Il Re prega/XVII
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XVII.
Ma! se gli ambasciatori pure se ne mischiano!
Non era poi tutto il possedere un secreto di Stato; bisognava sapersene servire. Un congegno di guerra è una forza quando lo si sa adoperare: un cannone d’acciaio a retrocarica, nelle mani di un selvaggio è un imbarazzo.
Bambina si trovò dunque singolarmente imbarazzata quando ella fu in possesso di quell’arma, di cui suo fratello aveva con entusiasmo celebrato l’efficacia.
Per mettere in moto quella batteria occorreva arrivare fino al re stesso; perocchè e’ sarebbe stato forse inutile, forse pericoloso, rivolgersi ai ministri.
Il P. Piombini si era sentito male dopo ch’egli ebbe affidato a Bambina quel terribile sésame ouvre-toi, e da due giorni non discendeva più al confessionale. Ella non poteva dunque dimandargli consiglio. Ella non concepì neppure l’idea di consultare lady Keith, la quale avrebbe certo domandato di penetrare più addentro in quel mistero e l’avrebbe probabilmente sventato. Bambina aveva giurato di non più vedere il barone di Sanza. Ella non aveva giammai visto certe altre persone di cui suo fratello le aveva ragionato: il farmacista Don Grazioso, ed i due amici del marchese di Tregle: il barone Colini e Don Gabriele, che vivevano con lui, in casa di lui. La natura della comunicazione che ella aveva a fare l’obbligava a vedere gli uomini della reazione, cui ella aveva in orrore.
Bambina non era una donna politica.
La donna politica è un aborto di uomo, sovente una donna abortita o una virago che si appropria tutto ciò che il sesso forte ha di più lurido: la crapula, il tabacco, l’assisa, gli andamenti scompigliati, le dottrine fantastiche e velenose, gli odi antisociali, gli entusiasmi balordi, i feticismi ridicoli.... La donna è aristocratica per diritto divino. La sua fibra fina e nervosa, suscettibile unicamente di due crisi: l’esaltamento e l’abbiosciamento, la rende propria ad essere signora o schiava, regina o cortigiana. Ella non è tagliata per la libertà, che è l’equilibrio. Nel focolare domestico, la donna è regina; fuori di lì ella è essenzialmente cortigiana. Ove? quando la donna è libera? Ella è dunque per istinto partigiana del despotismo. Per collera, per vanità, per interesse gualcito, per ambizione calcolata, per amore, talvolta pure per educazione scelta, la donna può appassionarsi per le libere forme del governo e per un più savio organamento sociale. Tuttavolta, questo stato fittizio e sovraposto non modifica la sostanza della sua natura, ma la modalità della manifestazione. L’organo della libertà è il cervello, e propriamente i lobi cerebrali, sede dell’intelligenza e della volizione, secondo Flourens. La donna.... ha un altro organo.
Bambina aveva sovente udito parlare di politica da suo fratello, dal conte di Craco, da Tiberio; ma non si era formata una idea precisa della libertà se non quando avea visto il vescovo Laudisio e la polizia interdire a suo fratello il diritto di vivere. Ella avea allora compreso il despotismo come fatto, ma il suo spirito non si era fermato a scandagliare il despotismo come diritto. Di guisa che ella brancolava in un caos ove i principii si urtavano ed ove il compromesso delle idee monarchiche costituzionali le sembrava poco sicuro ed illogico. La sensazione è sempre più logica che la riflessione. Non conoscendo al giusto ciò che i patrioti volessero, ella non si passionava per loro, e non pesava per conseguenza l’atto cui andava a compiere in vista puramente di un interesse di famiglia. Se ella avesse meglio capito, si sarebbe certamente astenuta. No; ella non avrebbe giuocato il suo onore, la sua vita, i destini d’Italia, come le aveva detto il P. Piombini, contro qualche mese, sia pure qualche anno di prigionia di suo fratello. L’ignoto la terrorizzò.
