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58 IL BUON CUORE
preceduti in quel luogo di carità, come alcuni di loro stessi l’avevano chiamata, questa donna bionda, dagli occhi dolci, dalla voce carezzevole, che sapientemente usava tutte le gradazioni, tutti i toni; sempre calma, sempre seria, che amava Dio, e che in Dio e per Dio chiamava fratelli, chiamava figli quelli che erano stati degli assassini, dei ladri. Aleggiava quella figura bionda beneficamente vicina, ed oggi chi continua l’opera sua lo fa per lei.

Un suo fratello ingegnere, che come lei ha la dolcezza nel volto e la melodiosità nella voce, mi disse che chi continua l’opera della sorella non lo fa come la sorella. Sono persuaso. L’opera di Luisa Andrè era personale, era l’impronta di un genio della abnegazione e della beneficenza, e l’opera dei geni, è risaputo, non si può imitare. Ma Luisa Andrè era un apostolo, e la parola e l’esempio di un apostolo lasciano tale impressione, tale incancellabile ricordo in chi già fu compagno e collaboratore, che questi non può tutto scordare; non può scordare quegli slanci intimi fortissimi, e pur non emulando, pur non imitando, si uniforma, e con lo slancio che sa, che l’apostolo gli apprese, compie quanto può e lo compie bene. Chi è succeduto a Luisa Andrè non sarà personale, ma non può essere fiacco.

Per forza deve essere, ed è — me ne sono accorto — zelante oculatissimo.

Eppure questa donna, di nessuna apparenza, aveva innata la beneficenza. La sua vita fu tutta spesa per la beneficenza. Rinunciò ad essere la madre dei suoi possibili figli, per essere la madre dei figli di altre madri, morte o indegne, o sconosciute. Quel sentimento così innato nella donna, che pur essendo disinteressato ha un fondo di egoismo, ella privò di questo fondo e fece tutto un apostolato lungo faticosissimo.

«Nata ad Annecy, sul lago solcato dai cigni... Luisa Andrè, aveva nell’anima la luce del suo cielo, la profondità serena del suo lago e quella inoffuscabile fiducia nella bontà innata in ogni essere umano».

Per lei non esisteva vergogna, non esisteva bassezza capace di corrompere, di offuscare per sempre la tersità dell’animo. Anche ladro, anche assassino per lei l’uomo era sempre uomo, sempre aveva la potenzialità di redimete sè e l’opera sua più assidua, fu di porgere a costoro i mezzi per una salutare, fruttifera redenzione. La sua mano era la mano stessa della pietà, che dona e solleva inesauribilmente. Ella voleva oltrechè sorvegliarli, vivere con i suoi figli di elezione. E così fu che un giorno ella abbandonò per sempre la casa paterna, la famiglia, gli agi, per andare a vivere in quella nuova stranissima famiglia, a portarvi il suo sorriso, il suo fascino, a dissiparvi le amarezze, i rimpianti. E quei giovani, quegli uomini fatti, quei reduci delle patrie galere, sottoposti ancora alla vigilanza avvilente della questura, compresero che quella fortunata non scendeva fra loro con viso falsamente benigno, celando interessi sfruttatori, compresero che c’era un tesoro d’affetti in quel cuore e che traboccavano nella sua parola semplice e persuasiva e l’amarono. Anche i più refrattari, anche i più riottosi. Nè lei usò verso di loro, manco una volta, dei mezzi che non fossero la persuasione e la bontà
Si racconta di un giorno che entrò sola, inerme nello stanzino, dove uno dei ricoverati più feroci, inveiva portando scompiglio. Parla a lungo con quello sciagurato, a lungo sopportò le sfuriate triviali di quell’uomo, non retrocedendo, non investendo mai, sempre calma, sempre uguale, sempre franca, persuasiva, quasi implorante. Un’ora dopo il riottoso non usciva dall’istituto come aveva divisato, ma rimaneva, più rispettoso, più riconoscente. Il fascino di quella donna singolare aveva trionfato. E molti sono i casi come questo.

E vi sono le passeggiate notturne nei quartieri più pericolosi, più equivoci di Firenze, al Canto dei quattro Leoni o al Canto alla Briga, a fine di sorprendere e ricondurre a sè qualcuno di quei «suoi ragazzi», che le erano fuggiti. E la sua voce si spiegava alla trivialità del gergo, e quei delinquenti provetti o precoci, ammaliati dal suo fascino, soggiogati dalla sua forza, la seguivano e rientravano con lei nell’asilo. Una volta si vesti perfino da uomo, un’altra, questa eroina oscura, si buscò una coltellata. Ma la sua fede non venne meno, nè si allentò il suo zelo.

Continuò sempre, visitando le osterie, le carceri, gli ospedali, tutti i chiassi più luridi, più oscuri, scovandovi sempre nuovi ospiti per la sua casa, nuovi figli per la sua maternità benefica insaziabile. E per essere fra quei fortunati non occorre alcun requisito, nè di età, nè di nascita, nè di religione.

Quella casa accoglie, con la porta sempre aperta, e la porta rimane aperta e lascia che esca chi vuole, chi non si sente capace di una auto-redenzione. La libertà che quella gente gode, è il segreto vitale della istituzione. La redenzione non è imposta ma aiutata. Chi vuol lavoro può cercarselo liberamente, garante sempre la casa e la casa raccomanda, sovvenziona, mantiene. V’ha chi permane e sono pochi e v’ha chi solo pernotta e prende cibo e sono molti.

I frutti? Domandate i frutti? Se come me aveste visto quella gente, se come me aveste cercato di penetrare in quelle anime che non rifuggivano da quel vostro esame, ma quasi ne erano intimamente soddisfatti, avreste compreso l’alta importanza morale e civile dell’opera di Luisa Andrè.

Una grande, un’intima soddisfazione ella ebbe un giorno, negli ultimi tempi di sua vita, ricevendo un vaglia di cento lire da un ex ricoverato. Erano per l’Istituto. E quand’ella mori all’ospedale, quando la triste nuova giunse alla casa dei suoi figli, i suoi figli piansero — essi che da lungo non avevano pianto — una lagrima sola ben più significativa che tante pagini vergate senza convinzione, con freddezza mestierante. La loro «mamma» era morta, non l’avrebbero rivista più.... No, non è vero, ella è ancora fra loro, ancora sorride loro, persuade, incoraggia, solleva.

Francavalle Lampugnani.




Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.