Il buon cuore - Anno IX, n. 03 - 15 gennaio 1910/Beneficenza
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I VINCITORI DEI DONI
DELLE LORO MAESTÀ LE REGINE
Domenica, 9 corrente mese, alle ore 15, nel Salone dell’Istituto dei Ciechi, venne fatta l’estrazione dei due biglietti vincitori dei doni delle loro Maestà le Regine.
I doni spiccavano sopra un tavolo, coperto di damasco rosso, in mezzo alpalco. In due canestri si trovavano arrotolati i biglietti, formanti le madri dei libretti venduti. Dietro il tavolo, erano allineati tutti i bambini e le bambine dell’Asilo, che, sotto la guida delle loro maestre, cantarono, accompagnate dal pianoforte, una piccola e allegra canzoncina.
Nel Salone, insieme agli intervenuti esterni, era presente tutta la comunità maschile e femminile.
Prima di passare all’estrazione, il Rettore credette bene di leggere una poesia della maestra cieca, Maria Motta, da lei composta, non per la circostanza, ma che veniva assai opportuna. La poesia ha per titolo: La fata dei bimbi. La fata dei bimbi è sua Maestà la regina Elena. Poteva trovarsi circostanza più indicata per leggerla dell’estrazione che si stava facendo pel dono dalla regina Elena dato a favore dei bambini ciechi?
Applausi ripetuti scoppiarono al termine della lettura. Si passò allora all’estrazione dei numeri. Ecco il prospetto dei biglietti venduti.
Sua Maestà la Regina Elena.
Sua Maestà la Regina Madre.
Totale biglietti venduti, n. 1052 L. 2104 —
Una parte degli introiti dei biglietti venduti erano già stati conteggiati negli introiti dei singoli banchi nei giorni della fiera.
Una bambina, Averi Maria, condotta innanzi al canestro dei biglietti della Regina Elena, tuffò le sue manine nel cumulo dei biglietti, li rimescolò, e poi trasse e presentò al Rettore il biglietto vincitore. Il Rettore lo svolse e lesse:
Biglietto n. 275. — Ugo De Amicis, Torino.
Erano toccati a lui i due vasi di biscuit.
Un bambino, Pierino Smeltz, tutto in giocondo orgasmo per l’impresa a cui era stato prescelto, estrasse il biglietto del dono di sua Maestà la Regina Madre. L’aspettazione era viva in tutti i presenti, perchè tutti speravano di vincere il bel vassojo coi dodici bicchieri e le due bottiglie scintillanti: molti, col pensiero, li avevano già portati a casa e messi in tavola, mostrandoli con compiacenza agli invitati, colle parole: ecco il dono della Regina Madre, che ho vinto alla fiera dell’Asilo Infantile dei Ciechi.
Il Rettore lesse il numero estratto:
Biglietto n. 337. — Madame Vogel, Via Rovani, 9.
Era toccato a lei il vassojo argentato coi bicchieri e le bottiglie.
Una contenta, e 537 delusi!... Fra questi.... tutti i presenti.
I bambini cantarono un piccolo coro di chiusa. Davvero erano essi i vincitori più fortunati.
Ecco la poesia della maestra cieca Maria Motta.
FATA DEI BIMBI
- Nata in montano paese vergine,
- da un vigoroso popolo giovine,
- cresciuta, qual resa di bosco,
- fra innocenti costumi primevi;
- grazia d’affetti, virtù di liberi
- sensi aspirava col nativo aere;
- d’intuiti materni un tesoro
- dall’età puerile svelava.
- Più che un trastullo, le inerti bambole
- furon sua cura, suo studio furono;
- ché in esse fingeva una vita,
- e d’affetti un ricambio fingeva.
- Poi de’ minori fratelli, l’angelo
- custode apparve, tutta obliandosi
- perchè non piangessero mai,
- perchè buoni crescessero e amanti.
- Così l’augusta sua madre tenera
- in lei fidava, con gioia tacita;
- e d’Elena il nome parea
- d’ogni nome il più bello ai piccini.
- Ora il suo nome suona, in melodiche
- grazie, sul labbro di bimbi italici,
- dal giorno che amor la congiunse
- al nome immortal di Savoia.
- Quand’ella passa, trasfusa l’anima
- candidamente per gli occhi fulgidi.
- gentil, ne la triplice aureola
- di Regina, di sposa e di madre;
- nembi di fiori, salve di plauso,
- a Lei tributa, con grato unissono
- impulso d’affetto, dall’Alpe
- all’estremo Appennino, l’Italia.
- Ma il più gradito fior, ma la musica
- che a Lei nel core scende più armonica,
- è il riso, il saluto dei bimbi;
- chè nei figli Ella tutti li adora.