Bisognava nonpertanto agire. Bisognava ad ogni costo giungere fino al re. Ella aveva dapprima pensato di rivolgersi alla regina. Ma aveva udito parlare con tanto risentimento contro la durezza, l’albagìa, la cattiveria di quell’austriaca, sì fatale ai Borboni di Napoli, che Bambina si spaventò di trovarsi alla presenza di lei. Preferì il re, cui dicevano più accessibile, assai pio, plebajuolo. Ma in che modo prendervisi? Ella ignorava come si dimandassero le udienze: in ogni caso prevedeva d’istinto che anche ottenutala, quell’udienza, l’audizione sarebbe stata ritardata. Ed infrattanto suo fratello soffriva e la sua sorte si decideva forse. Una parola, cui colse al volo in una conversazione degli amici di lady Keith, le servì d’ispirazione.
Si parlava di una manifestazione che aveva avuto o doveva aver luogo contro l’ambasciatore d’Austria principe di Schwartzemberg, cui si considerava come l’istigatore principale della reazione e della resistenza del re ai principii più liberali che cominciavano a farsi giorno anche a Roma! Lady Keith odiava il principe austriaco, considerandolo come l’autore dell’ostilità cui la Corte di Napoli mostrava allora a Pio IX — al Pio IX di fantasia che avevamo fabbricato nel 1847 pel bisogno della nostra causa. Ed a causa di ciò l’antipatia di lady Keith pel re erasi aumentata. Si rallegravano dunque dell’insulto che l’inviato del principe di Metternich stava per ricevere. Non era cotesto un indicare a Bambina l’uomo a cui ella doveva rivolgersi per penetrare fino al re! In ogni caso, le sembrò più facile di abbordare il principe di Schwartzemberg che Ferdinando II.
Gli amori di questo principe con una dama napolitana avevano fatto un certo strepito. Lo si diceva uomo grazioso, che lasciavasi facilmente avvicinare, non altiero che con i suoi pari, cavalleresco verso le donne. Forse se ne esageravano i difetti, le qualità, l’importanza. I popoli schiavi portano sempre gli occhi armati di lenti di ingrandimento. Comunque si sia, Bambina si decise a domandarle un’udienza.
Ella si presentò al palazzo dell’ambasciata alle dieci. Le si domandò cosa chiedesse.
— Parlare al signor ambasciatore.
— Sua Eccellenza è uscita a cavallo, rispose il lacchè.
— Aspetterò.
— Se è per affari dell’ambasciata, bisogna rivolgersi alla segreteria, al pian terreno, a sinistra.
— Mi occorre di parlare direttamente e personalmente al principe.
— Avete voi una lettera di ammissione o di raccomandazione?
— Non ho proprio nulla. Ma debbo intrattenerlo di cose, che non possono essere comunicate se non a lui solo.
— Noi conosciamo cotesto. Tutti i mendicanti che vengono ad importunarci per delle limosine hanno a favellare direttamente con Sua Eccellenza.
— Io non vengo a mendicare, signor lacchè. Vi ripeto che ho una comunicazione grave da fare al principe.
— Diavolo! diavolo! borbottò il lacchè, o che le damigelle della borghesia si mischino anch’elle della partita?
— Io non vi comprendo.
— L’è proprio vero? Il principe riceve molte donne. Le une, per..... voi sapete? le altre per affari di Stato. Voi siete una bellissima donzella, è vero. Lavorate voi per.... conto vostro, o per conto dello Stato?
Bambina arrossì e non rispose. Si assise. All’istesso momento si udì uno strepito di cavalli nella corte, poi un rumore di passi nelle scale.
— È Sua Eccellenza, gridò il lacchè: tiratevi da banda.
Bambina, al contrario, si precipitò verso il ballatoio, e gridò:
— Signore ambasciatore, sbarazzatemi, di grazia, dalla petulanza dei vostri domestici. Ho bisogno di parlarvi, all’istante da solo a sola, per interessi considerevoli.
