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Il sofista. 137

For. Forse che la discordia la credi altro che il dissenso degli elementi affini per natura prodotto da qualche corruzione?

Teet. Nient’altro.

For. Ma la bruttezza che altro è se non la specie della dismisura, che da per tutto è deforme?

Teet. Proprio nient’altro.[B]

For. E che poi? Nell’anima non abbiamo mai notato che sono in discordia le opinioni coi desiderî, il sentimento coi piaceri, la ragione coi dolori e le altre cose tali1 tutte tra di loro, — in quella dei dappoco?

Teet. E molto in discordia.

For. Eppure tutte queste cose sono tra loro affini di necessità.

Teet. E come no?

For. Dunque chiamando la malvagità discordia e morbo dell’anima2, diremo rettamente.

Teet. Rettissimamente davvero.

For. E che? Tutto ciò che ha un movimento[C] e si propone una meta, se quando si prova di raggiungerla, a ogni tentativo devia da essa e la sbaglia, diremo che gli accade questo per proporzione che abbia reciprocamente con essa meta, o al contrario per dismisura?

Teet. È chiaro che per dismisura.



  1. Invece di ταῦτα accetto l’emendamento τοιαῦτα proposto da H. Mueller.
  2. È la teoria costante di Platone, che nessuno è malvagio per propria volontà. Cfr. fra i tanti luoghi Tim. p. 86 B segg.