X. Del vizio dell’ira e delle sue specie

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
X. Del vizio dell’ira e delle sue specie
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CAPITOLO X

Del vizio dell'ira e delle sue specie.

     Noi divenimmo in su la quinta strada,
e trovai sangue in ogni lato sparso,
come in su l’erbe cade la rugiada.
     Ed ogni luogo ivi era guasto ed arso,
5sí come Erode, a gran furor commosso,
arse le navi in la cittá di Tarso.
     Poi risguardai e vidi un fiume rosso,
tutto di sangue e grande quanto il Reno,
ed anco, al mio parer, era piú grosso.
     10Ahi, quanto di stupor io venni meno,
vedendo un fiume spumoso e fumante,
di sangue uman sí grosso e tanto pieno!
     Sí come manca il cuor all’elefante,
vedendo il sangue ovver liquor sanguigno,
15cosí mancava a me il core e le piante.
     Per l’argine del fiume sí maligno
andai tanto, insino ch’io trovai
tre belle donne col viso benigno.
     E vidi dietro a lor, quando mirai,
20tre gran diavoli sí orrendi e brutti,
che sí deformi non fûn visti mai.
     Addosso alle tre donne intraron tutti
e trasmutâro lor belle sembianze,
e gli atti umani in lor furon destrutti.
     25Quelle lor facce, pria benigne e manze,
si fên crudeli e diventôn di cane,
e di scorzon si fên le bionde danze.

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     Di coltei sanguinosi armôn le mane;
e le gran serpi, ch’avean nelle teste,
30soffiavan gracilando come rane.
     Di ferro arruginato fên le veste
e di ceraste fenno le cinture,
col morso e col venen troppo moleste.
     Quand’io vidi mutar le lor figure,
35conobbi le tre Furie infernali,
a sé ed anche altrui amare e dure.
     Di pipistrello avean le lor brutte ali,
e ’l collo e ’l dosso avvolti di serpenti,
con viste acerbe, crudeli e mortali.
     40— Queste, che mordon se stesse co’ denti,
sonno dell’ira il vizio triforme:
in cotal modo ell’usan tra le genti.
     Quella che nella vista è men difforme
e che par men molesta in questo loco
45e che si desta e poi ratto si addorme,
     è l’Ira prima: è lieve e dura poco,
sí come fiamma accesa nella stoppa
tosto si lieva, e poi s’estingue il foco.
     E, benché nel durare non sia troppa,
50il colpo furioso, quando coglie,
non fa men male a chi in quello s’intoppa.
     E questa tra le case si raccoglie
e tra la turba pronta e garrizzaia
e tra gli amici, il marito e la moglie.
     55L’altr’Ira è dentro, e di fuor non abbaia,
ma pensa far vendetta e non favella,
sol perché l’ira di fuor non appaia.
     Questa è chiamata Ira amara e fella;
cerca vendetta e nel cuor si richiude;
60e poscia alfin si placa e non flagella;
     ché, benché pensi le vendette crude,
passando il tempo lungo, e l’ira passa
e le man placa, pria di piatá nude.

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     E l’Ira terza mai vendetta lassa,
65rabbiosa nello cor, e sempre seve,
insin ch’occide o, divorando, abbassa.
     Questa è detta Ira difficile e grieve;
crudele e tirannesca ovver superba,
che mai non posa, se ’l sangue non beve.
     70Megera è questa con la vista acerba;
di ratta occision non è contenta,
ma per piú tormentar la vita serba.
     Ella si gode quando altrui tormenta:
guarda quant’ha crudele e brutta faccia
75e che d’ogni piatá la cera ha spenta!—
     Io vidi l’Ira poi con crudel faccia;
e fe’ le fiche a Dio il mostro rio,
stringendo i denti ed alzando le braccia.
     Mentre cosí faceva, ei partorío
80orrendi mostri e prima la Biastema
col viso altèro e biastimante Dio.
     Ahi, creatura vil, di bontá scema,
putrido verme e posto in gran bassezza,
come biastemi la Vertú suprema?
     85Ché, da che l’Ira sempre mai disprezza
colui, con cui si turba, or pensa quince
se pecchi, dispregiando tanta altezza.
     E, se ti levi contra il primo Prince,
sol per tal atto diventi idolatra:
90tanto il furor e cecitá ti vince.
     — Quell’altro, che ha la faccia iniqua ed atra,
è Sdegno inchiuso nella fantasia,
il qual, quand’esce fuor, com’un can latra,
     e dice contumelia e villania
95ed avvilisce, obbrobri recitando
con la rabbiosa voce e con follia.
     Il terzo mostro ancor brutto e nefando,
Immania ha nome ed Inumanitade,
ch’è come un cane o bestia, divorando.

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     100Questo tra ’l sangue crudo e tra le spade
prende diletto e, benché altri gridi,
non ha misericordia, né pietade.
     Dall’ira escon battaglie ed omicidi,
insulti, oltraggi, onte, risse e guerra,
105le grandi espulsion de’ propri nidi.
     Se ’l detto mio attendi, che non erra,
questa è che ha guasto il mondo e le gran ville
e che li gran reami gitta a terra.
     Questa è ch’uccise Ettòr ed anche Achille,
110e che ha divisa Italia e che redusse
Roma e Cartago in foco ed in faville.
     Quando Dio l’uomo da prima produsse,
non l’armò giá di denti ovver d’artigli,
sol perché pio e mansueto fusse.
     115Ma ’l miser’uomo, purché ira il pigli,
fèra crudel si fa, e nella vista
par ben ch’ad un dimonio s’assomigli.
     E, se saper tu vuoi quanto s’attrista,
quando Ira sua vendetta far non puote,
120e quanta doglia in se medesma acquista,
     ella si morde i labbri e si percote,
e rompe e spezza e furiosa mira,
e svelle a sé la barba dalle gote.
     E ciò che far non può la crudel Ira
125incontro altrui, adopera in se stessa
e fassi preda a sé e si martíra.
     E, se la spen di far vendetta cessa
o troppo tarda, allora questa fèra
piange per la vendetta non concessa.
     130Perché ben abbi la scienza intera,
ira è disio d’alcun mal vindicarse,
ch’alcun riceve e vendicarlo spera.
     Onde, se alcun vedesse iniuriarse
da un grande eccellente ovver signore,
135ed ei non possa o speri d’aiutarse,

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     costui non move l’ira, ma furore,
e questo è sol, ché gli manca la spene,
ch’accende il sangue a stizza presso al core.
     E sappi ancora ch’ira solo avviene
140per mal che l’uom riceve iniustamente:
però apparenza di iustizia tiene.
     Per questo avvien ch’ogni irato si pente,
quando si vede a torto aver punito
colui che non ha colpa ed è innocente.
     145Ed, ogni volta ch’alcuno è impedito
da quel che molto spera o far intende,
se non è forte, è dall’ira assalito.
     E chiunque ha seco l’ira, parvipende
colui che ’l turba; e, s’egli è parvipenso,
150questa è prima cagion che d’ira accende;
     ch’ognun diventa di furore accenso,
ch’è dispregiato o che riceve oltraggio,
se alto cor non spregia, quando è offenso.—
     Poi seguitammo insú nostro viaggio.