Il principe di Schwartzemberg si fermò di corto e squadrò attentamente la fanciulla, cui l’animazione rendeva più bella. E’ fu colpito dalla voce, dal sembiante, dal contegno, dall’accento, dalla voltura della frase, dalla limpidità cristallina dello sguardo, dall’emozione ch’ella manifestava.
— Entrate, signorina, disse egli infine, salutando pulitamente Bambina.
Una doppia siepe di lacchè incipriati e gallonati salutò fino a terra. Il principe precede, aprendo la porta per lasciar passare Bambina. Essi traversarono così parecchie sale e saloni ed arrivarono al gabinetto particolare del principe. Bambina non vide nulla, non guardò a nulla. Si fermarono in quella stanzina, che non aveva altre porte. Bambina, senza esservi invitata, si lasciò cadere sopra un canapè. L’emozione l’aveva spossata. — Il principe di Schwartzemberg si assise a fianco a lei, all’altra estremità del canapè e si scoprì rispettosamente.
Vi era nell’aria di Bambina qualche cosa di così serafico che imponeva. Impossibile di supporre in lei la minima cosa di equivoco e di vergognoso. La trasparenza de’ suoi occhi riproduceva le più piccole ondulazioni del suo cuore. Il meno osservatore avrebbe affermato, vedendola, ch’ei non aveva a fare con una avventuriera. Poi Bambina possedeva una di quelle bellezze fulminanti che paralizzano l’anima come la scossa della torpedine: si restava da prima abbarbagliato, poi fascinato. Il principe la contemplava senza interrogarla, per paura di vedere l’apparizione dileguarsi troppo presto, e per rispetto. Bambina dal canto suo, vivamente imbarazzata, tacevasi, attendendo per deferenza che l’ambasciadore le avesse diretta la parola.
— Signorina, disse infine il principe di Schwartzemberg per venirle in aiuto: a chi ho l’onore di parlare?
— Signore ambasciatore, rispose Bambina, il mio nome non vi apprenderebbe nulla quando lo avreste conosciuto. Io sono una povera creatura di provincia, cui non chiamano neppure per il suo nome di battesimo, perchè non mi conoscono che con il soprannome di Bambina.
— Nome delizioso! sclamò il principe.
— Ho insistito per vedervi, signore, continuò Bambina, perchè voi solo potete, senza ritardo, introdurmi appo il re.
— Appo il re?
— Gli è a lui ch’io debbo parlare.
— Ma di che si tratta signorina?
— Signore, vi scongiuro di non interrogarmi. Io ho un’intera confidenza in voi; ma voi non potete ciò che puote il re.
— Evidentemente. Nondimeno, per presentarvi a S. M. bisogna che io mi sappia chi io presento, per quale affare io commetto questa grave infrazione alle regole diplomatiche.
— Ecco appunto ciò che è impossibile, signor principe. Per una conseguenza triste e formidabile, io mi sono trovata in grado di apprendere un secreto terribile che riguarda la sicurezza della corona. Io non posso rivelarlo che al re, al re per il primo in vostra presenza.
— Ma avete voi un altro interesse, signorina, rivelando questo secreto, oltre il dovere di suddita fedele?
— Senza dubbio, signore. Credete voi che io farei tante istanze unicamente per salvare la corona di un re, che io non conosco, e che m’inspira pochissima simpatia?
Il principe di Schwartzemberg sorrise. Poi soggiunse:
— La situazione cangia allora, signorina. Dappoichè voi non siete un’eroina....
— Chi ve lo dice, signore? interruppe Bambina con vivacità. No, io non sono una eroina realista. Ma se voi sapeste ciò che questo secreto mi costerà, voi fremereste ed avreste pietà di me. Voi non ammettete dunque l’eroismo che in una sola sfera?
