Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/XXIII

XXIII

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XXII XXIV
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qui comincia la penitenza, che fece maestro brunetto.

XXIII.

Al fino amico caro,
     A cui molto contraro
D’allegrezza, e d’affanno,
     Pare venuto ogne anno;
Io Brunetto Latino,
     Che nessun giorno fino
D’avere gioja, e pena,
     Come ventura mena
La rota a falsa parte;
     Ti mando ’n queste carte
Salute, e ’ntero amore.
     Ch’i’ non trovo migliore
Amico, che mi guidi,
     Et a cui più mi fidi
Di dir le mie credenzie:

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     Che troppo ben sentenzie,
Quando chero consiglio,
     Intra ’l ben, e ’l periglio.
Or m’è venuta cosa,
     Ch’i’ non porria nascosa
Tener, ch’io non ti dica:
     Pur non ti sia fatica
D’udire ’nfino al fine.
     Amico, tutte han fine
Mie parole mondane,
     Ch’io dissi ogn’ora vane.
Per Dio, mercè ti muova
     La ragione, e la prova;
Che ciò, che dir ti voglio
     Da buona parte accoglio.
Non sai tu, che lo mondo
     Si porrìa dir nonmondo:
Considerando quanto
     Ci hanno ’mmondezza e pianto.
Che trovi tu, che vaglia?
     Non vedi tu san faglia,
Ch’ogne cosa terrena
     Porta peccato, e pena:
Nè cosa ci ha si clera,
     Che non fallisca, e pera.
E prendi un animale
     Più forte, e che più vale,
Dico, che ’n poco punto
     È disfatto, e disgiunto.
Ahi uom, perchè ti vante
     Vecchio, mezzano, e fante?
Di che vai tu cenando?
     Già non sai l’ora, o quando
Vien quella, che ti porta,

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     Quella, che non comporta
Officio o dignitate.
     A Dio quanto fiate
Ne porta le Corone,
     Come basse persone!
Giulio Cesar maggiore,
     Lo primo Imperadore,
Già non campò di morte:
     Nè Sanson lo più forte
Non visse lungamente:
     Alessandro valente,
Che conquistò lo mondo,
     Giace morto ’n profondo.
Ansalon per bellezze,
     Ettor per arditezze,
Salamon per savere,
     Attavian per avere,
Già non campo un giorno
     Fuori del suo ritorno.