Il bacio di Lesbia/X
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X
I BACI
Non ci fu che la giovinetta Antigone a cantare che si sposerà con l’Acheronte!
La ragione di questa avversione della donna agli argomenti funerarii è evidente. Lei porta i bambini nella casa del suo ventre, ed è bene che lei non sia spaventata ed i bimbi non vengano fuori con gli occhi spaventati, ché subito si mettono a piangere.
Appunto, che cosa è successo? Quei vostri discorsi, o Catullo, hanno fatto perdere il sonno alla signora, e lei è andata con i suoi amici a ballare in una taberna musicale. Siete geloso di Quinto, di Celio, sfacciato e bellissimo, di Flavio, di Thallo, di Egnazio? Sozzoni, ladri, cinedi! voi dite. Li vorrebbe lui, Catullo, staffilare come si fa con i servi. Non vi si contradice. Ma voi siete troppo delicato, troppo schifiltoso nella scelta degli amici, cosí che non trovando quelli che volete, vi fate il sangue cattivo, diventate paradossale. E chi vi dice che costoro in tante cose non valgano piú di voi? Tutta l’umanità è la nostra cara amica: merita amore e rispetto. Oh, Catullo, sappiate poi che nella danza esulta l’anima di lei. Infaticabile nella danza! Vedetela là, al suono dei pifferetti e delle tibie vocali, che bel piedino sui sandali lievi! come balla graziosa con la testolina posata sul petto forte di lui, e lui, Egnazio, con quella sua testa dritta, quei denti splendenti, che gira, gira sopra tutte le teste dei ballerini. Che forte barbàtulo è Egnazio! E Celio è un incantatore quando parla: farà carriera in politica. E gli altri come sono eleganti, come sono alla moda! Ciglia e baffetti rasati, sandali di bella fattura. Toghe trasparenti. Sconvenienti! Perché sconvenienti? Sono alla moda. Perché sconcia è la taberna? Come ce ne furono, ce ne sono, ce ne saranno. Quella poi dove va a ballare la signora è il migliore tabarino di Roma, presso il tempio di Castore e Polluce.
Crediamo, Catullo, che voi abbiate torto a deridere la testa di Egnazio perché vuota. Vuota? È piena di risa. Egli ride, ride in ogni occasione: ride sempre. Perché ride? Perché ha bei denti.
«Egnazio ride per far vedere i suoi denti candidi, lupeschi. Ride in tribunale quando l’avvocato difensore parla per commuovere, ride ai funerali, quando una madre piange davanti al rogo dell’unico figlio. Qualunque cosa avvenga, dovunque si trovi, si vedono i suoi denti bianchi che ridono; qualunque cosa egli faccia, ridono i suoi denti bianchi».
E vi par poco, o Catullo?
Porcaccione, voi dite, perché Egnazio, da quel barbaro che è, si strofina i denti con un dentifricio innominabile. E per questo? Anche le pomate piú fine son grasso di porco. Non si commuove Egnazio e non fa tante storie per la morte di un passerotto.
Non trova da dir male degli uomini e del mondo, né di chi è scabbia e rogna del mondo. Ride! C’è chi ride e chi piange. E che la vada! Vi è morto qualcuno? Voi, o siete troppo giovane, Catullo, o vi sentite poco bene in salute. Male est!
Chi sta bene in salute, digerisce tutto e non si accorge di quello che ha digerito.
Dovete stare poco bene. È inutile che minacciate scandalo e pubblicità contro i frequentatori della taberna musicale e danzante all’insegna di Castore e Polluce: vi fareste rider dietro come Catone.
La ragione vera è la vostra gelosia, perché Lesbia vi è scappata via a ballare e siede fra costoro. «O Lesbia, amata quanto donna alcuna non sarà mai amata!». Voi gorgheggiate come un canarino. Piuttosto fatevi tagliare quei capelli, ungeteli, ingommateli! Non vedete gli altri? Lesbia è veramente una raffinata fanciulla. I suoi baci sono con lungo palpito e grande umidore. Ne pretendevate la esclusività?
Lesbia, dolce nome, dama profumata che faceva i bagni freddi e i bagni caldi: labbra di rosa e dentini di gelsomino, non fosti tu a corrompere i Romani con i tuoi baci.
E non venga in mente di credere che i Romani non usassero baci o assai raramente, e che quei «baci cento», «baci mille» fossero un’invenzione di Catullo.
Stando anzi alle dichiarazioni di quella gente inutile che sono i satirici a Roma fu una frenesia di baci: e anche in pubblico, e per le vie.
Sembra piuttosto che quei baci di Grecia e di Roma non contagiassero con l’atra lues, che doveva far prendere il velo del lutto a Venere, e rese celebre il nome dell’altro veronese Gerolamo Fracastoro. «Fu una cosa mostruosa, — dice il medico Fracastoro — , che è venuta coi secoli, i quali — , dice lui — porteranno altre cose mostruose.»