Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/II
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II.
Lo Tesoro comenza.
In tanto, che Fiorenza
Fioriva, e fece frutto;
Sì, ch’ell’era del tutto
La donna di Toscana;
Ancora, che lontana
Ne fosse l’una parte
Rimossa in altra parte,
Quella de i Ghibellini
Per guerra de i vicini:
Esso Comune saggio
Mi fece suo messaggio
A l’alto Re di Spagna,
Ch’era Re d’Alamagna:
E la corona attende,
Che Dio non la contende.
Che già sotto la Luna
Non si trova persuna,
Che per gentil legnaggio,
Nè per alto Barnaggio
Tanto degno ne fusse,
Com’esto Re Nanfusse.
Et io presi compagna,
E andai in Ispagna;
E feci l’imbasciata,
Che mi fue comandata.
E poi senza soggiorno
Ripresi mio ritorno:
Tanto, che nel paese
Di terra Navarrese,
Venendo per la calle
Del pian di Roncisvalle,
Incontra’ uno Scolajo,
Sor un muletto bajo,
Che venia da Bologna,
E sanza dir menzogna,
Molto era savio, e prode:
Ma lascio star le lode,
Che sarebbero assai.
Io gli pur dimandai
Novelle di Toscana.
In dolce lingua, e piano
Elli cortesemente
Mi disse mantenente;
Che’ Guelfi di Fiorenza
Per mala provvedenza,
E per forza di guerra
Eran fuor de la terra:
E ’l dannaggio era forte
Di prigione, e di morte.
Et io ponendo cura,
Tornai a la natura,
Ch’audivi dir, che tiene
Ogn’uom, ch’al mondo viene:
Che nasce primamente
Al padre, et al parente,
E poi al suo Comuno.
Ond’io non so neuno,
Che volesse vedere
La sua cittade avere
Del tutto a la sua guisa,
Nè che fosse divisa:
Ma tutti per comune
Tirassero una fune
Di pace, e di ben fare:
Che già non può scampare
Terra rotta di parte.
Certo lo cor mi parte
Di cotanto dolore,
Pensando ’l grand’onore,
E la ricca potenza,
Che suole aver Fiorenza
Quasi nel mondo tutto.
Ond’io in tal corrutto
Pensando a capo chino,
Perdei il gran cammino,
E tenni a la traversa
D’una selva diversa.