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18 | IL BUON CUORE |
- Poi de’ minori fratelli, l’angelo
- custode apparve, tutta obliandosi
- perchè non piangessero mai,
- perchè buoni crescessero e amanti.
- Così l’augusta sua madre tenera
- in lei fidava, con gioia tacita;
- e d’Elena il nome parea
- d’ogni nome il più bello ai piccini.
- Ora il suo nome suona, in melodiche
- grazie, sul labbro di bimbi italici,
- dal giorno che amor la congiunse
- al nome immortal di Savoia.
- Quand’ella passa, trasfusa l’anima
- candidamente per gli occhi fulgidi.
- gentil, ne la triplice aureola
- di Regina, di sposa e di madre;
- nembi di fiori, salve di plauso,
- a Lei tributa, con grato unissono
- impulso d’affetto, dall’Alpe
- all’estremo Appennino, l’Italia.
- Ma il più gradito fior, ma la musica
- che a Lei nel core scende più armonica,
- è il riso, il saluto dei bimbi;
- chè nei figli Ella tutti li adora.
- Se il fiore ai baci de l’alba rorida,
- se al nido, al volo e all’esca il libero
- augel, se i viventi alla vita,
- i bambini han diritto alla gioia.
- Son lor diritto gl’incanti vergini
- della natura, le fedi ingenue,
- l’affetto che vigila e dona,
- che non dice mai «basta» in sue cure!
- Questo il pensiero, è questo d’Elena
- Regina il pio voto, e se d’intima
- tristezza in un velo talora
- la sua giovine fronte reclina;
- è una ferita che in cor le sanguina
- per tanti, ahi troppi bimbi, che passano
- languendo, senz’altro retaggio
- che abbandono, miseria e dolore!
- Oh se al materno suo bacio accogliere
- tutti potesse gl’Itali orfani,
- e i diseredati d’amore,
- e i raminghi che asilo non hanno!.....
- Quando, col gruppo genial dei piccoli
- Principi, speme del serto italico,
- la regia carrozza l’adduce
- per le strade di Roma, l’eterna,
- su per gli alti sentieri ombriferi,
- che il mare e l’alpe, ricreano d’aure
- vitali e di magiche viste,
- sempre ai bimbi è reclino il suo sguardo;
- e li ricerca, come ricercansi,
- al sol di marzo, le brune mammole,
- le primole bianche: il suo sguardo
- ha carezze di mamma e di fata.
- Tutto esso vede; tutto con nitido
- senso indovina; anche dell’anima
- di bene ansiosa, e del core
- sitibondo d’affetti, il sospiro.
- Anch’essi, i bimbi, sanno, indovinano,
- poi che un istante muti l’affisano,
- di cure il divino tesoro
- che la madre regina lor serba.
- E a Lei dinanzi non son più timidi,
- non son più mesti, ma le sorridono
- siccome a la mamma, siccome
- a una fata, la fata del bene.
- Questa materna virtù, che ai facili
- giorni Le dona grazie di fascino,
- negli ardui momenti, una luce
- di valor, d’eroismo Le dona.
- Oh ben recente è la memoria!
- di sangue, ahi sangue vivo, pur grondano
- le piaghe che l’ultima, immane
- ecatombe nel cuore c’inferse!
- Ma insieme ci brilla divina all’anima
- l’infaticata virtù, che al tragico
- destin dei colpiti soccorse,
- d’ansie e d’opre in fraterna armonia!
- Quanti, in que’ giorni, da la miserrima
- tomba, alla vita tornando e all’aere,
- si videro accanto, nel fremito
- d’un intenso dolor, ma solerte
- la pia Regina! Oh quanti parvoli
- ploranti in lunghe vocine querule
- fra l’ardue macerie, ritolti
- alle già inerte braccia materne
- fra le sue pronte braccia trovarono
- culla a riposo, carezze e balsami,
- ond’essi non sepper quasi
- d’esser orfani!.... Oh come in quei giorni,
- d’Elena al nome benediceano
- l’afflitte genti Calabro-Sicule,
- che a Lei riguardando, fra loro
- credean scesa dal ciel la Madonna!
- Dall’Etna, rossa per vampe assidue,
- fino al Cenisio, per nevi candide,
- volò il dolce nome regale
- in un’onda di gloria e d’amore.
- Ed oltre i monti, oltre gli oceani
- nelle lontane libere Americhe,
- dovunque si sparse, in un plauso
- di fanciulle, di spose, di madri.
- Ella, infra tanta luce, velandosi
- de la natia modestia angelica,
- seguiva, e pur segue, la santa
- missione di madre e di fata.
- Ai bimbi, ai bimbi, che de la patria
- son l’avvenire, che son d’Italia
- l’albore, l’aprile fiorente,
- le sue trepide cure ognor volge.
- Nella stanzuccia triste del povero,
- de l’ospedale fra l’ansie e i gemiti,
- a l’ombra de’ provvidi asili,
- ove tante miserie han conforto;
- d’Elena il nome trova dolcissima
- eco tra i bimbi; sembra che un’iride
- di liete promesse in quel nome
- vagamente si svegli e risplenda.
- O grande, o buona, salve! Ogni lacrima
- che ai bimbi asciughi, sia gemma fulgida
- nel regio tuo serto; sia pegno
- di materne esultanze al tuo core.
- Il tuo montano paese vergine,
- il vigoroso tuo popol giovine,
- la casa ove amando crescesti,
- fra innocenti costumi primevi;
- Madre regina, di Te si onorino;
- Fata dei bimbi, Te risalutino;
- e l’Itala terra che adori,
- poi che nova tua patria si noma;
- l’Itala terra, Te canti e veneri,
- nè mai, di tempo per lungo volgere,
- su l’orme tue sante, sul nome
- tuo gentile, non scenda l’oblio.
Maria Motta
Maestra Cieca