Il bacio di Lesbia/XI
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XI
CLODIO, IL FRATELLO DI CLODIA
Cicerone lo classifica come lo spavento dei buoni cittadini, e che aveva deliberato di travagliare Roma fino alla morte.
È anche vero che quando Cicerone scrisse cosi, si trovava in speciali condizioni d’animo contro di lui. Che però Clodio fosse giovane fazioso, non sembra da dubitare. Clodio sarebbe stato qualcosa di simile a un nostro terrorista. Plutarco ce lo rappresenta che scorrazza per Roma, brioso e audace, a capo del proletariato, e faceva tremare anche il Senato.
Parlava con voce squillante, a scoppio sintetico, in quel linguaggio che è ben compreso dal coro dei disperati: Viva! Morte! Carne! Ammazza! Crucifige! Rapiamus raptores! Per vim, cum furore, cum ímpetu et festinatione rapiamus!
Avevano portato via a lui, o lui aveva dissipato la sua roba, e adesso lui voleva portar via la roba agli altri. Questo è il ritornello della ardente Musa, chiamata Clio.
Disposto però era Clodio, in queste operazioni di borsa rivoluzionaria, a pagar di persona; perché, come Catilina dalla gente Cetega, cosi lui dalla gente Claudia, della sua fine pelle nulla romanamente curava.
Se Appio Claudio, l’antico sabino che lanciò da Roma la di pietre battuta Appia via; che a Roma aveva introdotto l’acqua da lui detta Claudia; che per sua grande parola aveva sbarrato a re Pirro l’ingresso in Roma, avesse udito quel suo nepote, che cosa avrebbe detto?
Ma Clodio, dice il mio Calepino, voleva «salire in grandezza». Quanto è mai bello questo «salire in grandezza», che poi vuol dire arrivare a una aristocrazia. Non è l’antica strada coi vecchi stemmi, è la nuova strada coi nuovi stemmi. E anche questo è il ritornello di Clio.
Clodio ha posto la sua candidatura come tribuno. È stato eletto, ma i nobili senatori gli hanno opposto la legge. La legge dice che un aristocratico non può essere tribuno. Che fece allora Clodio? Si fece adottare da un plebeo, e con la soppressione di un dittongo, da Claudio diventò Clodio, e da nobile, plebeo.
Ma non potè rinnegare le sue fattezze! Tutta la gente Claudia era bella, e lui era affascinante, perciò per tutta Roma era conosciuto col nome di Clodio il Bello. Catullo un giorno se lo vide venire incontro: camminava alla spavalda dondolandosi lieve su le anche come fanno le belle donne. Pugnale al fianco.
— Ehi là, Catulle! come va? Si vales bene est, ego valeo. La mia sorellina è incantata di voi. Qua la mano! Siete simpatico anche a me. È vero che avete una lingua viperina? Bonum! La mia sorellina, che si diverte a far la poetessa, mi ha parlato con molto favore di voi. Ragazza seria, piena di giudizio! Avete attaccato, coi vostri scherzetti, l’amasia di Mamurra, il cane di Cesare. Realmente è una donna che non vale molto per venustà esteriore. Però negli esercizi intimi non manca di pregio. Del resto una donna che riesce a farsi regalare una villa da uno come Mamurra, qualche titolo bisogna che glielo riconosciamo. Vi hanno picchiato, eh? Un’altra volta, se vi dànno molestie, mandate un biglietto a Clodio. Dicono che io sono prepotente: io sono un agnellino.
I grandi occhi neri avevano lampeggiamenti sanguigni.
— Ora ditemi una cosa, Catullo, — continuò Clodio —, siete anche voi di quelli che fanno la corte a Cesare? — Faccio la corte alle femine, e non ai maschi, io!
— Bravo! È quello che mi ha detto la mia sorellina. Ma Cesare lo conoscete?
E Catullo rispose:
— Fu una volta ospite a casa nostra. Me ne ricordo appena, ché io ero allora bambino. Solo ricordo che le vivande col burro non gli piacevano: disse che era condimento da barbari: lui era usato all’olio.
— Molto olio infatti, — disse con strano riso Clodio: — tutto spalmato d’olio! Non sai come prenderlo. Ma lo prenderemo, lo prenderemo !
E Catullo disse:
— C’è chi lo chiama angelo, c’è chi lo chiama demonio; ma a me non importa sapere se è bianco o nero, se è angelo o demonio.
— Lo sappiamo, — disse Clodio —. Voi, o Catullo, vivete nella torre eburnea della poesia. E allora passiamo ad altro. Avete patrimonio? Avete ville? Avete praedia? Avete oro ed argento? Siete ricco di positis in foenore nummis? Sventura a voi!
— Mio padre, — rispose Catullo, — mi ha lasciato da vivere con ozio e dignità; ma perché dite: sventura a me?
— Perché più grasso è il patrimonio e meglio se lo mangiano. Hanno mangiato venti milioni di sesterzii! Hanno mangiato il Ponto! la Spagna! l’Asia! Ora si sente dire che vanno a mangiare la Cisalpina. Voi avete i vostri beni nella Cisalpina? Ham!
E aperse la bocca e fece l’atto del mastino che ingoia.
— Di chi parlate? — domandò Catullo.
Clodio disse:
— Uscite fuori della torre d’avorio e informatevi. Ma Roma, finché Clodio vive, non la mangeranno, per Aletto, Tesifone e Megera! Vi salutiamo, Catullo.
Ciò detto gli voltò le spalle, e la squadracela dei suoi sicari gli andò dietro.