— Perdono, no, signorina. Ma l’eroismo si rimpicciolisce, se non scompare affatto, quando diviene un oggetto di scambio. Ora, ei mi sembra, se ho ben capito, che voi avete qualche cosa a dimandare al re come prezzo di codesto terribile secreto. E, dapprima, che sapete voi che codesto che voi possedete sia proprio un secreto, e che quel che voi credete tale non fosse da noi conosciuto?
— Voi nol conoscete, voi non sapreste neppur sospettarlo. Se poi io mi inganno, ebbene, me ne rimetto alla vostra coscienza, rigettate le condizioni che io propongo.
— Quali sono almeno codeste condizioni?
— Non posso neppur dirvele. Le apprenderete alla presenza del re. Ma, ve ne supplico, non insistete per istrapparmi ciò che ho il dovere di custodire. Io non domando nulla per me. La grazia che otterrò per un altro è un decreto di morte per me. Lo vedrete! voi potete confidarvi a me.
La proposizione di Bambina aveva qualche cosa di così strano, ma altresì di così ingenuo, di così innocente, di così convinto, che il principe di Schwartzemberg restò perplesso. Aveva egli a fare con una Madonna o con una intrigante, commediante perfetta? Egli osservò Bambina con attenzione più concentrata, ed esitò ancora.
— Ciò che voi domandate, signorina, soggiunse egli, è impossibile. Non si presenta al re dei logogrifi. Ciò che potrebbe, tutto al più, un ministro della polizia, in vista della sicurezza pubblica, non se lo può permettere il rappresentante di una potenza estera. Io ho dunque il rammarico di rifiutarvi il mio concorso.
Bambina si alzò. Ella era divenuta pallida ed i suoi occhi navigarono nelle lagrime. Vedeva le sue speranze naufragate, e non un’altra vela all’orizzonte. Aver tanto osato! aver compromesso tante cose sante! calpestato la sua anima ed il suo pudore per metter capo ad uno scacco! Ella aveva i brividi di avere a ritornare al gesuita, e di fargli delle nuove concessioni.
— Perdonatemi, signore, balbettò Bambina con voce soffocata. Io non sospettava la serietà degli ostacoli che intravedo adesso. Non so che farò. Possiate non rimpiangere di non avermi esaudita.
— Signorina, disse il principe, alzandosi a sua volta, vogliate comprendermi bene. Io non insisto per sapere il vostro secreto nè ciò che vogliate in ricambio domandare al re. Ma infine indicatemi, ve ne prego, con quale formola bisogna che io supplichi S. M. di ricevervi!
— E voi, ambasciatore di una grande potenza, dimandate ad una povera creatura di provincia una formola di corte per compiere un atto di sì alta gravità? sclamò Bambina. Io ho sempre udito, nel mio casale, che il motto: salvezza dello Stato! era magico nella bocca dei ministri. Come noi ignoriamo tutto ciò che si attiene ai nostri padroni!...
— Ahimè! se re Ferdinando fosse un uomo da capire la divina poesia della bellezza, io avrei stuzzicata la sua curiosità dicendogli che se egli non apprendesse nulla di nuovo, egli avrebbe per lo meno visto nella sua vita la forma più ideale del bello muliebre. Ma S. M. non comprende che le celesti bellezze della santa Vergine, passando per la bocca lipposa del suo confessore. In fine, io vado ad intrigarlo col mistero lavandomi le mani e lasciandolo giudice se egli debba o no ricevervi. Volete, signorina, farmi l’onore di ritornare qui domani o di lasciarmi il vostro indirizzo?
— Ritornerò. Io abito in casa di lady Keith, al Vomero. Ma, ve ne scongiuro, non mandatemi a cercare: io vi ricevo un ricovero caritatevole.
— In casa di lady Keith? gridò il principe di Schwartzemberg. Comprendo alla fine. Il re vi riceverà senza fallo. Io ve lo garantisco. Forse vorrà desso vedervi stassera stessa.
— No, stassera. Io non avrei alcuna scusa per allontanarmi dalla villa la notte.
