Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/I

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Il Tesoretto (Assenzio, 1817) II

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I.


Al valente Signore,

     Di cui non so migliore
Sù la terra trovare;
     Che non avete pare
Nè ’n pace, ned in guerra:
     Sì ch’a voi tutta terra,
Che ’l sol gira lo giorno,
     E ’l mar batte d’intorno,
San faglia si conviene;
     Ponendo mente al bene,
Che fate per usaggio,
     Et a l’alto lignaggio,
Donde voi sete nato.
     E poi da l’altro lato
Potem tanto vedere
     In voi senno, e savere
Ad ogne condizione,
     Ch’un altro Salamone
Pare ’n voi rivenuto.
     E bene avem veduto
In duro convenente,
     Dov’ogn’altro servente,
Che voi, par megliorare,
     E tutt’or affinare;
E ’l vostro cor valente

     Poggia sì altamente
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In ogne beninanza,

     Che tutta la sembianza
D’Alessandro tenete;
     Che per neente avete
Terra, oro, et argento.
     Sì alto ’ntendimento
Avete d’ogne canto,
     Che voi corona, e manto
Portate di franchezza,
     E di fina prodezza:
Sì, ch’Achilles lo prode,
     Ch’acquistò tanta lode,
E ’l buono Ettor Trojano,
     Lancellotto, e Tristano
Non valse me’ di vue.
     Quando bisogno fue,
Che voi parole dite,
     E poi quando venite
In consiglio, o ’n aringa,
     Par, ch’abbiate la lingua
Del buon Tullio Romano,
     Che fue ’n dir sovrano;
Sì buon cominciamento,
     E mezzo, e finimento
Sapete ognora fare,
     E parole accordare
Secondo la matera,
     Ciascuna in sua manera.
Appresso tutta fiata
     Avete compagnata
L’adorna costumanza,
     Che ’n voi fa per usanza
Sì ricco portamento,

     E sì bel reggimento;
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Ch’avanzate a ragione

     E Seneca, e Catone.
E posso dire ’n somma,
     Che ’n voi, Signor, s’assomma,
E compie ogne bontade;
     E ’n voi solo assembiate
Son sì compitamente,
     Che non falla neente,
Se non com’auro fino.
     Io Brunetto Latino,
Che vostro in ogne guisa
     Mi son sanza divisa,
A voi mi raccomando.
     Poi vi presento, e mando
Questo ricco Tesoro,
     Che vale argento, et oro:
Sì, ch’io non ho trovato
     Uomo di carne nato,
Che sia degno d’avere,
     Nè quasi di vedere
Lo scritto, ch’i’ vi mostro
     In lettere d’inchiostro.
Ad ogne altro lo nego,
     Et a voi faccio prego,
Che lo tegniate caro,
     E che ne siate avaro.
Ch’i’ ho visto sovente
     Vil tenere a la gente
Molte valenti cose:
     E pietre prezïose
Son già cadute ’n loco,
     Che son gradite poco.
Ben conosco, che ’l bene

     Assai val men, chi ’l tiene
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Del tutto in se celato,

     Di quel, ch’è palesato:
Sì come la candela
     Luce men chi la cela.
Ma io ho già trovato
     In prosa, et in rimato
Cose di grand’effeto,
     Che poi per gran segreto
L’ho date a caro amico:
     Poi (con dolor lo dico)
Le vidi ’n man de’ fanti,
     E rassemplati tanti,
Che si ruppe la bulla,
     E rimase per nulla.
S’avvien così di questo,
     Sì dico, che sia presto;
E di carta ’n quaderno

     Sia gittata ’n inferno.