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Anno IX. Sabato, 19 Febbraio 1910. Num. 8.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Beneficenza.Francavalle Lampugnani. Una donna benefica — Offerte per l’Opera Pia Catena — Pensione famiglia per Impiegate.
Religione. — Vangelo della seconda domenica di Quaresima.
Educazione ed Istruzione. — La solenne consegna delle insegne di Cavaliere mauriziano a mons. Giuseppe Villa — D. O. All’Istituto Grimm — Angelo Maria Cornelio. Egidio Gavazzi.
Società Amici del bene. — Per una famiglia sventurata — Francobolli usati.
Notiziario. — Necrologio settimanale — Diario.

Beneficenza


UNA DONNA BENEFICA

PP
rima di lasciare questa città, volli visitare ancora qualcosa che non fosse un monumento, che non avesse una storia nel passato, che mi parlasse invece di ciò che è oggi Firenze, rispetto al suo popolo, e mi recai in via Vittorio Emanuele, fuori porta, all’istituto Luisa Andrè. Molti de’ lettori, quelli che si occupano di cronache benefiche, avranno presente questo nome di Straniera, nome tanto caro ai fiorentini che anno cuore. Uscendo da quell’istituto di pace-serena-soavissima e rifacendo a piedi la strada in una notte stellata e tiepida, sentii nel cuore una dolcezza senza nome, che oggi non so, non posso esprimere se non scialbamente e che in quell’ora silente mi dava una sensazione melanconicamente gratissima. Chi fu Luisa Andrè?

Una donna.

Ed a me pare che in questo solo nome, inteso nel senso più puro, più intimo, più affettuoso si possa tutto compendiare l’opera grandiosa di Luisa Andrè. Fu una donna e sentì di essere donna, nè desiderò una folle indipendenza, ma fu indipendente, nè desiderò una impossibile equiparazione, ma fu non solo pari, ma superiore. Aveva nell’animo tesori di dolcezza e non li tenne celati, ma li estrinsecò, ma ne fece partecipi tutti coloro che la dolcezza non avevano provata mai.

Le sue energie non comuni spese in un continuo eroico
sacrificio, in una dedizione intera, spontanea, e morì dopo questo sacrificio, dopo questa dedizione, di un male che non perdona, lasciando dietro a sè un vuoto, un rimpianto, non imposto dall’ipocrisia delle convenienze, ma dalla sincerità del cordoglio. Io oggi, scrivendo di lei che non ho conosciuto, che da due anni è morta, della quale non ho visto che il ritratto, compio un’opera doverosa e sento tutta la soddisfazione intima, ineffabile di compierla.

Rivedo quei volti di uomini, di donne, di ragazzi, di fanciulle che seduti alla mensa ospitale mangiavano in quell’ora serotina, dopo il lavoro della giornata e che guardavano a me come ad un estraneo, sì, ma senza diffidenza, senza presunzione.

La dolcezza, la pace, la calma avevano finalmente sedate le lotte intime, tempestive, e quel sorriso che vedevo sui loro volti, quel saluto breve, rispettoso a un tempo e fiducioso mi dicevano chiaro che quei reprobi, quegli scacciati si erano rappacificati col mondo; intorno a loro non vedevano più dei nemici pronti a respingerli, a ricacciarli giù se tentavano di sollevarsi più in alto, non vedevano gli uomini di una razza superiore, o che si crede tale, che condanna per sempre quelli che i giudici hanno condannato provvisoriamente; ma dei fratelli, degli uguali, degli alleati autorevoli, che li prendevano a cuore, che si occupavano di loro con disinteresse palese e con sacrificio nascosto, significatissimo. Sui loro volti non più i segni della prigione sofferta, dalla quale forse erano usciti da poco; non più il ghigno, lo scherno, la bestemmia, ma la parola calma, assennata, fiduciosa; la gioia inenarrabile di chi lavora, e vede moralmente rinumerato il suo lavoro, di chi con la paga riceve ogni giorno la lode, il consiglio. Tutto quanto prova un nostro operaio e che tante volte fu negato e ancora si nega ai liberati dal carcere.

La “morte civile”, lo scherno, la vergogna che gravitano, che urgono su tutta un’esistenza spezzandola, soffocandola, schiacciandola: un marchio che già da lungo tempo è scomparso, ma che la prevenzione diffidente riscontra ancora, sempre. E su loro, aleggiante come uno spirito buono, la figura della fondatrice, della mamma come l’avevano chiamata gli altri che li avevano preceduti in quel luogo di carità, come alcuni di loro stessi l’avevano chiamata, gli altri che li avevano