Incontro di Catullo con Cesare

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XIV

INCONTRO DI CATULLO CON CESARE


O
r Catullo viveva in ragionevole trepidazione di scontrarsi con Cesare. Se Mamurra per tollerabili scherzetti gli aveva spedito sicari a rompergli la testa, questa era roba da coltello.

Ed ecco si scontrò con Cesare.

Il quale disse:

— Non si salutano più gli amici? Vedo che vi occupate in satira delle cose mie.

— La satira è un piatto nazionale, — rispose Catullo.

— Già, — disse Cesare — , una specie di cibreo dove c’entra miele... e aceto. Una specie di pan pepato o pan forte. Voi però, Catullo, esagerate nel pepe e nell’aceto. Ci avete aggiunto, o vi hanno consigliato di aggiungere un po’ di cicuta? Già che vi incontro, vi vorrei dire una cosa: nel caso vi venisse genio di qualche altro epigramma, abbandonatevi meno all’imaginativa e tenete più conto di qualche altra informazione più precisa intorno a Cesare: il ritratto che avete fatto di Cesare è sbagliato. Cesare è figlio di Venere, perciò [p. 115 modifica] nessun poeta, nessun pittore, o statuario, potrà mai ritrame l’imagine.

Cesare disse questo con tale sorriso che lo schernevole Catullo si senti schernito.

Cesare riprese:

Mali culices ranaeque palustres avertunt somnos. Io, Cesare, invece, dormo bene lo stesso. Quando i corsari catturarono me giovanetto, dormii tranquillissimo. Ero sicuro che li avrei fatti crucifiggere il giorno seguente, e mantenni la mia promessa. Ma a proposito di zanzare, sentite questa : un mio antenato che era delle parti della Flaminia, fece a sé questo stemma.

E Cesare prese una tavoletta cerata, e con uno stilo rapidamente tracciò un grosso bestione, munito di grandissimo naso.

— Non sono né Zeusi, né Apelle, — disse, — ma si comprende che cosa questo disegno rappresenta.

— È un elefante, — disse Catullo.

— Bene. E adesso state attento.

E qui Cesare con la punta dello stilo tratteggiò attorno all’elefante un nuvolo di bizzarri segni.

— Queste, — disse spiegando, — sono zanzare. Ed ecco il motto araldico di quel mio antenato: «L’elefante non ha paura delle zanzare». Quel mio antenato, sappiate, era un [p. 116 modifica] orgoglioso, che diceva discendere dai grandi Scipioni. Le zanzare, voi sapete, sono piccoli vermicelli alati, muniti di un pungiglione e di una tromba, ambedue fastidiosi. Alcune zanzare nascono dalle fecce del vino, alcune dai fichi guasti, alcuni dai muli, e le più dalle acque putride. Mi fa specie che voi cosi simpatico ragazzo, e di buona famiglia, abbiate un pungiglione cosi velenifero. Mi sta nella memoria quando fui ospite a Sirmio presso i vostri cari parenti. Voi eravate bambinello e vi presi sui miei ginocchi. Fra codesti neòteri che verseggiano in Roma, le vostre poesie hanno un profumo quasi virginale anche se dite insolenze. Non vi lasciate trasportare dal cattivo genio di offendere. L’offesa è inutile in ogni caso! Però state attento, o Catullo.

E qui Cesare sorrise di un affascinante sorriso. Poi il sorriso scomparve e con mutata voce, gravemente disse:

— Io, caro Catullo, benché sia arrivato oltre la metà della vita, nulla ho ancor fatto per cui possa esser comparato ai grandi condottieri. Ma voi mi avete chiamato unico imperatore, anzi mi avete invocato unice imperator. Ebbene, accetto l’augurio, e con l’augurio l’invocazione. Se gli Dei mi daranno vita, io sarò unìcus imperator. Voi l’avete detto per ironia, io ve lo ridico da senno, che Cesare non avrà pari nel [p. 117 modifica] mondo e perciò sarà unìcus ìmperator. Cesare sarà imperatore e re. I bambini da noi la cantano ancora questa altra canzonetta: l’avrete cantata voi pure da bambino a Verona: Rex erit qui recte faciet: qui non faciet non erit.

Fra i potenti della terra, Cesare sarà unico che non avrà mai operato per bassa passione, che non avrà mai operato se non conforme al bene della Repubblica. La prosodia delle azioni di Cesare sarà impeccabile, come voi nei vostri versetti. Bene! Cesare divenuto re e imperatore, lascierà ronzar le zanzare. Da quelle trombette maligne qualche cosa si impara. Anche ai miei soldati li lascierò cantare, anche contro di me; cosi si riposano e si confortano del lungo cammino e delle dure vigilie. Bisogna concedere al popolo valvolette di sfogo. E dopo ciò, facciamo pace, o Catullo? Venite a cena da me?