La primavera

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XXX XXXII
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XXXI

LA PRIMAVERA


C
atullo era veramente andato via da Roma.

Siccome il proconsole Memmio partiva da Roma per andare in Oriente a governare la Bitinia e i Bitinii, cosi Catullo si era unito alla compagnia dei nobili giovani che formavano la coorte di quell’alto magistrato. Erano ragazzi che andavano in quelle terre lontane nella speranza di far bene assai, perché Memmio passava per uomo letterato, seguace di Euforione e molto aveva promesso ai suoi giovani amici; ma alla prova si dimostrò poeta futurista, in quanto non mantenne le promesse fatte: anzi piuttosto seguace di quel Verre rapinatore che fu famigerato da Cicerone. Prendeva molto per sé e poco lasciava prendere ai giovani amici, si che questi se ne dolevano e dicevano che in quella spedizione ci avevano persino rimesso di borsa propria. «Non ci abbiamo fatto nessun guadagno, nemmeno per i profumi della testa.»

«Quel pretore scorticava i Bitinii: tutto lui e a noi non lasciava da mungere niente.»

Che bella cosa sarebbe stata per quei [p. 203 modifica] vani ritornare a Roma con otto schiavi orientali si da farsi portare in portantina per il corso! Cosi speravano, cosi dicevano. E invece niente.


Lì, in Asia, prima che ci arrivassero i Romani, c’erano passati i Macèdoni con re Alessandro a portar via i tesori di Dario; e prima ancora, il gran re Serse a portar via i tesori di Creso; e prima ancora il re dei re, Agamennone, a portar via i tesori di Priamo.

E questo fu nel mondo antico. E nel mondo nuovo andarono quei gran filibustieri che furono Spagnoli, Inglesi, Olandesi. Cosi ogni popolo vive per la sua morte, e muore per la sua vita.

In quel mondo antico dove andò Catullo, comandano oggi, con grande orgoglio, i Turchi e la gente turchesca, e ci vanno gli archeologi a scoprire le città morte e sepolte.

Catullo ci andò per trovare medicina alla sua passione e alla malferma salute, e anche per rivedere un’altra volta la tomba del fratello; e gli portava i doni della Morte, che erano latte, olio, miele. Parlò al cenere del fratello: «Ma invano —, egli dice, — io parlai ». Il cenere di lui era muto. E anche Virgilio dice che quelle inferie sono « vani doni» agli Dei. E anche Ugo Foscolo dice che parlò al « cenere muto » del fratello. [p. 204 modifica]Questa concordanza dei poeti è veramente cosa molto triste.


Bella città è Nicea, capitale della Bitinia, non lungi da Ankara: fertili sono i suoi campi. A cambiare aria gli ha fatto bene.

Però in Oriente l’estate è assai calda, la primavera è precoce e il tempo equinoziale ventoso è volubile più di Catullo. Ma appena i venti e le piogge equinoziali passarono, ecco Zefiro passeggiò sul mondo, sfiorò la terra, e apparve il sereno.

Balzarono allora dal cuore di Catullo alcuni versetti esultanti e palpitanti come mai ne ebbe la Primavera in suo onore.

Quei versetti saltellano nel ritmo stesso della canzone sul passerotto morto: Jam ver egelidos refert tepores.

E vi si racconta che Zefiro ha imposto silenzio alle furie dei venti equinoziali.

Questo Zefiro, o Zefiretto, oggi ha un sapore stantio della vecchia Arcadia, si che nessuno lo nomina più; ma duemila e più anni fa, era un venticello che volava allegro con due ali di farfalla, per scongelare la terra, con un paniere pieno dei fiori della primavera, e al suo alitare maturavano le sementi e le spighe.

Forse era mandato dalla Dea Cibele.

Il tepore ridesta persino gli addormentati [p. 205 modifica] serpenti; balzò al tepore del tempo nuovo il cuore di Catullo, e gran desio gli viene di volar via e visitare il mondo. Presto, presto! Andiamo a vedere il mondo.

Perché il mondo è cosi bello, cosi elegante, cosi puro, come hanno detto i Greci che lo hanno chiamato «cosmos» e i Romani lo hanno chiamato «mondo», che pur vuol dire: adorno e bello.

Visiteremo, lui dice, le luminose città dell’Asia: claras Asiae urbes!

Sorgono quelle città a specchio dei mari; hanno templi e edifici armoniosi, sorretti da colonne umane e fiorite. Visiteremo Lesbo, dove la divina Saffo commosse col plettro le corde della sua cetra armoniosa. Visiteremo Ilion dove Eléne trasse dietro il suo peplo gli uomini in lunga battaglia. Vedremo Rodi dalle fresche sorgenti dove il cielo non è mai nuvoloso. Le vie e le mura di Rodi non hanno al mondo chi le pareggi. Alta di settanta cubiti si eleva la statua di Apolline. Vedremo Creta coi boschi di cipressi avidi di sole. Vedremo Sibari e Metaponto, città fiorite. Risaliremo l’Adriatico dove l’onda profonda ricama isole e costiere: arriveremo alla città di Spina dove i beati Etruschi mangiano grasse anguille e vuotano anfore elleniche di vino di [p. 206 modifica] Chio, di vino della lor landa incantata, spumoso come sangue.

Ma no! noi non abbiamo itinerarii, noi non abbiamo termine e mèta: noi andiamo dove ventura ci porta.

Addio, dunque, addio, pretore Memmio, statti bene, amor mio: Catullo se ne va. E voi, compagni cari, ci rivedremo quando ci rivedremo.

Strade molte, strade varie! Al paese suo natio onde un giorno uom si partì, un bel di si rivedrà.