Il Tesoretto (Laterza, 1941)/XIII
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XIII
Or va mastro Burnetto
per un sentiero stretto,
1185cercando di vedere
e toccare e sapere
ciò che l’è destinato.
E non fui guari andato,
ch’i’ fui nella deserta
1190dov’io non trovai certa
né strada né sentiero.
Deh, che paese fero
trovai in quella parte!
Che, s’io sapesse d’arte,
1195quivi mi bisognava.
Ché, quanto piú mirava,
piú mi parea salvagio.
Quivi non ha viagio,
quivi non ha persone,
1200quivi non ha magione,
non bestia, non uccello,
non fiume, non ruscello,
né formica, né mosca,
né cosa ch’io conosca.
1205Ed io, pensando forte,
dottai ben dela morte,
e non è maraviglia,
ché ben trecento miglia
durava d’ogne lato
1210quel paese ismagiato.
Ma sí m’asicurai,
quando mi ricordai
del sicuro segnale
che contra tutto male
1215mi dá sicuramento.
E io presi ardimento
quasi per aventura
per una valle scura,
tanto ch’al terzo giorno
1220io mi trovai d’intorno
un grande pian giocondo,
lo piú gaio del mondo
e lo piú dilettoso.
Ma ricontar non oso
1225ciò ch’io trovai e vidi,
se Dio mi porti e guidi.
Io non sarei creduto
di ciò ch’i’ ho veduto,
ch’io vidi imperadori
1230e re e gran segnori,
e mastri di scienze
che dittavan sentenze,
e vidi tante cose,
che giá in rime né in prose
1235no lle poria ritrare.
Ma sopra tutti stare
vidi una imperadrice,
di cui la gente dice
che ha nome Vertute,
1240ed è capo e salute
di tutta costumanza
e dela buona usanza
e di be’ regimenti
a che vivon le genti.
1245E vidi agli occhi miei
esser nate di lei
quatro regine figlie.
E strane maraviglie
vidi di ciascheduna,
1250ch’or mi parea pur una,
or mi parean divise
e ’n quatro parti mise,
sí ch’ognuna per sene
tenea sue propie mene,
1255ed avea suo legnagio,
suo corso e suo viagio,
e ’n sua propia magione
tenea corte e ragione;
ma non giá di paragio,
1260ché l’un’è troppo magio,
e poi di grado in grado
catuna va piú rado.