Il Sofista e l'Uomo politico/Il Sofista/XV

Il Sofista - XV

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Platone - Il Sofista e l'Uomo politico (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Giuseppe Fraccaroli (1911)
Il Sofista - XV
Il Sofista - XIV Il Sofista - XVI

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XV.


For. La malvagità nell’anima nostra non la diciamo noi una cosa diversa dalla virtù?

Teet. Come no?

For. E la purificazione non pertanto era il tener l’una cosa e gettar via tutto ciò che vi può essere che non vai niente.

E Teet. Era infatti.

For. Anche per l’anima dunque, in quanto si trovi un modo di togliere via il male, chiamando questo purificazione, parleremo a tono.

Teet. E molto, per vero.

For. E due specie di malvagità bisogna ammettere per l’anima.

Teet. Quali?

228 For. L’una si produce in lei come un morbo nel corpo, l’altra come una bruttura.

Teet. Non ho capito.

For. Malattia e discordia non le ritieni forse la stessa cosa?

Teet. Neanche a questo so che cosa io debba rispondere. [p. 137 modifica]For. Forse che la discordia la credi altro che il dissenso degli elementi affini per natura prodotto da qualche corruzione?

Teet. Nient’altro.

For. Ma la bruttezza che altro è se non la specie della dismisura, che da per tutto è deforme?

Teet. Proprio nient’altro. B

For. E che poi? Nell’anima non abbiamo mai notato che sono in discordia le opinioni coi desiderî, il sentimento coi piaceri, la ragione coi dolori e le altre cose tali1 tutte tra di loro, — in quella dei dappoco?

Teet. E molto in discordia.

For. Eppure tutte queste cose sono tra loro affini di necessità.

Teet. E come no?

For. Dunque chiamando la malvagità discordia e morbo dell’anima2, diremo rettamente.

Teet. Rettissimamente davvero.

For. E che? Tutto ciò che ha un movimento C e si propone una meta, se quando si prova di raggiungerla, a ogni tentativo devia da essa e la sbaglia, diremo che gli accade questo per proporzione che abbia reciprocamente con essa meta, o al contrario per dismisura?

Teet. È chiaro che per dismisura. [p. 138 modifica]For. Ma pure sappiamo che ogni anima, in ciò in che si inganna, si inganna contro voglia.

Teet. Proprio così.

For. L’ingannarsi infatti non è altro se non un’aberrazione dell'anima che tende alla verità, Dper effetto d’una traviazione del giudizio.

Teet. Certamente.

For. L’anima insensata pertanto la si dee ritenere brutta e sproporzionata.

Teet. Pare di sì.

For. Si dànno adunque in essa, come è chiaro, queste due specie di mali, l’una quella che dai più si chiama malvagità, ed evidentemente è una sua malattia...

Teet. Sì.

For. L’altra poi la dicono inintelligenza, ma che sia malizia, se è da sola3 nell'anima, non vogliono ammetterlo.

ETeet. Bisogna proprio che io ti consenta, ciò di che appunto dubitavo testè mentre tu parlavi, che due sono le specie dei mali dell’anima, e che la viltà, la sfrenatezza l’ingiustizia sono da considerarsi tutte in noi come morbo, e che il caso dell’inintelligenza in ogni sua diversa manifestazione4 è da ritenersi una deformità. [p. 139 modifica]

Note

  1. Invece di ταῦτα accetto l’emendamento τοιαῦτα proposto da H. Mueller.
  2. È la teoria costante di Platone, che nessuno è malvagio per propria volontà. Cfr. fra i tanti luoghi Tim. p. 86 B segg.
  3. κακίαν δὲ αὐτὸ ἐν ψυχῇ μόνον γιγνόμενον οὐκ ἐθέλουσιν ὁμολογεῖν. Non si capisce come quel μόνον abbia dato tanta noia agli interpreti: benissimo l’Heindorf: “quando in animo hoc solum exstat„, cioè l’ignoranza sola.
  4. La κακία dunque si divide in πονηρία e ᾰγνοια (più inintelligenza che ignoranza: ignoranza di ciò che si dovrebbe sapere), e come la prima si manifesta in viltà, sfrenatezza ecc. così anche la seconda ha altre sottospecie.