— Un’ultima parola, e ve ne prego vogliatemela perdonare. Vi è in tutto codesto qualche cosa di cui avremmo ad arrossire? Una macchia ad una stella....
Bambina si coprì il viso colle mani ed interruppe il principe con un singhiozzo.
— Io non sono una spia, gridò essa. È un sacrifizio di morte che io perpetro e non un’azione infame. Ma al postutto, io non ne so nulla. Io pago un debito.... Se fo del male a qualcheduno, gli è che io non posso altrimenti scongiurare il pericolo d’un altro.... Siate indulgente, signore. Se voi sapeste il decreto fatale che mi pesa sul capo, voi sareste misericordioso come Gesù. No, non mi disprezzate, no: io non sono nè spia, nè venale.
— Scusatemi, signorina, io non aveva alcuno intento di oltraggiarvi. Sono rassicurato. Credo anzi di avere indovinato.
Il principe non aveva indovinato, poichè supponeva che Bambina avesse sorpreso un secreto in casa di lady Keith, cui si sapeva bazzicata da cospiratori, e che la giovinetta se ne servisse per rendere servigio ad un innamorato. Egli accompagnò Bambina fino all’anticamera e tutto il giorno pensò a lei.
Il re, incuriosito dell’istoria che il principe gli raccontò in modo abile, consentì a vedere Bambina, dopo aver fatto, ben inteso, una certa preghiera, per dimandare l’ispirazione divina. Egli confessò più tardi al principe che la memoria di Carlotta Corday aveva traversato il suo spirito, non ben nudrito di storia pertanto. Fu dunque convenuto che il dì seguente il re si sarebbe recato a Capodimonte e che quivi, incontrando come per caso il principe di Schwartzemberg, questi gli avrebbe presentato la giovinetta. Il principe si astenne bene dal parlare a S. M. della stupenda bellezza della spiona; egli aveva paura di allarmare la pietà di questo sovrano che credeva la bellezza soppannata sempre di uno strato di ovatta diabolica. Il principe fece brillare innanzi agli occhi del re la circostanza della dimora della giovinetta, fin là restata sempre impenetrabile agli agenti della polizia napoletana ed a quelli della diplomazia austriaca.
Il re, dal lato suo, era felice di apprendere qualche cosa, non avesse pure la gravezza che le attribuiva Bambina, un poco per paura della sua personale sicurezza, ma principalmente per umiliare il suo ministro della polizia, il quale si vantava di salvarlo, due volte ogni ventiquattr’ore, e si faceva pagare il salvamento.
Ferdinando II era prodigiosamente avaro.
L’indomani, il principe di Schwartzemberg aspettava Bambina con ansietà; e, per esser veri, e’ bisogna aggiungere ch’era la donna anzi che la salvatrice, cui egli sospirava rivedere. Bambina giunse alle dieci. La s’introdusse immediatamente. Il principe gridò, scorgendola:
— Il re vi riceverà a mezzodì, a Capodimonte, signorina. Noi abbiamo quindi un’ora da attendere. Cosa posso io per farvela passare aggradevolmente?
— Se io fossi divota, signor ambasciatore, vi supplicherei di lasciarmi sola in un cantuccio del vostro palazzo per pregare.
— E non essendo divota?
Bambina sorrise dell’interruzione, e ripigliò:
— Ahimè! non essendo divota, oso dimandarvi in grazia di apprendermi come si parla ai re.
— Ai re, è una cosa; a Ferdinando II, è un’altra. Vi dirò dunque in vettura come avrete a comportarvi con quella maestà.
Un’ora dopo, un coupé colle bendinelle abbassate, senza stemmi, col cocchiere senza la livrea del principe, volava lungo la strada di Toledo verso Capodimonte.
A quell’ora stessa, il padre Piombini si recava da lady Keith, per accattare uno sguardo di Bambina e respirare l’aria imbalsamata dal fiato di lei; e Don Diego, il disgraziato Don Diego, passava per le prove più spaventevoli della sua vita.