- Se il fiore ai baci de l’alba rorida,
- se al nido, al volo e all’esca il libero
- augel, se i viventi alla vita,
- i bambini han diritto alla gioia.
- Son lor diritto gl’incanti vergini
- della natura, le fedi ingenue,
- l’affetto che vigila e dona,
- che non dice mai «basta» in sue cure!
- Questo il pensiero, è questo d’Elena
- Regina il pio voto, e se d’intima
- tristezza in un velo talora
- la sua giovine fronte reclina;
- è una ferita che in cor le sanguina
- per tanti, ahi troppi bimbi, che passano
- languendo, senz’altro retaggio
- che abbandono, miseria e dolore!
- Oh se al materno suo bacio accogliere
- tutti potesse gl’Itali orfani,
- e i diseredati d’amore,
- e i raminghi che asilo non hanno!.....
- Quando, col gruppo genial dei piccoli
- Principi, speme del serto italico,
- la regia carrozza l’adduce
- per le strade di Roma, l’eterna,
- su per gli alti sentieri ombriferi,
- che il mare e l’alpe, ricreano d’aure
- vitali e di magiche viste,
- sempre ai bimbi è reclino il suo sguardo;
- e li ricerca, come ricercansi,
- al sol di marzo, le brune mammole,
- le primole bianche: il suo sguardo
- ha carezze di mamma e di fata.
- Tutto esso vede; tutto con nitido
- senso indovina; anche dell’anima
- di bene ansiosa, e del core
- sitibondo d’affetti, il sospiro.
- Anch’essi, i bimbi, sanno, indovinano,
- poi che un istante muti l’affisano,
- di cure il divino tesoro
- che la madre regina lor serba.
- E a Lei dinanzi non son più timidi,
- non son più mesti, ma le sorridono
- siccome a la mamma, siccome
- a una fata, la fata del bene.
- Questa materna virtù, che ai facili
- giorni Le dona grazie di fascino,
- negli ardui momenti, una luce
- di valor, d’eroismo Le dona.
- Oh ben recente è la memoria!
- di sangue, ahi sangue vivo, pur grondano
- le piaghe che l’ultima, immane
- ecatombe nel cuore c’inferse!
- Ma insieme ci brilla divina all’anima
- l’infaticata virtù, che al tragico
- destin dei colpiti soccorse,
- d’ansie e d’opre in fraterna armonia!
- Quanti, in que’ giorni, da la miserrima
- tomba, alla vita tornando e all’aere,
- si videro accanto, nel fremito
- d’un intenso dolor, ma solerte
- la pia Regina! Oh quanti parvoli
- ploranti in lunghe vocine querule
- fra l’ardue macerie, ritolti
- alle già inerte braccia materne
- fra le sue pronte braccia trovarono
- culla a riposo, carezze e balsami,
- ond’essi non sepper quasi
- d’esser orfani!.... Oh come in quei giorni,
- d’Elena al nome benediceano
- l’afflitte genti Calabro-Sicule,
- che a Lei riguardando, fra loro
- credean scesa dal ciel la Madonna!
- Dall’Etna, rossa per vampe assidue,
- fino al Cenisio, per nevi candide,
- volò il dolce nome regale
- in un’onda di gloria e d’amore.
- Ed oltre i monti, oltre gli oceani
- nelle lontane libere Americhe,
- dovunque si sparse, in un plauso
- di fanciulle, di spose, di madri.
- Ella, infra tanta luce, velandosi
- de la natia modestia angelica,
- seguiva, e pur segue, la santa
- missione di madre e di fata.
- Ai bimbi, ai bimbi, che de la patria
- son l’avvenire, che son d’Italia
- l’albore, l’aprile fiorente,
- le sue trepide cure ognor volge.
- Nella stanzuccia triste del povero,
- de l’ospedale fra l’ansie e i gemiti,
- a l’ombra de’ provvidi asili,
- ove tante miserie han conforto;
- d’Elena il nome trova dolcissima
- eco tra i bimbi; sembra che un’iride
- di liete promesse in quel nome
- vagamente si svegli e risplenda.
- O grande, o buona, salve! Ogni lacrima
- che ai bimbi asciughi, sia gemma fulgida
- nel regio tuo serto; sia pegno
- di materne esultanze al tuo core.
- Il tuo montano paese vergine,
- il vigoroso tuo popol giovine,
- la casa ove amando crescesti,
- fra innocenti costumi primevi;
- Madre regina, di Te si onorino;
- Fata dei bimbi, Te risalutino;
- e l’Itala terra che adori,
- poi che nova tua patria si noma;
- l’Itala terra, Te canti e veneri,
- nè mai, di tempo per lungo volgere,
- su l’orme tue sante, sul nome
- tuo gentile, non scenda l’oblio.
Maria Motta
Maestra Cieca