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capitolo x 243

     Di coltei sanguinosi armôn le mane;
e le gran serpi, ch’avean nelle teste,
30soffiavan gracilando come rane.
     Di ferro arruginato fên le veste
e di ceraste fenno le cinture,
col morso e col venen troppo moleste.
     Quand’io vidi mutar le lor figure,
35conobbi le tre Furie infernali,
a sé ed anche altrui amare e dure.
     Di pipistrello avean le lor brutte ali,
e ’l collo e ’l dosso avvolti di serpenti,
con viste acerbe, crudeli e mortali.
     40— Queste, che mordon se stesse co’ denti,
sonno dell’ira il vizio triforme:
in cotal modo ell’usan tra le genti.
     Quella che nella vista è men difforme
e che par men molesta in questo loco
45e che si desta e poi ratto si addorme,
     è l’Ira prima: è lieve e dura poco,
sí come fiamma accesa nella stoppa
tosto si lieva, e poi s’estingue il foco.
     E, benché nel durare non sia troppa,
50il colpo furioso, quando coglie,
non fa men male a chi in quello s’intoppa.
     E questa tra le case si raccoglie
e tra la turba pronta e garrizzaia
e tra gli amici, il marito e la moglie.
     55L’altr’Ira è dentro, e di fuor non abbaia,
ma pensa far vendetta e non favella,
sol perché l’ira di fuor non appaia.
     Questa è chiamata Ira amara e fella;
cerca vendetta e nel cuor si richiude;
60e poscia alfin si placa e non flagella;
     ché, benché pensi le vendette crude,
passando il tempo lungo, e l’ira passa
e le man placa, pria di piatá nude.