti i toni; sempre calma, sempre seria, che amava Dio, e che in Dio e per Dio chiamava fratelli, chiamava figli quelli che erano stati degli assassini, dei ladri. Aleggiava quella figura bionda beneficamente vicina, ed oggi chi continua l’opera sua lo fa per lei.

Un suo fratello ingegnere, che come lei ha la dolcezza nel volto e la melodiosità nella voce, mi disse che chi continua l’opera della sorella non lo fa come la sorella. Sono persuaso. L’opera di Luisa Andrè era personale, era l’impronta di un genio della abnegazione e della beneficenza, e l’opera dei geni, è risaputo, non si può imitare. Ma Luisa Andrè era un apostolo, e la parola e l’esempio di un apostolo lasciano tale impressione, tale incancellabile ricordo in chi già fu compagno e collaboratore, che questi non può tutto scordare; non può scordare quegli slanci intimi fortissimi, e pur non emulando, pur non imitando, si uniforma, e con lo slancio che sa, che l’apostolo gli apprese, compie quanto può e lo compie bene. Chi è succeduto a Luisa Andrè non sarà personale, ma non può essere fiacco.

Per forza deve essere, ed è — me ne sono accorto — zelante oculatissimo.

Eppure questa donna, di nessuna apparenza, aveva innata la beneficenza. La sua vita fu tutta spesa per la beneficenza. Rinunciò ad essere la madre dei suoi possibili figli, per essere la madre dei figli di altre madri, morte o indegne, o sconosciute. Quel sentimento così innato nella donna, che pur essendo disinteressato ha un fondo di egoismo, ella privò di questo fondo e fece tutto un apostolato lungo faticosissimo.

«Nata ad Annecy, sul lago solcato dai cigni... Luisa Andrè, aveva nell’anima la luce del suo cielo, la profondità serena del suo lago e quella inoffuscabile fiducia nella bontà innata in ogni essere umano».

Per lei non esisteva vergogna, non esisteva bassezza capace di corrompere, di offuscare per sempre la tersità dell’animo. Anche ladro, anche assassino per lei l’uomo era sempre uomo, sempre aveva la potenzialità di redimete sè e l’opera sua più assidua, fu di porgere a costoro i mezzi per una salutare, fruttifera redenzione. La sua mano era la mano stessa della pietà, che dona e solleva inesauribilmente. Ella voleva oltrechè sorvegliarli, vivere con i suoi figli di elezione. E così fu che un giorno ella abbandonò per sempre la casa paterna, la famiglia, gli agi, per andare a vivere in quella nuova stranissima famiglia, a portarvi il suo sorriso, il suo fascino, a dissiparvi le amarezze, i rimpianti. E quei giovani, quegli uomini fatti, quei reduci delle patrie galere, sottoposti ancora alla vigilanza avvilente della questura, compresero che quella fortunata non scendeva fra loro con viso falsamente benigno, celando interessi sfruttatori, compresero che c’era un tesoro d’affetti in quel cuore e che traboccavano nella sua parola semplice e persuasiva e l’amarono. Anche i più refrattari, anche i più riottosi. Nè lei usò verso di loro, manco una volta, dei mezzi che non fossero la persuasione e la bontà Si racconta di un giorno che entrò sola, inerme nello stanzino, dove uno dei ricoverati più feroci, inveiva portando scompiglio. Parla a lungo con quello sciagurato, a lungo sopportò le sfuriate triviali di quell’uomo, non retrocedendo, non investendo mai, sempre calma, sempre uguale, sempre franca, persuasiva, quasi implorante. Un’ora dopo il riottoso non usciva dall’istituto come aveva divisato, ma rimaneva, più rispettoso, più riconoscente. Il fascino di quella donna singolare aveva trionfato. E molti sono i casi come questo.

E vi sono le passeggiate notturne nei quartieri più pericolosi, più equivoci di Firenze, al Canto dei quattro Leoni o al Canto alla Briga, a fine di sorprendere e ricondurre a sè qualcuno di quei «suoi ragazzi», che le erano fuggiti. E la sua voce si spiegava alla trivialità del gergo, e quei delinquenti provetti o precoci, ammaliati dal suo fascino, soggiogati dalla sua forza, la seguivano e rientravano con lei nell’asilo. Una volta si vesti perfino da uomo, un’altra, questa eroina oscura, si buscò una coltellata. Ma la sua fede non venne meno, nè si allentò il suo zelo.

Continuò sempre, visitando le osterie, le carceri, gli ospedali, tutti i chiassi più luridi, più oscuri, scovandovi sempre nuovi ospiti per la sua casa, nuovi figli per la sua maternità benefica insaziabile. E per essere fra quei fortunati non occorre alcun requisito, nè di età, nè di nascita, nè di religione.

