Il Re Torrismondo/Atto quinto/Scena prima
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SCENA PRIMA
ALVIDA, NUTRICE
ALVIDA
In qual parte del mondo or m’ha condotta
La mia Fortuna, e fra qual gente avversa,
O Dei sommi del Cielo?
NUTRICE
Ancor temete,
E vi dolete ancor?
ALVIDA
Io più non temo,
Nè posso più temer, che ’l male è certo,
E certo il danno, e la vergogna, e l’onta.
Già son tradita, esclusa, anzi scacciata,
Perch’è morto in un tempo il Re mio padre,
E del marito mio la fede estinta.
Egli dall’una parte a tutti impone
Ch’a me si asconda l’improvvisa morte:
Dall’altra ei mi conforta, e mi comanda
Ch’io pensi a nuovo sposo, a nuovo amante,
E mi chiama sorella, e mi discaccia
Con queste nome.
O mar di Gotia, o lidi, o porti, o reggia,
Che raccogliesti le Regine antiche,
Dove ricovro, ahi lassa! o dove fuggo?
Dove m’ascondo più? nel proprio regno
U’ l’alta sede il mio nemico ingombri,
Perch’io vi serva? o ’n più odiosa parte
Spero trovar pietà, tradita amante,
Anzi tradita sposa ?
NUTRICE
È possibil giammai, che tanto inganno
Alberghi in Torrismondo, e tanta fraude?
ALVIDA
È pasibile, è vero, è certo; è certa
La sua fraude, e ’l mio scorno, e l’altrui morte;
Anzi la violenza è certa, e ’nsieme
La mia morte medesma, oh me dolente!
NUTRICE
Certa la fate voi d’incerta e dubbia,
Or facendovi incontra al male estremo;
Ma non fu mai tanto importuna unquanco
L’iniqua, inesorabile, e superba,
Nè con tanto disprezzo, e tanto orgoglio
Perturbò a’ lieti amanti un dì felice.
Ma son tutti, morendo il padre vostro,
Seco estinti gli amici, e i fidi servi,
E i suoi cari parenti? e spente insieme
L’onestà, la vergogna, e la giustizia?
Nè sicura è la fede in parte alcuna?
Già tutte siam tradite, e quasi morte,
Se non è vano il timor vostro, e ’l dubbio.
ALVIDA
O morì la giustizia il giorno istesso
Col giustissimo vecchio, o seco sparve,
E fè, seco volando, al ciel ritorno.
E la fraude, e la forza, e ’l tradimento,
Presero ogn’alma, ed ingombrár la terra.
Non ardisce la Fede erger la destra:
E l’Onor più non osa alzar la fronte:
E la Ragione è muta, anzi lusinga
La possente Fortuna. Al Fato avverso
Cede il senno e ’l consiglio, e cede al ferro
Maestà di temute antiche leggi,
Mentre a guisa di tuono altrui spaventa,
E d’arme, e di minacce alto rimbombo.
È Re chiamato il forte: al forte il regno,
Altrui mal grado, è supplicando offerto:
E ciò, che piace al più possente, è giusto.
Io non gli piaccio, e ’l suo piacer conturbo
Io sola. E de’ Norvegi accetta il regno;
La Regina rifiuta, il Re sublime
De’ magnanimi Goti.
NUTRICE
A detti falsi
Forse troppo credete, e ’l dritto, e ’l torto,
Alma turbata e mesta, egra d’amore,
Non conosce sovente; e non distingue
Dal vero il falso, e l’un per l’altro afferma.
ALVIDA
Siasi della novella, e del messaggio,
E della fè Novergia, e del mio regno,
E degli ordini suoi turbati e rotti,
Ciò che vol la mia sorte, o ’l mio nemico;
Basta, ch’ei mi rifiuta: e ’l vero io ascolto
Del rifiuto crudele. Io stessa, io stessa
Con questi proprj orecchi udii pur dianzi:
« Alvida, il vostro sposo è ’l Re Germondo,
« Non vi spiaccia cangiar l’un Re nell’altro,
« E l’un nell’altro valoroso amico,
« Ed al nostro voler concorde e fermo
« Il vostro non discordi ». In questo modo
Mi concede al suo attico, anzi al nemico
Del sangue mio. Così vuol ch’io m’acqueti
Nel voler d’un amante, e d’un tiranno;
Così l’un Re mi compra, e l’altro vende.
Ed io son pur la serva, anzi la merce,
Fra tanta cupidigia, e tal disprezzo!
Udisti mai, tal fede? Udisti cambio
Tanto insolito al mondo, e tanto ingiusto?
NUTRICE
Senza disprezzo forse, e senza sdegno
È questo cambio. Alta ragione occulta
Dee muovere il buon Re; chè d’opra incerta
Sovente il buon consiglio altrui s’asconde ì.
ALVIDA
La ragion, ch’egli adduce, è finta e vana,
E in me lo sdegno accresce, in me lo scorno;
Mentre il crudel così mi scaccia, e parte,
Prende giuoco di me. Marito vostro,
Mi disse è ’l buon Germondo, ed io fratello.
Ed adornando va menzogne e fole
D’un ratto antico, e d’un’antica fraude.
E mi figura, e finge un bosco, un antro
Di Ninfe inicantatrici. E ’l falso inganno
Vera cagione è del rifiuto ingiusto,
E fia di peggio. E Torrismondo è questi;
Questi, che mi discaccia, anzi m’ancide:
Questi, ch’ebbe di me le prime spoglie,
Or l’ultime n’attende; è già sen gode:
E questo è ’l mio diletto, e la mia vita.
Oggi d’estinto Re sprezzata figlia
Son rifiutata. Oh patria, oh terra; oh cielo!
Rifiutata vivrò? vivrò schernita?
Vivrò con tanto scorno? ancora indugio?
Ancor pavento? e che? la morte, o ’l tardi
Morire? ed amo ancora? ancor sospiro?
Lagrimo ancor? non è vergogna il pianto?
Che fan questi sospir? timida mano,
Timidissimo cor, che pur agogni?
Mancano l’arme all’ira, o l’ira all’alma?
Se vendetta non vuoi, nè vuole amore,
Basta un punto alla morte. Or muori, ed ama
Morendo. E se la morte estingue amore,
L’anima estingua ancor, che vera morte
Non saria, se vivesse amore, e l’alma.
NUTRICE
Deh lasciate pensier crudele, ed empio.
Niuno vi sforza ancora, o vi discaccia;
Ma v’onora ciascuno, ed ancor donna
Sete di voi medesma, e di noi tutte
Sete, e sarete sempre alta Regina.