Quella casa accoglie, con la porta sempre aperta, e la porta rimane aperta e lascia che esca chi vuole, chi non si sente capace di una auto-redenzione. La libertà che quella gente gode, è il segreto vitale della istituzione. La redenzione non è imposta ma aiutata. Chi vuol lavoro può cercarselo liberamente, garante sempre la casa e la casa raccomanda, sovvenziona, mantiene. V’ha chi permane e sono pochi e v’ha chi solo pernotta e prende cibo e sono molti.

I frutti? Domandate i frutti? Se come me aveste visto quella gente, se come me aveste cercato di penetrare in quelle anime che non rifuggivano da quel vostro esame, ma quasi ne erano intimamente soddisfatti, avreste compreso l’alta importanza morale e civile dell’opera di Luisa Andrè.

Una grande, un’intima soddisfazione ella ebbe un giorno, negli ultimi tempi di sua vita, ricevendo un vaglia di cento lire da un ex ricoverato. Erano per l’Istituto. E quand’ella mori all’ospedale, quando la triste nuova giunse alla casa dei suoi figli, i suoi figli piansero — essi che da lungo non avevano pianto — una lagrima sola ben più significativa che tante pagini vergate senza convinzione, con freddezza mestierante. La loro «mamma» era morta, non l’avrebbero rivista più.... No, non è vero, ella è ancora fra loro, ancora sorride loro, persuade, incoraggia, solleva.

Francavalle Lampugnani.




Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.


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Offerte per l’Opera Pia Catena

(CURA DI SALSOMAGGIORE).

Signora Bergomi Calegari Enrichetta |||
 L. 10 ―
» Maroni Elvira |||
   » 30 ―
» Annoni Riva Maria |||
   » 10 ―
» Annoni Ernestina |||
   » 10 ―
» Annoni Gina |||
   » 10 ―
» Sormani Della Carlina Erminia |||
   » 10 ―
» Della Carlina Nicoli Francesca |||
   » 10 ―
» Rossi Hayez Angelina (soda perpetua) |||
   » 100 ―
» Vittadini Colombo Virginia |||
   » 10 ―
» San Pietro Rutschmann Elisa |||
   » 10 ―
» Pozzoli Bice |||
   » 10 ―
» Della Porta Bruni Amalia |||
   » 10 ―
» Bajetta Regina ved. Murari |||
   » 5 ―
» Ferrario Ticozzi Angela |||
   » 10 ―
» Ferrario Maria Carla |||
   » 10 ―
» Camperio Clerici Lucia |||
   » 10 ―
» Consonno Bizzozero Marianna |||
   » 10 ―

NUOVE PATRONESSE.

Signore: Vittadini Colombo Virginia ― San Pietro Rutschmann Elisa ― Consonno Bizzozero Marianna.

PENSIONE FAMIGLIA PER IMPIEGATE


Somma retro L. 3454 ―

Signora Giuseppina Biraghi Palmieri |||
   » 5 ―
Contessa Giulia Sanseverino Tarsis |||
   » 10 ―
Comm. Federico Weil |||
   » 100 ―


(Continua) Totale L. 3569 ―

Sull’argomento di questa Pensione, la Perseveranza di domenica ha pubblicato il seguente articoletto:

Una simpatica istituzione.

Sotto gli auspici della marchesa Anna Visconti Casati, nell’ottimo ambiente del Circolo Rossari, in seguito ad un’adunanza alla quale intervenne, benchè sofferente, anche la signora Celestina Griseri, usci la buona ed efficace iniziativa di una simpatica istituzione rispondente ad un bisogno assai sentito, cioè una Pensione Famiglia per impiegate.

La marchesa Visconti assunse la maternità dell’opera nel suo inizio e le prime pratiche per il funzionamento furono assunte da una intelligente signorina, Maria Ghislandi, che riunisce in sè le energie e le attitudini volute per ben riuscire nella intrapresa. Notisi che la Ghislandi, anche come distinta impiegata, gode dell’appoggio di egregi industriali quali sono l’ing. cav. Pietro Gavazzi e il sen. Lodovico.

La pensione ideata dovrebbe riuscire una casa bene ordinata, nella quale potrebbero ospitare anche quelle apprendiste che, trascorsi tre anni nella provvida Pensione Benefica per giovani lavoratrici e abilitate a guadagnarsi una buona giornata, non avrebbero più diritto alla beneficenza, pur avendo bisogno di un asilo sicuro e di attenzioni famigliari.

Un bell’invito a dare adesioni, diramato col nome della marchesa Visconti, ha già ottenuto molte firme e la somma di circa lire quattromila.

L’aiuto invocato è solo per le spese d’impianto e per i primi anni di esercizio, poichè le promotrici e i promotori ritengono per fermo che le risorse riunite delle pensionanti impiegate debbano poi bastare a mantenere la Pensione Famiglia.

Le sottoscrizioni si ricevono presso la marchesa Anna Visconti Casati (via Borgonuovo, 5) e A. M. Cornelio (via Gesù, 8).